In questo numero

processo ai grandi trial




Lo studio TOPCAT

Lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata è una delle condizioni più interessanti e al contempo meno conosciute fra le patologie cardiache. Da tempo ormai ci siamo abituati a studiare il cuore non soltanto per la sua funzione di pompa durante la fase sistolica, e ad andare oltre la semplice frazione di eiezione per caratterizzarne la performance.
I risultati dello studio TOPCAT (Treatment Of Preserved Cardiac function heart failure with an Aldosterone anTagonist), commentati questo mese da Alessandro Boccanelli e Giovanni Pulignano, erano quindi molto attesi proprio perché potevano finalmente darci delle indicazioni su come trattare i tanti pazienti che si presentano con questa eterogenea sindrome clinica. Purtroppo lo studio ha confermato le difficoltà nel gestire la disfunzione diastolica – come siamo erroneamente abituati a chiamarla – sottolineando nuovamente quanto questa condizione differisca per caratteristiche fisiopatologiche dalla più nota disfunzione sistolica. Inoltre, come sottolinea Giovanni Pulignano, nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata, probabilmente la disfunzione diastolica rappresenta un importante, ma non l’unico, meccanismo che concorre a delineare la sindrome clinica. I commenti editoriali di Boccanelli e Pulignano ci forniscono un’accurata analisi sui vari studi clinici condotti negli ultimi anni, che hanno portato a definire il ruolo degli antialdosteronici nei pazienti con scompenso cardiaco sistolico e a fornire il razionale fisiopatologico, insufficiente come abbiamo visto, di questo trial randomizzato di fase 3. Essi hanno il merito di analizzare il TOPCAT da molti punti di vista, con le varie sottoanalisi e analisi post-hoc che cercano di sviscerare le complesse ragioni dei risultati negativi: i criteri di inclusione, le caratteristiche dello studio e, soprattutto, i fattori geografici dimostrano ancora una volta di avere enorme rilevanza nel determinare la possibilità di successo di grandi trial multicentrici internazionali sullo scompenso cardiaco. •

editoriale




Scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata: una sfida della cardiologia di oggi
E sempre di scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata si occupa l’editoriale di Antonello Gavazzi, che ci guida attraverso i punti salienti che rendono così problematici la diagnosi, il trattamento e il follow-up dei pazienti con questa eterogenea sindrome clinica. Si sottolinea nuovamente la difficoltà di approcciare questa condizione come un unicum, quando invece vi coesistono varie anomalie cardiache, spesso con meccanismi fisiopatologici di partenza molto diversi fra loro. È evidenziato il ruolo cruciale delle comorbilità, soprattutto nell’indurre uno stato pro-infiammatorio sistemico, che può essere visto come processo finale comune, condizionante la progressione della malattia. Uno dei punti più discussi è poi quello degli outcome, dal momento che in letteratura vi sono dati contrastanti sul fatto che lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata abbia una prognosi sovrapponibile o meno grave rispetto allo scompenso con frazione di eiezione ridotta. Rimane comunque diffusa fra noi cardiologi la tendenza ad essere meno aggressivi nella gestione di questi pazienti, dalla diagnosi alla terapia, mantenendo il condizionamento, difficile da eradicare, per il quale è il grado di disfunzione sistolica ventricolare sinistra a condizionare maggiormente la prognosi. La strada è ancora lunga, viste le difficoltà nel trovare terapie efficaci, oltre il trattamento dei sintomi, con farmaci o dispositivi che possano rallentare o bloccare i meccanismi fisiopatologici, verosimilmente diversi da quelli del più noto scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta.  •

point break




Sincope neuromediata nel bambino: attenzione al profilo psicologico
Sappiamo tutti quanto sia frequente la sincope neuromediata in età pediatrica. E sappiamo quanto questa possa costituire allarme e preoccupazione nella famiglia e nelle persone che ruotano attorno alla vita del bambino, anche se molto spesso è di origine benigna. Quello che non sappiamo, forse, è che nel bambino la sincope neuromediata può essere espressione di un disturbo psicosomatico dove il sintomo somatico può essere associato ad una maggiore vulnerabilità psicologica caratterizzata da più alta incidenza di sintomi di ansia e depressione con tendenza più o meno spiccata a processi dissociativi. Questi meccanismi sembrerebbero finalizzati a estromettere dall’area di coscienza sentimenti e pensieri negativi. I bambini che presentano episodi sincopali mostrano inoltre più spesso stati emotivi di ritiro, inibizione, passività, preoccupazioni riguardo al proprio corpo ed altre problematiche emotive. Avete poi mai sentito parlare di breath holding spells di spasmi affettivi? Di questo e di altri aspetti spesso completamente ignorati dal cardiologo ci parlano Roberta Vallone et al. in un’analisi dove l’aritmologo e lo psicologo dialogano insieme per una valutazione più completa ed integrata della salute di questi piccoli pazienti. •

rassegne
Articolo del mese




Tetralogia di Fallot: mai abbassare la guardia!

Nonostante ormai la correzione chirurgica della tetralogia di Fallot garantisca ottimi risultati, questa cardiopatia congenita cianogena complessa, anche quando corretta, rimane gravata da una mortalità significativamente aumentata rispetto alla popolazione normale. In questa ampia rassegna, Massimo Padalino et al. ci delineano con precisione la storia “innaturale” del paziente adulto con tetralogia di Fallot operata, con particolare attenzione per le complicanze a lungo termine, che rappresentano i principali determinanti della prognosi di questi pazienti. Attraverso la comprensione della fisiopatologia dell’insufficienza polmonare e della disfunzione del ventricolo destro, sottolineando anche l’importanza, solo recentemente riconosciuta e documentata, della disfunzione del ventricolo sinistro, si viene guidati in un vero e proprio tour all’interno del cuore con tetralogia di Fallot operata, che, anche dopo anni di relativo benessere del paziente, può dare segno della propria anormalità, soprattutto attraverso eventi aritmici anche gravi. Tutto questo evidenzia l’importanza e la necessità di istituire un follow-up clinico e strumentale in questi pazienti, in cui la chirurgia fortunatamente corregge il problema congenito, ma che purtroppo non cura un cuore che rimane comunque alterato dal punto di vista anatomico, fisiologico ed elettrico. L’articolo è offerto alla discussione attraverso la piccola posta (piccolaposta@giornaledicardiologia.it) fino alla fine del mese di novembre. •




Vecchie conoscenze, nuovi algoritmi: come dosare gli anticoagulanti anti-vitamina K

In questa rassegna Santa Mundi et al. affrontano in modo esaustivo il problema della ricerca della giusta dose da somministrare se parliamo di anticoagulanti “classici” anti-vitamina K. La nota gravità degli effetti collaterali che si possono verificare a causa della ristretta finestra terapeutica ha spinto gli esperti in farmacogenetica a sviluppare algoritmi di predizione che includano variabili sia genetiche sia cliniche. Polimorfismi genetici, età, superficie corporea, fumo, diabete, alimentazione, esercizio fisico e farmaci associati sono solo alcuni dei fattori che possono influenzare la sicurezza e l’efficacia di questi anticoagulanti. •




Blocco interatriale: questo sconosciuto

Quante volte nella nostra pratica clinica abbiamo diagnosticato un blocco interatriale? Probabilmente non molte, nonostante questo dato sia piuttosto semplice da rilevare, sia relativamente frequente, soprattutto con l’aumentare dell’età del paziente, e abbia importanti implicazioni nella pratica clinica quotidiana. L’ECG di superficie a 12 derivazioni continua a stupirci e a rivelarsi uno strumento formidabile per l’inquadramento del paziente, con tanti segreti da svelare, che spesso ignoriamo o tralasciamo, accontentandoci di una minima parte delle molte preziose informazioni che questo imprescindibile esame raccoglie. In questa revisione, Riccardo Proietti et al. ci spiegano e mostrano in modo molto didattico ma approfondito perché abbia senso cercare e diagnosticare un eventuale blocco interatriale, con interessanti spunti di anatomia e fisiologia del sistema di conduzione interatriale, e con risvolti clinici inattesi, dalla terapia di resincronizzazione all’ischemia miocardica, dall’ipertensione arteriosa alle recidive di fibrillazione atriale. •

studi osservazionali




Lo scompenso cardiaco cronico visto dal medico di medicina generale: problematiche del fine vita
Il multiforme problema della gestione dello scompenso cardiaco viene affrontato da un punto di vista spesso ingiustamente trascurato, ma di assoluta rilevanza: quello del medico di medicina generale. In questo studio condotto su ben 151 medici di medicina generale, Gaetano D’Ambrosio et al. hanno analizzato i dati relativi all’ultimo anno di vita di 245 pazienti con scompenso cardiaco cronico, ponendo l’attenzione sulle modalità del decesso, in termini di luogo, causa, numero e motivo di eventuali ricoveri ospedalieri, luoghi di cura prevalenti e figure professionali principalmente coinvolte nella gestione clinica dell’ultimo anno di vita, e comorbilità. Il quadro che ne deriva è particolarmente interessante, in quanto ci svela una realtà spesso ignorata dai grandi trial clinici, ovvero quella del paziente, soprattutto del grande anziano, il cui scompenso cardiaco viene gestito principalmente in ambito extraospedaliero, con tutte le peculiarità e le problematiche che ne derivano. Lo studio risulta particolarmente originale, in quanto sono molto scarsi nella letteratura scientifica dati su questa specifica realtà assistenziale, soprattutto italiana. Marco Ambrosetti, nel suo ricco editoriale di accompagnamento, commenta tutti gli aspetti di rilevanza clinica, gestionale e culturale dello studio, ponendo l’accento sulla crucialità dell’interazione fra caregiver, in particolare fra il medico di medicina generale e il cardiologo. Del resto, la gestione efficiente e sostenibile delle patologie croniche in fase avanzata attualmente rappresenta per tutti i sistemi sanitari una delle sfide più difficili e urgenti con cui confrontarsi.  •




ECMO: il paradiso può attendere

La gestione dei pazienti con scompenso cardiaco refrattario può avvalersi, fra gli altri dispositivi, di sistemi di ossigenazione a membrana extracorporea, il supporto ECMO. In questo numero del Giornale, Antonio Loforte, con la collaborazione di un team di cardiologi, cardiochirurghi ed anestesisti dell’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, ci presenta i dati dell’analisi retrospettiva di una vasta casistica di pazienti con scompenso cardiaco di varia eziologia. In questi pazienti l’ECMO, sulla cui gestione ed interruzione non esistono linee guida specifiche, veniva posizionato come eventuale ponte al trapianto, nei casi di mancato recupero della funzione miocardica. Molto interessante, come sottolinea il puntuale editoriale di Federico Pappalardo, è il confronto fra l’approccio con cannulazione centrale (biatriale-aorta ascendente), utilizzato in più della metà dei soggetti, e quello con cannulazione periferica, con le relative complicanze, che offre importanti spunti di discussione. Significativa è poi l’analisi dei parametri predittori di mortalità, fra cui spiccano i livelli di lattati nel sangue, l’indice relativo di CK-MB a 72 ore dall’inizio del supporto in ECMO, e il numero di unità di globuli rossi concentrati trasfuse durante il supporto. Specchio della realtà clinica, lo studio sottolinea infine come in un ambito tanto complesso non si possa prescindere da un approccio trasversale e multidisciplinare dove il cardiologo, il cardiochirurgo e l’intensivista necessariamente devono interagire di concerto per la gestione di questi pazienti. •