Politerapia e polifarmacia nell’anziano
con scompenso cardiaco cronico

Nicola Ferrara1, Pierfranco Terrosu2, Giuseppe Zuccalà3, Alberto Corsini4
1Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi “Federico II”, Napoli, e
Fondazione S. Maugeri, IRCCS, Istituto Scientifico di Telese Terme (BN)
2UO Cardiologia, Ospedale SS. Annunziata, Sassari
3Dipartimento di Gerontologia e Geriatria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
4Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi, Milano
Population aging is associated with an increasing prevalence of chronic diseases (including chronic heart failure) and comorbidities (the presence of one or more diseases in addition to an index disease, potentially contributing to disability) which, in turn, expands the need for healthcare services. Therefore, the already elevated costs in the National Health Services are expected to rise further over the next decades, along with increasing aging of the population. This epidemiologic trend is responsible for the increasing occurrence of polytherapy (multiple medications prescribed to an individual patient) and polypharmacy (multiple medications not directly prescribed by a physician). Owing to often unpredictable interactions, polytherapy and polypharmacy are associated with higher risk of adverse drug reactions with increased mortality and hospitalizations that contribute to increase direct and indirect National Health Services costs. Physicians, patients and caregivers should be instructed in strategies aimed at reducing adverse drug reactions while maintaining optimal management of conditions that, such as chronic heart failure, are at high risk of death, functional impairment and deteriorated quality of life. Strategies consist of a variety of interventions, such as reducing inappropriate medication prescriptions and number of medications and doses taken, avoiding drugs with greater potential of interactions, and increasing patient adherence.
Key words. Chronic heart failure; Drug interactions; Drug polytherapy; Patient adherence; Polypharmacy.


L’invecchiamento della popolazione1,2 sta comportando un aumento della prevalenza delle malattie cronico-degenerative (incluso lo scompenso cardiaco cronico, SCC) ed un importante incremento della comorbosità, già trattata in dettaglio in altro capitolo di questo Supplemento, definita come la contemporanea presenza di più malattie croniche, oltre ad una malattia “indice”, associata a declino funzionale e disabilità3-11.
Tale trend demografico ed epidemiologico ha avuto come diretta conseguenza l’impiego contemporaneo di più farmaci prescritti dal medico (politerapia), nonché l’utilizzo di più farmaci non prescritti (e/o l’eccessiva somministrazione di farmaci prescritti), non tutti strettamente necessari ad una cura appropriata (polifarmacia)12. La politerapia e la polifarmacia rappresentano tra i più importanti fattori di rischio per insorgenza di reazioni avverse da farmaci, ritenute responsabili, tra l’altro, di scarsa qualità di vita, ospedalizzazioni ripetute ed incremento dei costi e della mortalità13-17.
Una problematica specifica riguarda l’uso dei farmaci da banco che, nei paesi occidentali, sta diventando un fenomeno di crescente rilevanza. È importante evidenziare che gli anziani ricevono in media 6-7 farmaci prescritti, ma che il 90% di loro assume più di un farmaco e il 50% da 2 a 4 farmaci da banco12. Inoltre, tra il 47% e il 59% assume vitamine o minerali, e tra l’11% e il 14% prodotti di erboristeria12. Per quanto riguarda i farmaci da banco, proprio in anziani affetti da SCC, è stata dimostrata una relazione significativa tra l’uso di lassativi/antiacidi ed ipermagnesiemia, condizione associata ad aumentata mortalità a 3 anni di follow-up14. È interessante osservare che solo il 58% dei pazienti informa il proprio medico dell’assunzione di prodotti da banco12, venendo così a mancare un importante filtro protettivo sulle possibili interferenze con farmaci regolarmente prescritti.
Per quanto specificamente concerne lo SCC, è necessario sottolineare che i farmaci di più comune utilizzo, nonostante il loro impiego sia ampiamente condiviso dalle linee guida e dalla best medical practice, non sono privi di associazioni con le reazioni avverse, cui può corrispondere un aumentato rischio di ospedalizzazione e persino di morte. Per esempio, in una coorte di soggetti ambulatoriali scompensati di età media >72 anni in trattamento con spironolattone18 è stata documentata nei più anziani un’aumentata prevalenza di disfunzione renale e iperkaliemia, rispetto alla stima attesa in relazione ai dati dei trial clinici. Ampio è anche il dibattito relativo all’uso di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina in pazienti con SCC e insufficienza renale associata. Attraverso l’analisi di 12 trial controllati randomizzati19 in pazienti con preesistente insufficienza renale cronica (creatininemia sierica >1.4 mg/dl), è stato stimato un rischio di iperkaliemia 5 volte superiore rispetto alla popolazione con normale funzione renale. Anche elevati livelli di digossinemia, associati a tossicità clinica, rappresentano un comune esempio di reazione avversa nella popolazione anziana con SCC20 con iniziale disfunzione renale e basso peso corporeo.
Dall’analisi complessiva di questi dati si deduce che in pazienti anziani con SCC, al fine di minimizzare i rischi di danno iatrogeno, è particolarmente importante il monitoraggio continuo della funzione renale, del peso corporeo e della kaliemia. Per quanto riguarda i problemi connessi alla terapia digitalica, essa dovrebbe essere riservata solo ai pazienti in cui è ben dimostrato un effetto benefico.
La valutazione globale del paziente anziano, con particolare riferimento alla comorbosità, è centrale al fine di scegliere nel singolo paziente la cosiddetta best tailored therapy. Nel paziente con SCC stabile, vari trial controllati randomizzati di ampie dimensioni (es. COPERNICUS, CIBIS II, CIBIS III) hanno dimostrato in maniera robusta l’utilità dell’uso della classe farmacologica dei betabloccanti. Per tali evidenze, le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano i betabloccanti come trattamento d’elezione del SCC (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A). Sebbene tale evidenza si riferisca all’intera classe dei betabloccanti, le proprietà farmacologiche dei singoli agenti sono ampiamente differenti, in particolare per quanto riguarda la cardio-selettività. Infatti, la β1-selettività del bisoprololo ne favorisce l’utilizzo anche in pazienti con concomitanti problematiche respiratorie. Quindi, la sua sicurezza e maneggevolezza rendono l’uso del bisoprololo preferibile nel trattamento del paziente anziano con SCC e comorbosità broncopolmonare21.
REAZIONI AVVERSE, INTERAZIONI TRA FARMACI, POLITERAPIA E POLIFARMACIA
Studi epidemiologici su popolazioni anziane hanno individuato nella politerapia e polifarmacia un fattore di rischio di mortalità e di morbosità. Tuttavia, pochi sono gli studi disegnati rigorosamente per individuare strategie atte a ridurre le interazioni tra farmaci e l’uso di farmaci non indispensabili12.
Il binomio polifarmacia/politerapia e comorbosità rappresenta la condizione con la maggiore probabilità di interazioni farmaco/malattia e farmaco/farmaco. In particolare, non è raro osservare, specie nella popolazione anziana, sia l’esacerbazione di una malattia indotta dall’uso di un farmaco sia l’interazione tra due o più farmaci. Le interazioni rappresentano una delle componenti delle reazioni avverse da farmaci anche se rimangono difficili da quantificare: si stima che il 10-15% dei pazienti che ricevono una politerapia farmacologica vada incontro ad interazioni di rilevanza clinica, anche se questo dato è forse sottovalutato se si considera che le interazioni non sempre sono identificate o riportate 22,23.
Inoltre, l’impiego sempre più diffuso di erbe e preparati omeopatici pone il problema di possibili interazioni tra i principi attivi in essi contenuti e i farmaci convenzionali. La molteplicità delle interazioni tra più farmaci co-somministrati può essere semplificata convenientemente in due grandi categorie: interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche. Le interazioni sono tanto più probabili quanto più numerosi sono i farmaci impiegati in politerapia, e anzi crescono in modo esponenziale (secondo la formula: numero di interazioni = [(numero di farmaci x numero di farmaci)-1/2], per cui ad esempio con 8 farmaci co-somministrati sono possibili oltre 30 interazioni), e l’esito di esse può essere lieve – cioè passare inosservato per mancanza di evidenza clinica – oppure grave, e sempre in funzione della posologia in termini di dose e tempo di esposizione. Le interazioni si manifestano più frequentemente all’inizio della somministrazione del composto. Esse riguardano le interferenze che si possono avere nella farmacocinetica, e quindi durante assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione. Le interazioni farmacodinamiche, invece, si riferiscono agli effetti risultanti dalle azioni specifiche dei composti che possono essere additivi, sinergici o antagonisti e sono in generale più prevedibili. Spesso, i farmaci interagiscono con meccanismi multipli operanti in concerto, anche se generalmente predomina un solo meccanismo.
L’incidenza e la frequenza di eventi avversi causati da un impiego non appropriato di una politerapia/polifarmacia e delle possibili interazioni è oggi più probabile che in passato. L’aumento dell’età media della popolazione e, quindi, della necessità di controllare patologie multiple coesistenti, l’intervento di più medici – spesso specialisti di settore – nelle prescrizioni, l’automedicazione con prodotti da banco e la comparsa di sempre nuovi prodotti, sono alcune delle cause alla base delle interazioni tra farmaci. Va sottolineato, inoltre, che l’identificazione delle reazioni avverse è resa anche più difficoltosa dalla necessità di distinguere gli effetti avversi del farmaco dalla sintomatologia legata alle comorbosità.
Per tali ragioni, l’individuazione di terapie efficaci e sicure è indispensabile per rispondere alle esigenze della moderna medicina, specie nella popolazione anziana, in cui comorbosità e polifarmacoterapia si associano ad una ridotta riserva fisiologica24, che può sensibilmente modificare il metabolismo dei farmaci, ed a modifiche età-dipendenti della farmacocinetica e della farmacodinamica. Nella Figura 1 sono indicate le principali modificazioni tipiche dell’età avanzata che condizionano la scelta, la dose e la frequenza di assunzione dei farmaci in relazione alla loro farmacodinamica.
Nell’ambito del complesso rapporto multimorbosità/polifarmacia, non vanno sottaciuti gli errori durante il processo di medicazione, che possono realizzarsi in qualsiasi momento del processo stesso: dall’individuazione dei farmaci più appropriati, alla trascrizione (il processo di trasferimento manuale dei farmaci nella ricetta medica), dalla spedizione dei farmaci alla loro somministrazione. Lindley et al.25, investigando la relazione tra farmaci inappropriati e la comparsa di reazioni avverse, hanno evidenziato che circa il 50% delle reazioni avverse era dovuto a farmaci non necessari che, talvolta, presentavano assolute controindicazioni in singoli casi specifici.



REAZIONI AVVERSE AI FARMACI ED OSPEDALIZZAZIONE
Circa un terzo delle ospedalizzazioni e la metà delle morti correlate all’uso di farmaci sopravvengono in soggetti ultra70enni. Tra i farmaci maggiormente implicati nel fenomeno un ruolo importante è ricoperto, oltre che da quelli neurologici ed antinfiammatori non steroidei, dai cardiovascolari come i dicumarolici, l’eparina, i diuretici ad alte dosi, la maggior parte degli antiaritmici, i betabloccanti, i digitalici e gli antipertensivi in generale26-30. Molti di tali farmaci, oltre ai noti fenomeni di tossicità diretta, possono aggravare e riacutizzare malattie croniche presenti (es. il prostatismo da farmaci anticolinergici, l’ipotensione posturale da diuretici o da antipertensivi, l’inotropismo ed il cronotropismo negativo da betabloccanti).
È interessante notare che molti anziani in ospedali ed in residenze sanitarie ricevono routinariamente farmaci che non sono essenziali (es. sedativi, ipnoinducenti, bloccanti dei recettori H2, lassativi, antibiotici non strettamente necessari), che possono causare reazioni avverse, direttamente o attraverso complesse interazioni31-34. A conferma di tali affermazioni, il Gruppo Italiano di Farmacovigilanza nell’Anziano (GIFA) della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, osservava che nel 5.8% degli anziani durante il periodo di ospedalizzazione si verificava almeno una reazioni avversa35; tale dato ha trovato ulteriore conferma nello studio di Gray et al.36 in cui fu osservata una incidenza di reazioni avverse del 14.8% nei pazienti anziani ospedalizzati.
Differenze notevoli si osservano nell’incidenza delle reazioni avverse in relazione ai contesti assistenziali dove vengono osservate e, nell’ambito dello stesso contesto, in relazione alle modalità di rilevamento ed alle caratteristiche della popolazione oggetto dello studio.
Di notevole interesse è il recente lavoro di Budnitz et al.26. Gli autori, utilizzando un database delle reazioni avverse relativo al progetto del National Electronic Injury Surveillance System-Cooperative Adverse Drug Events Surveillance (2007-2009), finalizzata alla stima della frequenza e tasso di ospedalizzazione dopo il transito nel dipartimento d’emergenza, hanno valutato il contributo di specifici medicamenti, inclusi quelli identificati come ad alto rischio e potenzialmente inappropriati. Essi concludono che la maggior parte delle ospedalizzazioni per riconosciute reazioni avverse nell’anziano deriva dall’uso dei più comuni farmaci come il warfarin e l’insulina (Figura 2) e che il miglioramento del management dei farmaci antitrombotici e antidiabetici è potenzialmente capace di ridurre il tasso di ospedalizzazione da reazioni avverse negli anziani.



ADERENZA ALLA TERAPIA NELLA POPOLAZIONE ANZIANA
Il corretto trattamento di condizioni patologiche croniche coesistenti nella popolazione anziana è fondamentale per rallentarne la progressione, per prevenire lo sviluppo di ulteriori patologie e per ridurre il rischio di trattamenti duplicati, incompatibili o persino in conflitto, che possono modificare gli outcome in senso negativo. Punto chiave nel trattamento delle condizioni croniche è la correttezza complessiva delle prescrizioni farmacologiche. In particolare, l’efficacia dei trattamenti ed i loro benefici a lungo termine possono dipendere anche dall’aderenza alle istruzioni del medico prescrittore 37.
Per aderenza si intende la costanza con cui il paziente segue le istruzioni date nella prescrizione dei trattamenti. Una corretta aderenza alla terapia non può prescindere dalla condivisione delle scelte attraverso una intensa relazione tra medico, paziente e caregiver. In generale, importanti predittori positivi di aderenza includono: a) regimi terapeutici semplici e brevi; b) classi terapeutiche che incontrino il favore dei consumatori; c) comprensione della gravità della patologia da parte del paziente e dei suoi familiari; d) alto score sintomatologico.
Si ritiene che il 30-60% dei pazienti siano scarsamente aderenti alle prescrizioni farmacologiche. Le principali ragioni per la non aderenza alla terapia degli anziani sono rappresentate, oltre che dai potenziali effetti collaterali, dalla scarsa istruzione, dal deficit cognitivo o dai disturbi psico-affettivi quali la depressione, dalla difficoltà nel pagamento dei farmaci, dal dis­accordo circa la necessità del trattamento e dalle difficoltà relazionali tra paziente e personale professionale addetto alla cura. Altri motivi della non aderenza includono le condizioni patologiche silenti sul piano della sintomatologia, come le iperlipemie, l’ipertensione e l’osteoporosi, i fattori culturali e l’inadeguato supporto sociale.
In un recente studio di Krousel-Wood et al.37, sono stati studiati i predittori di aderenza alla terapia antipertensiva in una coorte di soggetti anziani, identificando nel sesso femminile e nell’essere coniugati caratteristiche favorevoli ad una maggiore aderenza e nella depressione una condizione significativamente sfavorevole ad una corretta aderenza alla terapia (Figura 3). Sulla base di queste considerazioni interventi tesi a migliorare l’aderenza alla terapia dei pazienti anziani polipatologici sono essenziali, anche implementando ricerche orientate ad individuare le più idonee strategie dirette a questa finalità. Tali interventi devono certamente includere anche quelli a carattere psico-sociale coinvolgenti sia i pazienti, sia i caregiver al fine di migliorare gli outcome di malattie complesse.
Inoltre, è stato riportato, sia dal punto di vista sperimentale38-42 che clinico43-45, come l’esercizio fisico sia in grado, anche in pazienti anziani con SCC, di condizionare molti parametri farmacocinetici, modificandone l’efficacia46, e suggerendo, pertanto, un possibile, importante ruolo di tale strumento nell’ottimizzazione della terapia farmacologica.



PRESCRIZIONI INAPPROPRIATE IN PAZIENTI ANZIANI
Numerosi studi hanno documentato che prescrizioni potenzialmente inappropriate sono comuni in pazienti anziani, in particolare nei contesti ambulatoriali, nelle residenze sanitarie e nei dipartimenti d’emergenza, e che l’esposizione a terapie inappropriate è associata ad un incremento di reazioni avverse, morbosità, mortalità ed utilizzo di risorse47.
L’ottimizzazione della prescrizione farmacologica sta quindi diventando un’oggettiva necessità dei sistemi sanitari. La terapia dovrebbe essere guidata dall’appropriatezza che si realizza attraverso la valutazione del rapporto rischio/beneficio, essenzialmente quando i potenziali benefici di un farmaco sono superiori ai potenziali rischi.
Partendo dalle considerazioni che le problematiche relative all’assunzione dei farmaci includono fattori legati al paziente (fattori emozionali, semplice dimenticanza, mancata formazione/informazione) ed al medico (deficit di informazioni al paziente, terapie complesse, cattivo rapporto medico/paziente), possiamo concludere che è necessario sviluppare strategie coinvolgenti pazienti, familiari, caregiver e medici di famiglia che svolgono un ruolo essenziale nella corretta assunzione di farmaci, nella riduzione del danno iatrogeno e nell’incremento dell’aderenza48-57. I pazienti anziani dovrebbero essere incoraggiati a porre i problemi farmaco-correlati ai loro medici ed ai loro caregiver anche attraverso semplici diari sull’uso di tutti i farmaci e dei loro cambiamenti ad ogni visita medica. I medici dovrebbero porre attenzione nel rivedere ed aggiornare la terapia dei loro pazienti. Studi controllati, articolati anche attraverso l’utilizzo di mezzi informatici, dovrebbero essere pianificati per dare una corretta risposta alla sempre maggiore necessità di appropriatezza prescrittiva nei pazienti anziani polipatologici che assumano numerosi e differenti trattamenti farmacologici.
RIASSUNTO
L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento della prevalenza di malattie croniche (compreso lo scompenso cardiaco cronico) e di comorbosità (la presenza di una o più ulteriori malattie oltre una malattia “indice”, potenzialmente in grado di contribuire allo sviluppo di disabilità), che incrementa il carico assistenziale. Per tale motivo, ci si aspetta che i costi già elevati sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) cresceranno ulteriormente nelle prossime decadi, in parallelo con il progressivo invecchiamento della popolazione. Questo trend epidemiologico è alla base della crescente frequenza di politerapia (multipli trattamenti prescritti allo stesso individuo) e di polifarmacia (multipli trattamenti utilizzati dallo stesso individuo, ma non necessariamente prescritti da un medico). Per le frequenti interazioni, non sempre facilmente prevedibili, politerapia/polifarmacia si associano ad un’elevata incidenza di reazioni avverse, causa di mortalità e di ospedalizzazioni, con aumento dei costi diretti e indiretti per il SSN. I medici, i pazienti e coloro che li assistono devono essere istruiti a perseguire strategie dirette a ridurre il rischio di reazioni avverse mantenendo trattamenti possibilmente ottimali di condizioni complesse, quali lo scompenso cardiaco cronico, a rischio elevato di morte, dis­abilità e deterioramento della qualità di vita. Tali strategie sono fondate su varie linee di intervento: riduzione delle prescrizioni inappropriate e del numero di farmaci assunti, evitando il più possibile quelli con maggior potenziale di interazioni, e promozione dell’aderenza da parte dei pazienti.
Parole chiave. Aderenza; Polifarmacia; Politerapia; Reazioni avverse; Scompenso cardiaco cronico.
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