In questo numero



processo ai grandi trial

Un RITardo provvidenziale
Chi avrebbe mai detto, all’esordio degli ICD, che per aritmie rapidamente mortali come le tachiaritmie ventricolari ritardare o limitare alle frequenze più elevate gli interventi salvavita di un defibrillatore impiantato avrebbe ridotto la mortalità? Questo sembrano indicare i risultati dello studio MADIT-RIT, in cui terapie ritardate (fino a 60 s) o circoscritte a frequenze >200 b/min hanno consentito, rispetto ad una programmazione convenzionale, una riduzione non solo degli interventi inappropriati o non necessari dei dispositivi, ma anche della mortalità per tutte le cause. Il trial è discusso da Emanuela Locati, che motiva il razionale del trial ed analizza i meccanismi che possono spiegarne i risultati apparentemente paradossali, e da Alessandro Proclemer, che pur accogliendo positivamente le conclusioni del MADIT-RIT evidenzia i limiti dello studio, in particolare l’impiego di una sola tipologia di dispositivi e l’applicabilità ai soli pazienti in prevenzione primaria. In ogni caso, a distanza di svariati lustri dall’esordio clinico degli ICD, il messaggio del trial è di considerare una programmazione meno aggressiva delle terapie elettriche. •




editoriali

Ancora nebbia nella prevenzione del tromboembolismo dopo impianto di protesi biologica aortica?
Dal primo intervento di Hufnagel, che nel 1952 impiantò una valvola a sfera nell’aorta discendente di un paziente affetto da insufficienza aortica, il trattamento chirurgico delle valvulopatie aortiche si è sviluppato a tal punto da divenire uno degli interventi più frequenti nei paesi occidentali, con ricorso alla sostituzione della valvola nativa con protesi valvolare meccanica o biologica qualora non sia possibile una chirurgia riparativa. Negli ultimi anni il netto miglioramento delle performance idrodinamiche e della durabilità delle bioprotesi ha favorito un costante incremento del loro impiego nella sostituzione valvolare aortica, anche in pazienti relativamente giovani, tanto che oggi le protesi valvolari biologiche non possono più essere considerate “cenerentole” rispetto alle longeve protesi meccaniche che fino ad un recente passato hanno dominato in modo incontrastato la scena della chirurgia sostitutiva della valvola aortica. La differenza sostanziale fra i due modelli di protesi è il rischio tromboembolico, assai più elevato per le protesi meccaniche rispetto a quelle biologiche. In presenza di protesi valvolare meccanica l’algoritmo terapeutico antitrombotico è chiaro: solo dicumarolici. Al contrario, è ancora incerta quale sia la migliore strategia da adottare in presenza di bioprotesi aortica, a minor potenziale trombogenico. Le raccomandazioni delle attuali linee guida sono variabili e la loro applicazione è altrettanto variabile fra i diversi centri cardiochirurgici. Alcuni centri continuano il trattamento con dicumarolici per almeno 3 mesi dopo l’intervento a costo di un elevato rischio di complicanze emorragiche, altri propongono una doppia terapia antitrombotica (warfarin e aspirina), altri ancora la sola aspirina. In assenza di evidenze solide, come orientarsi fra i diversi algoritmi terapeutici proposti? Antonino Marullo et al. tentano di fornire una risposta a questo complesso ed ancora dibattuto argomento, suggerendo che l’anticoagulazione può non essere necessaria per bioprotesi aortiche in assenza di fattori di rischio embolici associati. Da autorevoli esperti ecco un messaggio pratico in attesa di studi prospettici e randomizzati in grado di definire in modo certo l’efficacia di un approccio antitrombotico non aggressivo nella prevenzione del tromboembolismo dopo impianto di protesi biologiche aortiche. •




La “Nota 13”: che sia sotto il segno di Paperino?
Che il numero 13 abbia un significato ambiguo, lo sappiamo. In numerologia il 13 è un numero karmico, associato alla fine di un ciclo ma anche all’ineluttabilità del cambiamento ed alla rinascita. Questo aspetto contraddittorio si riflette anche nelle differenti credenze popolari. In Italia il numero 13 ha una valenza molto positiva, pensiamo al Totocalcio dove “fare 13” equivale ad un ottimo risultato. Non è così ovunque. Negli Stati Uniti i grattacieli non hanno il tredicesimo pulsante nell’ascensore, ma un 12 bis, o gli alberghi sono privi di stanza numero 13. Anche la mitica “car” dello squattrinato Paperino ha una targa accanitamente evidenziatrice della cifra menagrama. Non è un caso che si rompa spesso ed abbia costante bisogno di riparazioni. Nel nostro panorama normativo la Nota 13 AIFA che riguarda la rimborsabilità degli agenti ipolipemizzanti pare avere un vissuto tormentato come la disneyana “313”. Nel novembre 2012 l’AIFA ha pubblicato l’ennesima revisione della Nota 13 con l’obiettivo, certamente meritorio, di adeguarla alle nuove indicazioni normative e raccomandazioni delle società scientifiche di riferimento. Ma le modifiche apportate, al di là delle inevitabili critiche su una materia così scottante, sono in massima parte condivisibili? In un appassionato editoriale Furio Colivicchi et al. sottolineano le insidie della nuova Nota 13, ne evidenziano incongruenze, contraddizioni e difficoltà di applicazione nella quotidiana pratica medica, tanto da chiedere con forza una revisione della normativa, almeno per quanto riguarda la sua efficacia applicativa e la sua validità scientifica. Un editoriale da non perdere che apre un ampio dibattito su un argomento di estrema rilevanza clinica nell’ambito di una sostenibile, ma anche scientificamente corretta, pianificazione della nostra politica sanitaria. •




rassegna

Il Grande Fratello del cardiopatico portatore di dispositivo
Da alcuni anni il controllo di pacemaker, defibrillatori e loop recorder impiantati avviene sempre più spesso mediante il monitoraggio a distanza, che sfrutta la trasmissione telefonica di dati raccolti dal dispositivo a server consultabili da medici autorizzati. La trasmissione in tempo reale di informazioni relative non solo allo stato del dispositivo ma anche a dati clinici del paziente (frequenza cardiaca spontanea, presenza di aritmie sopraventricolari e ventricolari, parametri correlabili all’attività fisica o alla presenza di stato congestizio) apre la possibilità di trattare tempestivamente o addirittura prevenire non solo eventuali anomalie del dispositivo, ma situazioni squisitamente cliniche del paziente monitorato. La rassegna di Luca Santini et al. illustra lo stato dell’arte di questa tecnologia in riferimento alle “pandemie cardiologiche” del nuovo millennio, lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale. Vengono evidenziate le potenzialità, i vantaggi certi, quelli ipotetici ed i limiti dei diversi sistemi di monitoraggio attualmente disponibili. Una lettura sicuramente interessante ed informativa anche per i cardiologi che non si occupano direttamente di impiantistica, anche in considerazione di una crescente diffusione del numero dei cardiopatici portatori di dispositivi.




studio osservazionale

“Nessuno è tanto vecchio da non poter sperare in un altro giorno di vita. E un solo giorno è un momento della vita” [Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65]
La popolazione delle economie più sviluppate subisce da diversi decenni un costante processo di invecchiamento, risultato di vari fattori come l’allungamento dell’aspettativa di vita, la riduzione del tasso di mortalità e l’abbassamento della natalità. Il nostro Paese non fa eccezione. Anzi nel contesto europeo l’Italia si configura come “il paese più vecchio” con un capovolgimento della piramide per età, in passato con una base molto larga e una punta stretta, oggi con una base ridotta e una punta sempre più ampia. A così radicali mutamenti demografici si associano profondi cambiamenti epidemiologici, contraddistinti dalla marcata riduzione delle malattie infettive e dall’affermarsi di patologie cronico-degenerative, che caratterizzano una popolazione anziana. Una delle patologie degenerative più frequenti è la stenosi aortica, che oggi può essere trattata efficacemente con approccio cardiochirurgico o transcatetere, ma la cui prevalenza nel nostro territorio è poco nota. Nell’ottica di una pianificazione della nostra economia sanitaria il gruppo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria S. Orsola-Malpighi di Bologna, in collaborazione con i medici di medicina generale, si è prefissato di colmare questa lacuna. Con uno studio di coorte epidemiologico effettuato mediante una valutazione clinica e/o strumentale di soggetti “anziani” e “grandi anziani” residenti in un’area urbana alle porte di Bologna, Barbara Bordoni et al. forniscono informazioni su quale sia oggi l’impatto del processo di invecchiamento sul tasso di prevalenza della stenosi aortica, lo scenario dell’attuale qualità dell’assistenza ambulatoriale con i suoi limiti organizzativi ed una stima dei potenziali interventi terapeutici, da cui potrebbero trarre beneficio in termini di qualità di vita e sopravvivenza soggetti anche molto anziani. Nell’editoriale di accompagnamento Stefano Nistri et al. affrontano con eleganza questi attualissimi temi ed i problemi connessi all’adeguatezza ed equità dell’assistenza sanitaria. Una riflessione su come modificare il nostro approccio gestionale in un’era in cui si comincia a prefigurare un nuovo modello di società dove non solo la terza età, ma anche la quarta età è formata da individui autosufficienti, non più emarginati ed esclusi dalla vita attiva, ma in grado di partecipare attivamente alla vita sociale e culturale del nostro Paese. •




controversie in medicina cardiovascolare

Conviene sganciare la cintura di sicurezza dopo l’ablazione?
Il tema della controversia, apparentemente secondario, è in realtà centrale in quanto sottintende l’interazione tra gli aspetti più importanti e problematici della fibrillazione atriale: il rischio tromboembolico, la terapia anticoagulante a tempo indefinito, l’efficacia a lungo termine dell’ablazione.
La controversia è affrontata da due campioni rispettivamente dell’aritmologia interventistica, Sakis Themistoclakis, e della cardiologia clinica, Giuseppe Di Pasquale. Il primo sostiene la possibilità di interrompere l’anticoagulazione in virtù della bassa incidenza di eventi tromboembolici post-ablazione nelle casistiche pubblicate, e del rischio emorragico di una terapia anticoagulante a lungo termine. Il secondo è invece a favore di un trattamento a tempo indefinito, valorizzando i dati che evidenziano l’occorrenza di recidive aritmiche specie asintomatiche nel follow-up e prospettando un miglior profilo di sicurezza dei nuovi farmaci anticoagulanti. Sullo sfondo un’altra grande controversia: è possibile oggi guarire dalla fibrillazione atriale con un’ablazione?




casi clinici

Difetto di Gerbode: c’è un’alternativa alla cardiochirurgia?
Il difetto del setto ventricolare, che mette in comunicazione la camera ventricolare sinistra con l’atrio destro, è una rara anomalia, descritta per la prima volta nel 1857 da Buhl ma meglio studiata da Frank Gerbode, da cui prende il nome. È in prevalenza congenita, ma talora acquisita, complicanza di interventi cardiochirurgici, procedure elettrofisiologiche, traumi toracici e fenomeni infettivi o infartuali. Maria Francesca Notarangelo et al. descrivono il caso di un uomo di 69 anni con sintomatologia dispnoica e riscontro ecocardiografico, seppur tardivo, di un raro difetto di Gerbode acquisito secondario a chirurgia della mitrale. Che la diagnosi del difetto del setto ventricolare non sia agevole e sia spesso tardiva non stupisce. L’ampia variabilità della presentazione clinica secondaria all’entità dello shunt ed i limiti di risoluzione dell’ecocardiografia transtoracica possono condizionare la tempestività della diagnosi. Problematico è anche l’intervento cardiochirurgico, che sebbene costituisca il gold standard nella maggior parte dei difetti ventricolari, è gravato da un elevato tasso di mortalità intraoperatoria e da recidive tardive. Esiste un’alternativa terapeutica a minor rischio? Forse sì. L’approccio transcatetere per via percutanea, una procedura che si è dimostrata efficace e sicura nella chiusura di difetti interatriali o interventricolari, ma raramente applicata nei pazienti con difetto di Gerbode. Ed è questa l’opzione terapeutica che gli autori hanno adottato con successo in questo paziente ad alto rischio per reintervento cardiochirurgico. Un interessante caso clinico per la rarità dell’anomalia e la peculiarità dell’approccio terapeutico, ancora poco descritto in letteratura.




Non sempre è conveniente essere giganti
Nel 2000 a.C. i medici cinesi ritenevano che normalmente il cuore fosse costituito da due cavità, ma che un uomo altamente dotato potesse averne sette, mentre un idiota solo una e piccola. Per secoli le conoscenze sul cuore e le sue funzioni furono vaghe e fortemente condizionate da implicazioni magico-religiose. Solo nel Rinascimento fu evidente che il cuore era diviso in quattro cavità, con due ventricoli e due auricole, ma il cuore continuò ad essere considerato, come ai tempi di Aristotele e Galeno, il centro dell’intelligenza e delle emozioni. Innovazioni fondamentali furono apportate da Andrea Vesalio nella metà del XV secolo, che collocò il cuore al centro del circolo vascolare. Da allora la fisiologia e fisiopatologia del cuore si è ulteriormente evoluta, ma la conoscenza della funzione delle camere atriali è storia recente. Fino ad alcuni anni fa si riteneva che l’atrio fosse una mera appendice con la sola funzione di debole pompa deputata unicamente al riempimento dei ventricoli, oggi invece viene considerato un organo più complesso con aspetti anatomici e funzionali che ne fanno una componente speciale della pompa cardiaca. Interviene non solo nella genesi del ritmo e del ciclo cardiaco e nella distribuzione sequenziale dell’attivazione elettromeccanica del miocardio ma ha anche funzioni neuroendocrine in grado di influenzare il delicato meccanismo dell’omeostasi circolatoria. È spesso ritenuto causa o concausa di scompenso cardiaco, oltre ad essere sede della più frequente aritmia cardiaca e sede di partenza delle embolie cerebrali più devastanti. Andrea Sonaglioni et al. presentano un caso di atrio sinistro gigante (uno dei più voluminosi fra quelli descritti in letteratura) secondario a cardiopatia valvolare mitralica post-reumatica in una paziente portatrice di protesi meccanica mitralica ed affetta da fibrillazione atriale permanente, giunta alla loro osservazione per la riacutizzazione di uno scompenso cardiaco congestizio associato a segni di bassa portata. Quanta colpa ha un atrio sinistro di dimensioni così imponenti nell’eziopatogenesi dello scompenso cardiaco e della condizione acuta di bassa portata? Ce lo spiegano gli autori in questo originale caso clinico che offre ai lettori un’occasione per riflettere sulla moderna concezione della fisiopatologia dell’atrio e sulle conseguenze cliniche delle alterazioni anatomiche e funzionali dovute a patologie degenerative ed infiammatorie delle camere atriali. •




Un trattamento “siringa e martello”
per l’embolia polmonare
Anna Salerno et al. presentano il primo caso italiano di trombolisi “farmaco-meccanica”, una innovativa modalità di trattamento transcatetere che prevede la sinergia tra trombolisi loco-regionale e l’impiego di ultrasuoni erogati nelle arterie polmonari. Gli ultrasuoni hanno il potenziale di frammentare meccanicamente il trombo, facilitando contemporaneamente la penetrazione all’interno della massa trombotica del farmaco, la cui efficacia risulta aumentata. Ciò consente dosi ridotte del trombolitico e consensualmente un minor rischio emorragico. Tuttavia come illustra il caso clinico, in cui è palese l’efficacia del trattamento, l’invasività della procedura comporta un rischio di sanguinamenti maggiori legato agli accessi vascolari. Trattandosi di una procedura relativamente complessa e onerosa è difficile prevederne un impiego su larga scala. Tuttavia la possibile estensione delle indicazioni alla trombolisi sistemica nei casi di embolia polmonare a rischio intermedio, prefigurato dalla recente presentazione dei dati dello studio Peitho, potrebbe “trascinare” la trombolisi farmaco-meccanica in pazienti selezionati per rischio elevato di emorragie sistemiche, se trial ad hoc valideranno un favorevole profilo beneficio/rischio di questo promettente approccio. •




position paper

Nuovi anticoagulanti orali: fumata bianca?
Questo position paper dell’ANMCO rappresenta un documento esaustivo e allo stesso tempo snello e leggibile, grazie a tabelle e paragrafi ben organizzati, sulla prevenzione del tromboembolismo nella fibrillazione atriale in cui spicca il ruolo dei nuovi anticoagulanti. Partendo dagli aspetti fisiopatologici e passando attraverso l’analisi dei recenti trial che hanno testato efficacia e sicurezza delle tre principali nuove molecole (dabigatran, rivaroxaban e apixaban), il documenta arriva nel dettaglio degli aspetti prescrittivi: la selezione dei pazienti (evidenziando indicazioni prioritarie, anche in vista di possibili limiti imposti da piani terapeutici), i dosaggi, le modalità dello switch dagli antagonisti della vitamina K, la gestione periprocedurale in chirurgia generale ed in concomitanza di cardioversione elettrica ed ablazione transcatetere. Un documento concepito per la lettura e per la consultazione, da conservare. Anche perché pare vicina la “fumata bianca” per la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale delle nuove molecole , e di conseguenza la possibilità di impiegarle su larga scala. La comunità dei cardiologi ospedalieri è pronta ... •