Somministrazione endovenosa rapida intermittente
di alte dosi di diuretico dell’ansa e rischio
di ototossicità iatrogena: una questione lasciata irrisolta
dallo studio DOSE


Lo studio DOSE1, che ha valutato dosi e modalità di somministrazione della terapia con diuretico dell’ansa in corso di ri­acutizzazione di scompenso cardiaco, accrediterebbe una sostanziale equivalenza in termini di sicurezza ed efficacia delle due modalità di somministrazione (bolo e.v. vs fleboclisi lenta), con una efficacia rispetto ai sintomi lievemente – anche se non significativamente – superiore registrata per il regime con alte dosi. Invero è certamente più corposa l’evidenza fornita dagli studi, piuttosto numerosi, che hanno documentato un maggiore effetto di decongestione e un minore rischio di ipercreatininemia iatrogena, a parità di dose diuretica, per l’infusione e.v. lenta 2-5. Inoltre, anche nello studio DOSE, la probabilità di elevazione, ancorché transitoria, della creatininemia è risultata significativamente maggiore utilizzando le alte dosi, sicché, sulla base di questa evidenza1,5, sarebbe desiderabile evitare picchi di concentrazione diuretica plasmatica troppo elevati e ripidi, tali da innescare una condizione, talora rapidamente reversibile, talora no, di riduzione marcata del flusso renale e/o del volume del filtrato glomerulare (GFR) suscettibile di esitare in insufficienza renale funzionale (cosiddetta “iperazotemia pre-renale”).
Nei commenti allo studio6, poi, non è stata affrontata la questione, forse giudicata ovvia, della possibile diversificazione della terapia a seconda del contesto clinico. Infatti, il rischio di sindrome cardiorenale, nella fattispecie di tipo 2 secondo la classificazione nosografica di Ronco et al.7 cioè disfunzione renale anche transitoria che è propiziata o precipitata da preesistente scompenso cardiaco cronico (SCC) – è di certo più alto in presenza di SCC biventricolare o di SCC destro isolato piuttosto che in caso di SCC esclusivamente sinistro. Potrebbe apparire pertanto giustificato teorizzare dosi e vie di somministrazione di diuretico dell’ansa diverse, a seconda che si tratti di fronteggiare uno stato di congestione venosa sistemica (edemi declivi, fegato da stasi cronica, turgore venoso giugulare, fino all’ascite voluminosa o all’anasarca franco) o che sia necessario rimediare prontamente ad un edema polmonare acuto. Ancora, ci sarebbe piaciuto vedere rimarcato nei commenti che, pur essendo la prognosi quoad vitam peggiore nei pazienti con frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) menomata, non esiste invece una differenza significativa nel rischio di sviluppare disfunzione renale quando si confrontino pazienti scompensati aventi FEVS depressa con pazienti scompensati con FEVS preservata. Nel determinismo della disfunzione renale in corso di SCC, riveste piuttosto un ruolo critico (unitamente alle eventuali antecedenti comorbilità renali note o misconosciute, non secondarie a SCC), l’ipertensione venosa sistemica da SCC destro o biventricolare, responsabile di riduzione del gradiente di perfusione artero-venoso intrarenale e di calo del GFR.
Inoltre, a nostro avviso, la deplezione di volume intravascolare diuretico-indotta ricorre piuttosto spesso come fattore iatrogeno corresponsabile di disfunzione renale tanto nei pazienti con FEVS depressa quanto in quelli con FEVS preservata, specie nei casi in cui una energica terapia diuretica sia abbinata ad ACE-inibizione massimale, con il potenziale di indurre contrazione paradossa del GFR (per vasodilatazione incongrua delle arteriole efferenti che causa un abbassamento nocivo della pressione intracapillare glomerulare nel paziente già sodio- e volume-depleto).
Le perplessità di fronte a questa valorizzazione dei boli rapidi ripetuti di diuretico per la terapia della congestione nella riacutizzazione di scompenso cardiaco non sembrano affievolirsi neanche a fronte della considerazione che lo studio DOSE è stato realizzato sotto l’alto patrocinio del National Heart, Lung and Blood Institute dei National Institutes of Health statunitensi (gli stessi che avevano promosso la valorizzazione dei diuretici tiazidici come monoterapia di prima linea dell’ipertensione arteriosa nel megatrial ALLHAT 8). I dubbi anzi permangono e danno la stura ad ipotesi e divagazioni che non è il caso di riportare qui. Basti semplicemente rimarcare che è noto il potenziale di danno acustico grave legato alla somministrazione rapida di alte dosi di diuretico dell’ansa – non solo l’acido etacrinico ormai desueto, ma la stessa furosemide5,9. In particolare, sono state segnalate lesioni irreversibili dell’organo del Corti per somministrazione e.v. di alte dosi di furosemide tanto nello SCC5,9 quanto nell’insufficienza renale cronica10.
Infine, il fatto che a 60 giorni nello studio DOSE, in assenza di significative differenze di outcome clinico fra gruppi aventi differenti modalità di terapia diuretica, ben il 42% dei pazienti sia finito incasellato sotto l’endpoint composito di morte + ri­ospedalizzazione dovrebbe indurci a testare per questi pazienti, con ricorrenti episodi di riacutizzazione della congestione, sovente iponatriemici e coinvolti da riduzione del volume circolante effettivo, dei percorsi terapeutici alternativi, ivi compresa la rimozione meccanica dei fluidi interstiziali in eccesso mediante ultrafiltrazione. Infatti quest’ultimo approccio, in particolare l’ultrafiltrazione lenta, offrirebbe il vantaggio, rispetto al trattamento infusionale diuretico, di una minore stimolazione neurormonale (giacché con l’ultrafiltrazione lenta l’apparato della “macula densa” viene scarsamente attivato essendo le vie escretrici renali bypassate dal sistema di filtrazione artificiale).
Renato De Vecchis, Antonio Ciccarelli,
Carmela Cioppa 
U.O. di Cardiologia
Presidio Sanitario Intermedio “Elena d’Aosta” di Napoli
e-mail: r.de.vecchis@alice.it
BIBLIOGRAFIA
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2. Lahav M, Regev A, Ra’anani P, Theodor E. Intermittent administration of furosemide vs continuous infusion preceded by a loading dose for congestive heart failure. Chest 1992;102:725-31.
3. Dormans TP, van Meyel JJ, Gerlag PG, Tan Y, Russel FG, Smits P. Diuretic efficacy of high dose furosemide in severe heart failure: bolus injection versus continuous infusion. J Am Coll Cardiol 1996; 28:376-82.
4. Adin DB, Taylor AW, Hill RC, Scott KC, Martin FG. Intermittent bolus injection versus continuous infusion of furosemide in normal adult greyhound dogs. J Vet Intern Med 2003;17:632-6.
5. Howard PA, Dunn MI. Effectiveness of continuous infusions of loop diuretics for severe heart failure. J Cardiovasc Med 2006;7:5-10.
6. Natale E, Di Pasquale P, Paterna S. Lo studio DOSE. G Ital Cardiol 2012;13:229-33. 
7. Ronco C, Haapio M, House AA, Anavekar N, Bellomo R. Cardiorenal syndrome. J Am Coll Cardiol 2008;52:1527-39.
8. ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial. Major outcomes in high-risk hypertensive patients randomized to angiotensin-converting enzyme inhibitor or calcium channel blocker vs diuretic: The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). JAMA 2002;288:2981-97.
9. Seligmann H, Podoshin L, Ben-David J, Fradis M, Goldsher M. Drug-induced tinnitus and other hearing disorders. Drug Saf 1996; 14:198-212.
10. Sanjay S, Annigeri RA, Seshadri R, Rao BS, Prakash KC, Mani MK. The comparison of the diuretic and natriuretic efficacy of continuous and bolus intravenous furosemide in patients with chronic kidney disease. Nephrology 2008;13:247-50.


Risposta. Lo studio DOSE ha fornito al clinico un solido supporto scientifico sulla possibilità di impiegare con sicurezza, in pazienti con scompenso cardiaco acuto, differenti modalità – boli o infusione continua – e dosi – alte o basse – di somministrazione e.v. dei diuretici, in assenza di variazioni di rilievo sull’evoluzione dei sintomi e sulla funzione renale1. La platea di pazienti ai quali si rivolge il DOSE è vasta e fortemente rappresentativa della realtà clinica quotidiana dei Pronto Soccorso e delle corsie di Medicina e Cardiologia. Si tratta infatti di pazienti con scompenso cardiaco acuto nelle precedenti 24h, diagnosticato sulla base di almeno un sintomo (dispnea, ortopnea, edema) e un segno (rantoli, edema periferico, ascite, o congestione polmonare alla radiografia del torace), e con storia di scompenso cronico trattato con un diuretico dell’ansa per almeno 1 mese prima dell’ospedalizzazione (a una dose giornaliera compresa tra 80 e 240 mg per la furosemide, o dosi equivalenti per torasemide o bumetanide). La frazione di eiezione non era considerata nei criteri di inclusione. I pazienti più gravi, con ipotensione (pressione arteriosa sistolica <90 mmHg), creatininemia elevata (>3.0 mg/dl) o necessità di agenti vasodilatatori o inotropi (esclusa la digitale), venivano esclusi 1. Questi pazienti non superano in genere il 10% degli accessi in Pronto Soccorso per scompenso cardiaco acuto.
Le considerazioni di De Vecchis et al., pur condivisibili sul piano clinico, non possono alterare né sminuire il messaggio principale dello studio DOSE, che non ha certo la pretesa di sostituirsi alla valutazione e alle scelte del clinico negli specifici contesti e in patologie complesse, diverse e variegate, che hanno come elemento comune lo scompenso cardiaco acuto. Rispetto a studi su tematiche simili presenti in letteratura e citati da De Vecchis et al., il DOSE rimane di gran lunga il più corretto e innovativo sul piano metodologico 2.
D’altronde le recentissime linee guida della Società Europea di Cardiologia sullo scompenso cardiaco ribadiscono che l’obiettivo dei diuretici è ottenere e mantenere la condizione di euvolemia – il cosiddetto “peso secco” – con la minore dose possibile. La dose deve quindi essere riaggiustata dopo il ripristino dell’euvolemia, per evitare il rischio di disidratazione, ipotensione e disfunzione renale. Questa strategia è essenziale per consentire l’utilizzo ottimale dei farmaci prognosticamente utili come ACE-inibitori (o sartani) e antialdosteronici 3.
Enrico Natale  
I U.O.C. di Cardiologia-UTIC
A.O. San Camillo-Forlanini di Roma
e-mail: natale.enrico@tiscali.it
BIBLIOGRAFIA
1. Felker GM, Lee KL, Bull DA, et al.; NHLBI Heart Failure Clinical Research Network. Diuretic strategies in patients with acute decompensated heart failure. N Engl J Med 2011;364:797-805.
2. Natale E, Di Pasquale P, Paterna S. Lo studio DOSE. G Ital Cardiol 2012;13:229-33.
3. McMurray JJ, Adamopoulos S, Anker SD, et al. ESC guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2012: the Task Force for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure 2012 of the European Society of Cardiology. Developed in collaboration with the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur Heart J 2012;33:1787-847.


Risposta. Abbiamo letto con attenzione e interesse la lettera di De Vecchis et al. inerente al commento allo studio DOSE1. Nello studio gli autori non fanno alcuna menzione sugli effetti ototossici legati alla somministrazione di furosemide, non sappiamo se questo sia dipeso dal fatto che nessun effetto tossico si è manifestato o se tale complicanza non sia stata considerata (propendiamo per la seconda ipotesi). Del resto gli effetti ototossici della furosemide sono noti. In un recente studio del nostro gruppo2 abbiamo osservato una incidenza del 7% di tinnito in pazienti trattati con alte dosi di diuretico ma con dieta iposodica rispetto a nessun caso in pazienti riceventi le stesse dosi di diuretico ma con dieta sodica normale e soluzioni ipertoniche durante l’ospedalizzazione, confermando dati precedenti3. Questo risultato probabilmente è dovuto all’ottenimento e mantenimento di un’euvolemia che inibisce il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS). Nel commento infatti stigmatizzavamo il ruolo della sodiemia e della volemia plasmatica nei pazienti con scompenso cardiaco. L’alterazione di questi parametri sono responsabili dell’attivazione vasopressinica, che nello scompenso è non osmosi-dipendente, infatti nei pazienti anche anasarcatici abbiamo un aumentato rilascio di vasopressina con i suoi effetti sui canali dell’acqua libera a livello renale, che dipende più dalla riduzione della volemia e che subisce un incremento in risposta alla somministrazione di diuretici, che riducono ulteriormente la volemia plasmatica, con ulteriore attivazione del RAAS già iperattivato, contribuendo alla riduzione del flusso renale, che risulta peggiorato dall’uso di diete a basso contenuto di sodio (ciò avviene a prescindere se somministrato in bolo o in infusione continua). Concordiamo come commentato che l’infusione continua per ottenere gli stessi effetti necessita di un dosaggio più basso di furosemide, con minori acuzie nella stimolazione neurormonale, ma ambedue le somministrazioni determinano una riduzione del volume plasmatico con i problemi sulla funzione renale forse in tempi diversi ma analoghi. Tutte queste associazioni sono responsabili della cosiddetta sindrome cardio-renale che riteniamo più come una sindrome iatrogena da incongruo e non corretto uso dei diuretici con alterazione della dinamica dei fluidi. Lo scompensato è pieno di liquidi (edemi) ma che si trovano principalmente nello spazio extravascolare. L’obiettivo della terapia è di permettere l’eliminazione (tramite diuresi) di questi liquidi riportandoli prima nel distretto vascolare e migliorando la volemia, il flusso renale e disattivando il RAAS renale e la vasopressina non osmoticamente stimolata. Purtroppo in questi pazienti anche a causa dell’iposodiemia angiotensina II-dipendente e dall’attivazione della vasopressina, si osserva un maggiore assorbimento di acqua libera, anche a causa dell’ upregulation dei canali dell’acquaporina a livello tubulare, con riduzione anche dei valori del sodio. I diuretici si innestano in questo sistema riducendo la volemia e determinando una riduzione di flusso renale con peggioramento della funzione renale e parallela riduzione della sodiemia con conseguente dannoso aumento dell’attività neurormonale. Lo scompenso inizia come problema di un organo (cuore) ma poi diventa un problema che coinvolge l’organismo nella sua interezza, nel tentativo di mantenere una sufficiente perfusione di tutti gli organi. Infatti un trattamento che tiene conto dell’introito ed eliminazione di liquidi e mantenimento dello stato euvolemico, e il mantenimento di una normale sodiemia (pochi studi di comparazione esistono sul ruolo del sodio nello scompenso) ha riportato risultati fortemente favorevoli 4. La recente rassegna Cochrane5 inoltre riprende il problema del sodio anche nella popolazione generale con risultati non cosi confortanti per gli assertori di una riduzione del sodio nella dieta, in accordo anche con dati sperimentali6. Infine, è di interesse la discussione sui pazienti congesti e con alterazioni della funzione cardiaca biventricolare o della prevalenza di danno delle sezioni destre, che presentano una severa congestione degli organi ipocondriaci, e ripercussioni sui gradienti venosi renali, con disturbo dell’effetto dei diuretici, ma anche qui ricordando che oltre il 60% del volume plasmatico è nel distretto venoso. Una terapia con alte dosi di diuretici associata ad infusione concomitante di soluzioni saline ipertoniche e ad una riduzione d’introito di liquidi ha determinato una imponente diuresi con la scomparsa della congestione del distretto addominale e ripristino di una corretta volemia con inverosimili effetti benefici a lungo termine. Lo stesso dicasi per le alte dosi di diuretico utilizzate che non hanno prodotto danni renali, come da sempre paventato. Questo potrebbe anche essere un risultato dello studio DOSE, anche se in questo studio questo risultato è discutibile e su ciò concordiamo con De Vecchis et al., ma è corretto aggiungere che la somministrazione di alte dosi ha comportato una più rapida decongestione, dato di non poca importanza in questi pazienti, per cui la critica alla somministrazioni di alte dosi di diuretici va rivista, e corretta e formulata secondo il grado di congestione del paziente. È più utile non indurre incrementi di creatinina o ottenere una più rapida decongestione con tutti i suoi benefici? Lo stesso non può dirsi dei pazienti con frazione di eiezione apparentemente conservata, in cui si nota a volte uno stato di ritenzione di liquidi, in cui la terapia diuretica deve essere personalizzata. L’utilizzo dell’ultrafiltrazione suggerita da De Vecchis et al., a prescindere dei costi, delle complicanze e dei benefici a lungo termine non ben stabiliti, potrebbe trovare indicazione nei pazienti poco responsivi, ricordando che il suo principio è quello di sottrazione di acqua libera con refilling da richiamo osmotico, con ottenimento di una lenta riduzione della congestione ed una minore ma non assente stimolazione neurormonale. Stimolazione neurormonale inibita invece mantenendo un’euvolemia e un corretto bilancio di entrata e uscita di liquidi e normale sodiemia plasmatica.
Pietro Di Pasquale1, Salvatore Paterna2
1Divisione di Cardiologia “Paolo Borsellino”
Ospedale G.F. Ingrassia di Palermo
2Dipartimento di Medicina d’Urgenza
Università degli Studi, Policlinico “P. Giaccone” di Palermo
e-mail: lehdi@tin.it
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