Lo scompenso cardiaco nella donna:
sfide e opportunità
Maria Frigerio1, Renata De Maria2
1S.C. di Cardiologia 2-Insufficienza Cardiaca e Trapianto, 2Istituto di Fisiologia Clinica del CNR,
Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis”, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano


L’epidemiologia delle cardiopatie non è identica tra i due sessi: diversità a livello molecolare e cellulare sono alla base delle differenti risposte del sistema circolatorio agli agenti patogeni e ai fattori di rischio1. Gli steroidi sessuali e i loro recettori sono i determinanti fondamentali delle differenze di genere nel sistema cardiovascolare. La funzionalità degli estrogeni di origine ovarica o surrenalica e dei loro recettori è essenziale per il mantenimento di una normale funzionalità dell’endotelio vasale. Le alterazioni del profilo lipidico che contribuiscono allo sviluppo dell’aterosclerosi sono regolate dagli steroidi sessuali, che modulano il metabolismo epatico delle lipoproteine. Di conseguenza, dopo la menopausa i livelli del colesterolo LDL e dei trigliceridi salgono mentre quelli del colesterolo HDL si riducono, con un deciso incremento del rischio cardiovascolare. Gli ormoni sessuali sembrano influire anche sulla struttura e sulla funzione miocardica: nel modello animale gli estrogeni esogeni migliorano la funzione cardiaca mentre gli androgeni la deprimono, e il cuore femminile presenta una contrattilità maggiore di quello maschile. La presenza di estrogeni inoltre sembra ritardare la deposizione di collagene nella matrice extracellulare. Con l’invecchiamento la massa miocardica è maggiormente conservata nelle donne rispetto all’uomo, per effetti specifici antiapoptotici dei recettori estrogenici e/o una diversa espressione miocardica di enzimi glicolitici e mitocondriali. Anche la coagulazione e l’emostasi sono diverse tra i due sessi nell’età adulta.
Complessivamente, i fattori sopra elencati fanno sì che la presentazione clinica delle cardiopatie correlate alla malattia ischemica sia tipicamente ritardata di circa una decade nelle donne rispetto agli uomini, essendo associata alla perdita della protezione estrogenica conseguente al declino della funzione ovarica con la menopausa. Non è però giustificata la diffusa sottostima del peso delle cardiopatie come causa di morbilità e mortalità nel sesso femminile: infatti, grazie anche all’invecchiamento della popolazione, le patologie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nelle donne ancor più che negli uomini, essendo responsabili del 54% dei decessi rispetto al 43% delle morti nel sesso maschile 2. Va poi tenuto presente che la crescente prevalenza di fattori di rischio, quali l’abitudine al fumo e il diabete, sta determinando un aumento dell’incidenza di cardiopatia ischemica nelle donne nella quarta e quinta decade di vita, in contrasto con il declino che si osserva negli uomini di pari età2. Assistiamo e assisteremo quindi a un graduale cambiamento dell’epidemiologia dell’insufficienza cardiaca nella donna: dobbiamo dunque conoscere il presente e prepararci al futuro, e in questo senso è stato concepito e realizzato il presente Supplemento, dedicato all’analisi delle peculiarità dell’insufficienza cardiaca nel sesso femminile.
Il profilo clinico attuale dello scompenso cardiaco nella donna è descritto nel contributo di Scardovi et al.: la minor prevalenza di eziologia ischemica e per contro l’importanza di fattori come ipertensione e diabete si traducono in oltre la metà dei casi in un quadro di scompenso a funzione sistolica conservata, con un cuore poco dilatato con ipertrofia concentrica e una minor compliance delle grandi arterie. Nelle donne si osservano pressioni telediastoliche più elevate a fronte di volumi più piccoli, suggerendo che le alterazioni nelle curve pressione-volume siano maggiori. La riserva funzionale del cuore femminile rimodellato è minore, con un rapido incremento delle pressioni di riempimento sotto stress di diversa natura, e questo può spiegare la gravità dei sintomi e la maggiore limitazione funzionale osservata nelle donne con scompenso.
Il diabete mellito riduce lo sfasamento temporale nell’esordio delle patologie cardiovascolari fra i due sessi, agisce da moltiplicatore del rischio di scompenso, e ne peggiora la prognosi nella donna più che nell’uomo. La consapevolezza dell’impatto del diabete nel sesso femminile deve spingere a una collaborazione interdisciplinare fra diabetologi e cardiologi finalizzata al trattamento aggressivo e al controllo stretto dei fattori di rischio. A questo proposito, Russo et al. riportano l’esperienza preliminare positiva dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare di Trieste: un puntuale follow-up, il controllo del compenso glucidico e l’estensiva applicazione delle raccomandazioni terapeutiche sia per lo scompenso sia per i fattori di rischio sembrano determinare un sostanziale livellamento degli esiti nelle donne diabetiche e non diabetiche, esiti che appaiono complessivamente migliori rispetto al sesso maschile.
La fibrillazione atriale è tra i fattori più importanti nel determinare l’insorgenza di scompenso acuto nelle donne, anche alla luce degli aspetti fisiopatologici precedentemente descritti. Il rischio di sviluppare fibrillazione atriale è maggiore nelle donne rispetto agli uomini tra gli affetti da scompenso cardiaco, e questa aritmia è un moltiplicatore del rischio tromboembolico più importante nel sesso femminile. Di Pasquale e Riva nel loro contributo analizzano i meccanismi dell’interazione fra fibrillazione atriale e scompenso ed i peculiari aspetti terapeutici connessi: la strategia di controllo del ritmo è gravata da maggiori eventi avversi nelle donne, che, paradossalmente a fronte del più elevato rischio tromboembolico, ricevono meno frequentemente la profilassi anticoagulante, come osservato nel recente studio ATA-AF.
Aspetti psicologici e socio-culturali contribuiscono all’espressione dei sintomi e alla percezione di malattia nelle pazienti, ma anche nel personale sanitario, e questo può in parte spiegare le differenze di aggressività diagnostica e di trattamento osservate tra i sessi3. Se vi sono stati miglioramenti fra le due survey europee nelle procedure diagnostiche e nel trattamento farmacologico4, le differenze fra i due sessi rimangono anche nel più recente registro italiano IN-HF Outcome, come qui riportato da Misuraca et al. Nelle cardiologie italiane le donne con scompenso acuto vengono sottoposte meno spesso ad accertamenti invasivi quali il cateterismo destro e la coronarografia, e sono meno spesso portatrici di dispositivi elettrici con un fattore di 1 a 4 rispetto agli uomini. Fra i pazienti con scompenso cronico nell’IN-HF Outcome si rilevano tassi simili di prescrizione di terapia betabloccante, ma maggior frequenza di utilizzo nel sesso femminile di digitale, associata nelle coorti dello studio DIG ad un eccesso di mortalità nelle donne ma non negli uomini 5.
Ad oggi sono palesi le nostre lacune conoscitive sulle migliori opzioni terapeutiche per lo scompenso nel sesso femminile: le prove di efficacia derivate dai trial randomizzati sono in larga misura relative al sesso maschile e la proporzione di donne arruolate, nonostante specifiche raccomandazioni sia europee che statunitensi, rimane inferiore al 30% anche negli studi recenti su trattamenti farmacologici o non farmacologici dello scompenso cardiaco6. Se questo riflette in gran parte la mancanza di conoscenze specifiche sul trattamento dello scompenso con frazione di eiezione conservata, più frequente nella donna, dati contrastanti permangono anche per le evidenze sulla terapia farmacologica nello scompenso con disfunzione sistolica. In una metanalisi7 di 5 studi in una popolazione di quasi 12 000 soggetti, il 24% dei quali di sesso femminile, l’interazione fra eziologia dello scompenso e sesso rappresenta un fattore confondente: la sopravvivenza a distanza è migliore nelle donne rispetto agli uomini con insufficienza cardiaca di eziologia non ischemica, ma la differenza di esito si riduce molto e tende ad annullarsi nei casi ad eziologia ischemica. Per contro non si osservavano vantaggi per il sesso femminile relativamente all’endpoint ospedalizzazioni. Complessivamente quindi tra i pazienti arruolati nei trial di trattamento dello scompenso con frazione di eiezione ridotta, la mortalità nelle donne risulta più bassa, ma questo non sembra associarsi a una riduzione dei ricoveri, esito rilevante per il carico assistenziale.
Lunati et al. dibattono l’ennesimo paradosso di genere a proposito della terapia di resincronizzazione cardiaca: solo un quarto dei pazienti sottoposti a questa procedura nei trial e nei registri sono donne, eppure i dati pubblicati concordano nel rilevare una più favorevole risposta, in termini sia di rimodellamento inverso sia di sopravvivenza, nel sesso femminile rispetto al maschile, un vantaggio che permane anche dopo correzione per la diversa prevalenza di eziologia ischemica dello scompenso, come del resto osservato anche per il trattamento betabloccante. La necessità di allargare ad una più ampia platea di donne questa opzione terapeutica rappresenta quindi un’importante sfida per la comunità cardiologica.
La fase avanzata e refrattaria dello scompenso cardiaco ci presenta ancora importanti disparità di genere, commentate da Cipriani et al. Le donne rappresentano solo un quinto dei trapiantati di cuore, non solo per effetto dello sfasamento di età nella presentazione della malattia, ma anche per una maggiore tendenza a rifiutare a lungo la candidatura, alla quale le donne finiscono per arrivare con un quadro clinico più compromesso. Dopo l’intervento gli esiti a distanza sono sovrapponibili, ma la qualità di vita percepita rimane peggiore rispetto ai trapiantati maschi. Questi aspetti richiedono ricerche specifiche e lo sviluppo di programmi di sostegno che migliorino complessivamente i risultati del trapianto nel sesso femminile.
Del resto l’importanza dei fattori psicosociali emerge a più livelli: depressione, minore disponibilità economica ed isolamento sociale, nonché lo stress associato all’impossibilità di svolgere la propria funzione di assistenza, tuttora centrale per la donna all’interno della famiglia, si manifestano più frequentemente nel sesso femminile e correlano con esiti avversi. Le donne che sviluppano una cardiopatia in età giovanile hanno una prognosi peggiore rispetto agli uomini, e fattori psicosociali possono essere determinanti nel mantenere abitudini di vita poco salutari come il fumo di sigaretta e la sedentarietà, nella mancata aderenza alle raccomandazioni terapeutiche, nel ritardo nella richiesta di aiuto sanitario, che si traduce in trattamenti più tardivi e maggiore incidenza di complicanze. Una metanalisi di studi randomizzati sull’utilità degli interventi psicosociali non ha dimostrato un’efficacia inequivocabile nelle donne 8. Anche questi aspetti offrono un’opportunità di ricerca per la comprensione delle migliori modalità di approccio gestionale psicosociale personalizzato nel sesso femminile.
Aspetti specifici della disfunzione cardiaca nelle donne sono le problematiche delle cardiopatie in gravidanza e la cardiotossicità dell’antitumorale trastuzumab, impiegato nella terapia adiuvante del cancro della mammella.
Le problematiche cardiologiche correlate alla gravidanza, affrontate da De Feo et al., non sono rare e diventeranno più frequenti con l’incremento dell’età materna alla gestazione, una tendenza molto comune nei paesi industrializzati e particolarmente in Italia. Fattori di rischio come il diabete e l’ipertensione, la preeclampsia e l’eclampsia, rappresentano minacce rilevanti per gli esiti della gravidanza nonché per la salute della madre dopo il parto, aumentando il rischio di eventi cardiovascolari precoci nel follow-up.
Tarantini et al. analizzano come il miglioramento della prognosi delle pazienti affette da cancro della mammella, e la lunga aspettativa di vita delle donne in genere, siano destinati ad ampliare la platea delle pazienti a rischio di sviluppare manifestazioni cliniche conseguenti alla cardiotossicità dei trattamenti antitumorali, in particolare degli anticorpi monoclonali diretti contro i recettori HER2. Lo studio dei meccanismi dell’effetto cardiotossico ha fornito affascinanti spunti conoscitivi sulla fisiopatologia dei recettori miocardici e della regolazione cellulare in risposta a diverse noxae patogene. Per contro si è osservato che criteri di selezione stringenti hanno finora precluso il trattamento con trastuzumab a una fascia di popolazione molto estesa, costituita da donne non giovani con preesistenti fattori di rischio e cardiopatia strutturale, che potrebbe trarne beneficio con un accettabile profilo di sicurezza. Entrambe queste situazioni rappresentano nuove sfide per il cardiologo, che deve affrontarle ancora una volta con un approccio multidisciplinare con i ginecologi e gli oncologi.
Infine, la messa a punto del problema dell’insufficienza cardiaca nella donna rappresenta un’occasione per far emergere le questioni aperte che richiedono interventi di formazione, comunicazione e ricerca:
• il disegno di studi di intervento dovrebbe prevedere l’inclusione di una proporzione di donne rappresentativa della realtà clinica della popolazione affetta da scompenso; questo punto è strettamente connesso con la valutazione dei trattamenti dello scompenso con funzione sistolica conservata, problema tuttora non risolto neppure sotto il profilo metodologico. Ragioni diverse infatti farebbero propendere per studi inclusivi di tutti i profili fisiopatologici dell’insufficienza cardiaca, in particolare nel contesto dello scompenso acuto, o piuttosto per studi specificamente indirizzati ai soggetti con frazione di eiezione ridotta o conservata 9;
• la diversa risposta del cuore femminile agli insulti patogeni e la più lunga speranza di vita dovrebbero essere tenute in considerazione attraverso l’analisi di endpoint secondari specifici per il tipo di alterazioni morfo-funzionali più frequentemente osservato;
• gli aspetti psicologici e sociali meritano un approfondimento specifico, e la qualità di vita dovrebbe essere sempre analizzata anche in rapporto alla differenza di genere nell’ambito degli studi sia di tipo interventistico sia di tipo osservazionale.
Da ultimo, anche se solo indirettamente correlato all’oggetto del presente Supplemento, due parole sulla differenza di genere nella cura dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca. Ci limiteremo all’ambito professionale, senza parlare del carico assistenziale posto sui familiari, quindi tipicamente sulle donne (mogli, figlie, nuore, ecc.), in particolare in Italia. Il congresso 2012 dell’International Society for Heart and Lung Transplantation include una sessione dal titolo “Transplant Cardiology: a rare medical world where women thrive”. Relatrice invitata è Sharon A. Hunt, primo autore dell’ultima edizione nordamericana delle linee guida sull’insufficienza cardiaca 10, e valida rappresentante di un gruppo di donne che si sono messe particolarmente in luce nell’ambito dell’insufficienza cardiaca e/o del trapianto di cuore, tra le quali citiamo, in ordine alfabetico e con il timore di dimenticarne qualcuna di altrettanto importante, Maria Rosa Costanzo, Mariell Jessup, Donna M. Mancini, Lynne W. Stevenson, Hannah H. Valantine. Ci si chiede perché sia difficile trovare una prevalenza così alta di donne in posizione di leadership culturale in altri campi della cardiologia e al di fuori degli Stati Uniti. È da notare inoltre che, anche nel campo dell’insufficienza cardiaca e del trapianto, e anche negli Stati Uniti, alla competenza riconosciuta e al ruolo di opinion leader non si accompagna sempre una rappresentazione proporzionale nelle posizioni di vertice delle società di settore e nei comitati scientifici degli studi più importanti.
È probabile che più di uno pensi che occuparsi di una condizione cronica la cui gestione può essere meglio riassunta dal verbo “to care” che dal verbo “to cure” sia un’attività adatta alle donne, per ragioni non sostanzialmente diverse da quelle per le quali è ritenuta essere adatta alla professione infermieristica (che pure occupa prevalentemente donne). Affermare che le donne siano più abili nella gestione della complessità e delle problematiche relazionali che caratterizzano i pazienti con insufficienza cardiaca (basti pensare alle comorbilità, alla politerapia, all’importanza della consapevolezza del paziente) potrebbe per contro valorizzare la specificità di genere, ma anche rappresentare una versione solo un po’ edulcorata della posizione precedente. Così come le donne cardiopatiche, in particolare quelle affette da insufficienza cardiaca, meritano un’attenzione specifica e pari opportunità di cura, le donne medico, e in particolare le specialiste in cardiologia, meritano il riconoscimento professionale, scientifico e, perché no, di posizione gerarchica ed economica, proporzionato alle competenze e all’impegno.
Per la sua elevata prevalenza e complessità, e per la varietà e la rilevanza dei quesiti aperti e dei bisogni non soddisfatti, l’insufficienza cardiaca rappresenta un campo vasto e affascinante nel quale mettere in gioco (tutti, donne e uomini) la nostra intelligenza, iniziativa e determinazione.

bibliografia
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4. Maas AH, van der Schouw YT, Regitz-Zagrosek V, et al. Red alert for women’s heart: the urgent need for more research and knowledge on cardiovascular disease in women: proceedings of the workshop held in Brussels on gender differences in cardiovascular disease, 29 September 2010. Eur Heart J 2011;32:1362-8.
5. Adams KF Jr, Patterson JH, Gattis WA, et al. Relationship of serum digoxin concentration to mortality and morbidity in women in the Digitalis Investigation Group trial: a retrospective analysis. J Am Coll Cardiol 2005;46:497-504.
6. Shin JJ, Hamad E, Murthy S, Piña IL. Heart failure in women. Clin Cardiol 2012; 35:172-7.
7. Frazier CG, Alexander KP, Newby LK, et al. Associations of gender and etiology with outcomes in heart failure with systolic dysfunction: a pooled analysis of 5 randomized control trials. J Am Coll Cardiol 2007;49: 1450-8.
8. Linden W, Phillips MJ, Leclerc J. Psychological treatment of cardiac patients: a meta-analysis. Eur Heart J 2007;28:2972-84.
9. Felker GM, Pang PS, Adams KF, et al. Clinical trials of pharmacological therapies in acute heart failure syndromes: lessons learned and directions forward. Circ Heart Fail 2010;3:314-25.
10. Hunt SA, Abraham WT, Chin MH, et al. 2009 Focused update incorporated into the ACC/AHA 2005 guidelines for the diagnosis and management of heart failure in adults. A report of the American College of Cardiology Foundation/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines developed in collaboration with the International Society for Heart and Lung Transplantation. J Am Coll Cardiol 2009;53:e1-e90.