Il follow-up del paziente sottoposto
a rivascolarizzazione coronarica percutanea:
impatto potenziale dell’applicazione di un percorso clinico-gestionale strutturato sull’integrazione ospedale-territorio e modulato sul rischio clinico
del paziente

Corrado Lettieri1, Paola Colombo2, Renato Rosiello1, Nuccia Morici2, Pierpaolo Parogni3,
Giuseppe Musumeci
4, Erminio Tabaglio5, Alessandro Zadra5, Maria Grazia Cattaneo6, Francesco Soriano2, Maria Cristiana Brunazzi1, Maurizio Galavotti7, Silvio Klugmann2, Michele Senni4, Orazio Valsecchi4, Roberto Zanini1, Roberta Rossini4
1Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, A.O. Carlo Poma, Mantova
2Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis”, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
3Dipartimento Emergenza-Urgenza, A.O. Carlo Poma, Mantova
4Dipartimento Cardiovascolare, A.O. Papa Giovanni XXIII, Bergamo
5Azienda Sanitaria Locale di Brescia, Brescia
6Ufficio Qualità, A.O. Papa Giovanni XXIII, Bergamo
7Azienda Sanitaria Locale di Mantova, Mantova
Background. Follow-up modalities for patients undergoing percutaneous coronary intervention (PCI) are not well defined and standard protocols have been not established. The purpose of this study was to assess: a) the frequency and patterns of cardiology visits, echocardiographic examinations and stress tests after PCI in clinical practice; b) the impact of a multidisciplinary protocol of long-term follow-up after PCI shared with general practitioners on the appropriateness and reduction in healthcare costs.
Methods. A total of 780 patients who underwent PCI in 2010 in two Italian hospitals were analyzed. The number of cardiological examinations (total, routine and clinically driven) performed during 2 years of follow-up were recorded and stratified according to the patient’s risk profile. The latter was defined according to the multidisciplinary protocol. In addition, a simulation of the spread between provided and necessary tests (according to the multidisciplinary protocol) was carried out.
Results. The mean number of cardiological examinations per patient provided during follow-up was 5, of which 4.4 were routine tests in asymptomatic patients. Routine tests were performed more frequently in patients at low risk compared to those at higher risk. By applying the multidisciplinary protocol to the case mix and by merging clinical visit and stress test or echocardiographic examination, a reduction of 0.87 tests per patient/year would be expected. This reduction would result in a 39% decrease in follow-up examinations in this specific clinical setting.
Conclusions. This observational study demonstrates that unnecessary cardiological clinical and functional tests are often performed in long-term follow-up of patients submitted to PCI. The application of a standard protocol of follow-up shared with general practitioners may help avoiding unnecessary consultations, thus reducing healthcare costs.
Key words. Follow-up; Functional tests; Percutaneous coronary intervention.

INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente numero di procedure di angioplastica coronarica (PCI). Si stima che in Italia vengano eseguite ogni anno oltre 140 000 PCI ed in Lombardia nell’anno 2014 sono state eseguite circa 27 400 procedure1. Tali dati, unitamente alla crescente complessità dei pazienti sottoposti a PCI, che spesso presentano plurime comorbilità, ed all’allungamento della vita media possono contribuire a spiegare le difficoltà gestionali del follow-up ambulatoriale a lungo termine di tali pazienti.
Peraltro, le modalità di follow-up dei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione coronarica non sono ancora ben definite e standardizzate. Gli ambiti di incertezza riguardano essenzialmente l’utilità e la tempistica delle prestazioni cardiologiche eseguite nell’ambito di un programma di follow-up clinico-strumentale di routine, l’assenza di una standardizzazione dei percorsi di follow-up e il mancato adeguamento dell’intensità di follow-up al profilo di rischio del paziente.
In generale, vengono adottate due strategie di follow-up post-PCI: una strategia “selettiva”, che prevede l’utilizzo di test di ischemia soltanto nei pazienti che sviluppano sintomi, e una strategia “sistematica”, che consiste nel ricorso routinario ai test provocativi. L’atteggiamento più selettivo (“clinically driven”) sembra essere giustificato dall’evidenza che nei pazienti asintomatici l’incidenza di eventi avversi e la qualità della vita non sembrano essere influenzate dall’esecuzione di qualsiasi test funzionale con successivo eventuale reintervento, mentre il ricorso estensivo ai test di ischemia è motivato dal fatto che secondo altri studi anche l’ischemia silente legata ad una restenosi o a una progressione di malattia può avere un impatto prognostico negativo 2-9.
Le linee guida europee sulla rivascolarizzazione miocardica del 2014 raccomandano nei pazienti asintomatici una valutazione funzionale precoce solo in particolari sottogruppi di pazienti rivascolarizzati ad elevato rischio, mentre prendono in considerazione l’esecuzione routinaria di stress test dopo almeno 2 anni dalla PCI e dopo 5 anni da una rivascolarizzazione chirurgica (classe di raccomandazione IIb, livello di evidenza C)10. Sulla stessa linea si pongono le recenti raccomandazioni “Choosing Wisely” americane11 e “Slow Medicine” italiane12, che sconsigliano l’esecuzione di test da sforzo di routine dopo PCI o bypass aortocoronarico in pazienti asintomatici. Recentemente è stato pubblicato un documento di consenso sulla gestione a lungo termine dei pazienti sottoposti a PCI che propone una intensità di follow-up modulata sulla base del profilo di rischio del paziente13.
Infine, indagini di tipo epidemiologico, che utilizzano dati amministrativi, hanno recentemente evidenziato un’estrema variabilità dei comportamenti prescrittivi post-rivascolarizzazione14 ed hanno dimostrato come, a fronte di un numero crescente di test eseguiti negli ultimi anni nei pazienti rivascolarizzati, la percentuale di nuova ospedalizzazione per infarto miocardico acuto in questi pazienti rimane sostanzialmente stabile15; in particolare i differenti atteggiamenti prescrittivi non sembrano modificare la prognosi del paziente16. Conseguentemente, la mancata aderenza a criteri di appropriatezza prescrittiva potrebbe avere un impatto negativo sulla salute del singolo cittadino, in termini di erogazione di prestazioni non appropriate e della comunità (allungamento dei tempi di attesa), oltre che sui costi sanitari17.
Scopo del presente studio è stato quello di definire: a) la frequenza ed i pattern delle prestazioni cardiologiche (visite, esami ecocardiografici e test provocativi) dopo PCI nella comune pratica clinica di due Aziende Ospedaliere lombarde; b) l’impatto di un percorso di appropriatezza clinica (PAC) per la gestione del follow-up clinico-strumentale post-PCI, strutturato sulla collaborazione specialista‒medico di medicina generale e modulato sul rischio clinico del paziente, in termini di potenziale riduzione del numero di prestazioni ambulatoriali inappropriate e dei tempi di attesa per le prestazioni, potenziale riduzione dei ricoveri per esami invasivi inappropriati e razionalizzazione delle risorse con conseguente impatto economico.
MATERIALI E METODI
Percorso di follow-up attuale
Per la definizione delle attuali modalità di follow-up è stata analizzata la casistica costituita dai pazienti consecutivi sottoposti a PCI nel 2010 presso due ospedali lombardi (A.O. Carlo Poma di Mantova e A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano). I pazienti sono stati individuati retrospettivamente mediante analisi delle schede di dimissione ospedaliera ed è stato identificato l’anno 2010 per avere una valutazione del follow-up clinico-strumentale di almeno 2 anni. Sono stati registrati il numero e la tipologia dei controlli cardiologici eseguiti durante il follow-up, in particolare visite cardiologiche specialistiche, ecocardiogrammi, test da sforzo, eco-stress (da sforzo o farmacologici), scintigrafie miocardiche (da sforzo o farmacologiche), e sono state valutate le indicazioni poste in occasione delle visite o dei test provocativi eseguiti. Sono state registrate inoltre le nuove ospedalizzazioni per eventi coronarici e relativo trattamento nei 2 anni successivi al ricovero.
In caso di multiple procedure di rivascolarizzazione percutanea eseguite sul singolo paziente, la prima procedura identificata in ordine temporale è stata considerata la procedura indice. Procedure multiple di completamento della rivascolarizzazione nell’ambito dello stesso ricovero o nei successivi 30 giorni sono state considerate come singolo evento di rivascolarizzazione per la presente analisi.
I dati relativi alle caratteristiche cliniche dei pazienti, alle procedure di rivascolarizzazione eseguite durante il ricovero e alle riospedalizzazioni durante il follow-up sono stati ottenuti dall’analisi dei sistemi di refertazione informatici ospedalieri, dai database dei laboratori di Emodinamica e dalle lettere di dimissione. I dati relativi al follow-up clinico-strumentale sono stati ottenuti attraverso l’analisi del Sistema Informativo Socio-Sanitario lombardo (SISS) o attraverso l’analisi dei database dei sistemi di refertazione informatici ambulatoriali delle rispettive Aziende Ospedaliere. I dati sono stati integrati, se necessario, mediante controllo incrociato tra SISS e database aziendali. Sono stati esclusi dall’analisi i pazienti deceduti entro 30 giorni dal primo ricovero ed i pazienti in cui non fossero presenti al follow-up accessi per controlli cardiologici nei sistemi informativi aziendali.
Percorso di appropriatezza clinica di follow-up proposto
Il PAC proposto, il cui diagramma di flusso è riportato nella Figura 1, si basa su un protocollo di follow-up selettivo con percorsi modulati sulla base del profilo di rischio del paziente. Quest’ultimo è valutato sulla base di caratteristiche cliniche ed angiografiche riconosciute in letteratura come importanti fattori prognostici18-22. Tale protocollo deriva da un documento di consenso intersocietario13 che ha coinvolto la Società Italiana di Cardiologia Invasiva (SICI-GISE), l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), la Società Italiana di Cardiologia Riabilitativa (GICR) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) e si ispira alle più recenti linee guida europee sull’argomento10. In generale il protocollo prevede la pianificazione del percorso di follow-up alla dimissione e la collaborazione ed integrazione multidisciplinare tra specialisti cardiologi e medici di medicina generale (MMG). In particolare, il MMG si occupa della valutazione clinica generale del paziente e dell’ottimizzazione del controllo dei fattori di rischio in prevenzione secondaria (stile di vita, aspetti farmacologici), mentre lo specialista cardiologo stratifica il rischio clinico del paziente attraverso verifica clinica e test specifici.



Sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente sono stati identificati tre percorsi di follow-up dopo PCI (Figura 1):
• Percorso A: individua e classifica tutti i pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, indicata da una frazione di eiezione ≤45%;
• Percorso B: individua e classifica tutti i pazienti che non hanno disfunzione ventricolare sinistra ma presentano particolari fattori di rischio clinici (sindrome coronarica acuta o diabete) o anatomici (malattia del tronco comune o della discendente prossimale o malattia trivasale severa) o procedurali (rivascolarizzazione incompleta o subottimale);
• Percorso C: individua e classifica i pazienti che non rientrano nella categoria A o B.
Per ciascun percorso sono stati individuati gli iter di follow-up ritenuti più appropriati, secondo le indicazioni delle linee guida europee10 e della medicina basata sull’evidenza11,12.
Percorso A
– Visita presso MMG post-dimissione, a 1 e 2 mesi con controlli ematochimici.
– Visita cardiologica specialistica a 3 e 12 mesi, successivamente annuale (nei pazienti in cui persiste disfunzione ventricolare sinistra). Ecocardiografia a 3 e 12 mesi (se persiste disfunzione ventricolare sinistra), successivamente biennale. Test provocativo in relazione ai percorsi B e C, successivamente biennale.
Percorso B
– Visita presso MMG post-dimissione, a 3 e 6 mesi con controlli ematochimici a 3 mesi.
– Visita cardiologica entro 12 mesi (in caso di rivascolarizzazione incompleta o di risultato subottimale della PCI può essere indicata a 3 o 6 mesi), successivamente annuale.
– Test provocativo entro 12 mesi (in caso di rivascolarizzazione incompleta o di risultato subottimale può essere indicato a 3 o 6 mesi), successivamente biennale.
Percorso C
– Visita presso MMG post-dimissione, a 3 mesi con controlli ematochimici.
– Visita cardiologica specialistica a 12 mesi. Test provocativo non indicato nel paziente asintomatico (nei pazienti inizialmente trattati per ischemia miocardica silente può essere indicata esecuzione di test funzionale entro 12 mesi).
– Nei pazienti con ripresa di angina o peggioramento della sintomatologia può essere indicata una nuova indagine coronarografica soprattutto nei casi di alta probabilità di restenosi o progressione della coronaropatia.
Per valutare l’appropriatezza delle prestazioni cardiologiche eseguite durante il follow-up, è stata effettuata una simulazione ed una successiva analisi degli scostamenti tra la situazione osservata (percorso attuale) e la situazione attesa (PAC proposto). Inoltre, è stata ipotizzata una riorganizzazione del follow-up che preveda l’accorpamento, cioè l’esecuzione in un’unica seduta, di diverse prestazioni cardiologiche (esempio visita cardiologica e test provocativo) attualmente eseguite in momenti diversi, con relativo impatto sui tempi di erogazione delle prestazioni e quindi sull’eventuale variazione della durata della lista di attesa.
Dopo indagine conoscitiva nelle Aziende Ospedaliere lombarde, abbiamo considerato i seguenti tempi medi di esecuzione delle seguenti prestazioni ambulatoriali non accorpate: visita cardiologica = 20 min; esame ecocardiografico = 20 min; test provocativo = 30 min. Con l’accorpamento di visita cardiologica-ecocardiogramma o visita cardiologica-test provocativo, abbiamo ipotizzato un tempo medio di erogazione delle prestazioni accorpate di 30 e 40 min rispettivamente, con una riduzione del 25% e 20% del tempo impiegato con l’esecuzione differita delle due prestazioni.
Analisi dei dati
È stato valutato il numero medio di prestazioni cardiologiche (totali, di routine e clinicamente motivate) erogate per paziente nei 2 anni di follow-up, complessivamente sulla popolazione eleggibile e dopo stratificazione della popolazione in base al percorso di follow-up specifico suggerito dal documento di consenso.
È stata eseguita una simulazione valutando il differenziale tra le prestazioni di routine effettivamente erogate e quelle previste dal documento di consenso; dopo aggiustamento per il case mix (Tabella 1), è stato calcolato il differenziale di prestazioni/100 pazienti/2 anni e successivamente il differenziale di prestazioni/paziente/anno.
Una prima analisi è stata condotta sulla popolazione totale dei pazienti eleggibili (780 pazienti), includendo anche i pazienti che non sono stati sottoposti ad alcun test provocativo al follow-up. Per ovviare al bias costituito dai pazienti non ritenuti idonei all’esecuzione dei test provocativi al follow-up e che potrebbe determinare una sottostima del numero di prestazioni che dovrebbero essere erogate, è stata condotta una seconda analisi sui 475 pazienti che hanno eseguito almeno un test funzionale nei 2 anni successivi alla rivascolarizzazione.



RISULTATI
Caratteristiche della popolazione ed outcome clinico
Sono stati identificati 1241 pazienti sottoposti a PCI nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2010. Di questi, 34 pazienti sono deceduti durante il ricovero o nei primi 30 giorni dalla procedura, mentre 427 pazienti sono stati esclusi dalla valutazione in quanto non disponibili i dati di follow-up clinico e strumentale ambulatoriale nel sistema SISS. Pertanto, la popolazione eleggibile alla specifica analisi è costituita da 780 pazienti, 434 trattati presso l’A.O. Carlo Poma di Mantova e 346 trattati presso l’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano. Le principali caratteristiche cliniche e procedurali della popolazione sono riportate nella Tabella 2.



Sul totale dei pazienti eleggibili, 612 (78.5%) sono rimasti asintomatici durante il follow-up, mentre 168 (21.5%) hanno sviluppato ricorrenza di sintomatologia anginosa, infarto miocardico senza o con sopraslivellamento del tratto ST (rispettivamente nell’85%, 13% e 2% dei casi).
I pazienti sintomatici al follow-up sono stati sottoposti a coronarografia nell’86% dei casi e in 95 pazienti (56.5%) è stata eseguita una ulteriore procedura di rivascolarizzazione coronarica (PCI o bypass aortocoronarico). In particolare, l’indicazione a studio coronarografico nei pazienti sintomatici per angina è stata posta sulla base del solo quadro clinico nell’88% dei casi.
Dei pazienti asintomatici, 56 (9%) sono stati sottoposti a coronarografia sulla base dei risultati dei test provocativi; di questi, 14 (25%) sono stati sottoposti a nuova procedura di rivascolarizzazione. La durata media del follow-up è stata di 24 ± 5 mesi.
Numero ed appropriatezza delle prestazioni
Il numero medio di prestazioni cardiologiche/paziente erogate nei 2 anni successivi alla rivascolarizzazione è stato pari a 5, di cui 4.4 di routine e solo 0.6 motivate clinicamente (es. comparsa di sintomatologia sospetta per angina, dispnea o cardiopalmo).
Stratificando i pazienti per percorso di follow-up (A, B, C), il numero medio di prestazioni di routine nei 2 anni è stato rispettivamente di 5.26, 4.19 e 4.39 (Figura 2). Nella Figura 3 è riportata in dettaglio la tipologia di prestazioni eseguite in base ai tre percorsi di follow-up. Analizzando il differenziale tra prestazioni effettivamente erogate e prestazioni previste dal PAC, emerge che nei pazienti che necessitano di una più elevata intensità di follow-up (percorso A) si eseguono mediamente 0.74 prestazioni in meno per paziente nei 2 anni successivi alla rivascolarizzazione, mentre nei pazienti con intensità di follow-up intermedia (percorso B) e bassa (percorso C) vengono erogate rispettivamente 1.18 e 3.39 prestazioni in più (Tabella 3). L’incremento delle prestazioni in queste due ultime categorie è dovuto soprattutto ad un maggior ricorso ad esami ecocardiografici e a test provocativi (Figura 3B, 3C).
Nei pazienti sottoposti ad almeno un test provocativo al follow-up, che rappresentano il 61% della popolazione, il numero medio di prestazioni totali di routine eccedenti le raccomandazioni scientifiche è complessivamente ancora più elevato (5.38 per paziente/2 anni) (Tabella 3). In particolare il numero medio di test provocativi condotti in questa sottopopolazione è stato rispettivamente di 1.44 per i pazienti a rischio più elevato, 1.65 per i pazienti a rischio intermedio e 1.66 per i pazienti a più basso rischio. Analizzando i 305 pazienti non sottoposti ad alcun test provocativo nei 2 anni successivi alla PCI, emerge che sono significativamente più anziani rispetto a quelli che vengono sottoposti a test funzionali (età media 71 e 64 anni, rispettivamente) e alla popolazione generale analizzata (età media 67 anni) (p<0.001 per la differenza tra i gruppi), con più frequenti e severe comorbilità e pertanto non ritenuti idonei all’esecuzione dei test funzionali stessi.









Impatto sulle liste di attesa
Applicando il percorso diagnostico-terapeutico al case mix della popolazione in esame il numero totale di prestazioni cardiologiche di routine potenzialmente evitabili è stato di circa 115 su 100 pazienti in 2 anni; in particolare per i pazienti eleggibili al percorso A si assisterebbe ad un aumento di 12.87 prestazioni, mentre per i pazienti eleggibili al percorso B e C, ad una riduzione di 81.06 e 46.78 prestazioni, rispettivamente. Considerando soltanto i 475 pazienti che hanno eseguito almeno un test funzionale al follow-up, il numero di prestazioni cardiologiche evitabili è risultato di 175 su 100 pazienti in 2 anni, con un incremento di 4.46 prestazioni per i pazienti del percorso A e una riduzione di 121.27 per i pazienti del percorso B e di 58.55 per i pazienti del percorso C (Tabella 4).
Applicando l’accorpamento delle prestazioni si risparmierebbero 30 min/paziente/2 anni per il percorso A e 10 min/paziente/2 anni nel percorso B. Rapportando tali risparmi temporali al case mix si potrebbe ottenere un risparmio di circa 1209 min/100 pazienti/2 anni, ovvero 6.04 min/paziente/anno (Tabella 5). Sommando il risparmio temporale derivante delle prestazioni evitabili e dell’accorpamento delle prestazioni stesse si otterrebbe una riduzione di 0.87 prestazioni per paziente all’anno (Tabella 6).



DISCUSSIONE
Nonostante siano state pubblicate numerose linee guida internazionali in merito alla rivascolarizzazione coronarica, alla gestione delle sindromi coronariche acute e sulla cardiopatia ischemica stabile, le strategie di follow-up dopo PCI sono spesso eterogenee ed arbitrarie, con una grande variabilità tra i centri10, 22-25. Tale variabilità riflette, in parte, l’assenza di linee guida chiare in merito e determina un inevitabile aumento dei tassi di inappropriatezza di molte prestazioni ambulatoriali. Un’eccessiva variabilità dei protocolli di follow-up può associarsi ad un aumento significativo della spesa sanitaria. Peraltro, prestazioni cliniche ed esami non invasivi ridondanti non dovrebbero essere considerati un marker di maggiore qualità dell’assistenza del paziente dopo PCI quanto piuttosto un segnale di un aumentato impiego di risorse sanitarie che non si accompagna ad un dimostrato beneficio in termini prognostici per il paziente 17. In tal senso, il documento di consenso intersocietario13 ha cercato di standardizzare il follow-up dopo PCI delineando tre diversi percorsi gestionali sulla base del profilo di rischio del paziente. Sono stati identificati alcuni obiettivi strategici da perseguire, condivisi da cardiologi clinici, interventisti, riabilitatori e MMG e sono state individuate le figure professionali deputate al loro specifico monitoraggio.
Il presente studio ha consentito di verificare l’impatto dell’attuazione di un PAC, ispirato al documento di consenso intersocietario, sulla potenziale riduzione del numero di prestazioni ambulatoriali inappropriate e dei tempi di attesa e sulla potenziale riduzione dei ricoveri per esami invasivi inappropriati. Tale studio fornisce anche un quadro descrittivo sulla frequenza ed i pattern delle prestazioni cardiologiche (visite, esami ecocardiografici e test provocativi) dopo rivascolarizzazione miocardica percutanea nella comune pratica clinica di due Aziende Ospedaliere lombarde.
I principali risultati della presente analisi sono i seguenti:
• il numero e la tipologia delle prestazioni cardiologiche totali nei 2 anni successivi ad una rivascolarizzazione coronarica percutanea non sono sempre allineati con le raccomandazioni delle linee guida. Mentre, infatti, si rileva una sostanziale sovrapposizione tra il numero di prestazioni eseguite e il numero di prestazioni raccomandate dalle evidenze scientifiche nei pazienti a più alto rischio (percorso A), l’intensità del follow-up cardiologico non sembra correlata alla complessità clinica nei pazienti a rischio intermedio e basso (percorso B e C). In questo contesto emerge una tendenza al sovrautilizzo dei controlli cardiologici clinici e soprattutto strumentali. Questi rilievi confermano i dati della letteratura che evidenziano come i pazienti asintomatici a basso rischio siano spesso sottoposti a valutazioni cliniche e strumentali periodiche inutili, mentre, paradossalmente, i pazienti con un profilo di rischio clinico di base più elevato siano meno frequentemente sottoposti a controlli clinici e test funzionali post-PCI 3,26-28;
• l’applicazione di un PAC modulato sul rischio clinico del paziente può consentire di ridurre sia le prestazioni cardiologiche ambulatoriali di routine non necessarie sia i conseguenti ricoveri per procedure diagnostiche invasive ed interventistiche (coronarografie e PCI) inappropriate. Dalla nostra casistica emerge che nei pazienti asintomatici una ulteriore rivascolarizzazione al follow-up si rende necessaria solo nel 2.3% dei casi (14/612) e che il ricontrollo coronarografico eseguito solo sulla base dei test provocativi, ed in particolare del test da sforzo, risulta inappropriato nel 75% dei casi. Tali rilievi sono consistenti con dati di letteratura che dimostrano come il ricorso estensivo ai test funzionali dopo PCI possa tradursi in una crescente quota di falsi positivi, soprattutto nell’era di stent medicati. A fronte di una riduzione della probabilità pre-test di restenosi, mediamente dal 30% al 10% con l’utilizzo degli stent medicati rispetto agli stent metallici 29, diminuisce parallelamente anche il valore predittivo degli stessi test, con una percentuale di falsa positività che può incrementare fino al 77%30 e con il conseguente rischio di nuovi controlli coronarografici inappropriati fino al 50%14. Ciò sottolinea ulteriormente la necessità di una corretta stratificazione del rischio del paziente; in particolare una strategia di follow-up orientata soprattutto alla valutazione dello stato clinico e che preveda una corretta selezione della frequenza, della tipologia (test di imaging rispetto all’ECG da sforzo) e delle modalità di esecuzione (in terapia betabloccante rispetto al “wash-out” farmacologico) dei test funzionali potrebbe ridurre la percentuale di indagini diagnostiche invasive e di ulteriori rivascolarizzazioni non necessarie;
• la riduzione delle prestazioni cardiologiche inappropriate può determinare una riduzione delle liste di attesa; avendo calcolato su una casistica di pazienti trattati con PCI ed aderenti al follow-up cardiologico una riduzione di circa 0.57 prestazioni cardiologiche/paziente/anno, possiamo stimare che nei primi 2 anni dalla rivascolarizzazione si possano risparmiare 1140 prestazioni/1000 pazienti;
• l’accorpamento delle prestazioni cardiologiche determina un significativo vantaggio, sia per il paziente che in termini di riduzione dei tempi di erogazione delle prestazioni stesse. Con le modalità di accorpamento previsto il numero di accessi del paziente si riduce del 50% per le categorie a rischio più elevato (percorso A) e del 33% per le categorie a rischio intermedio (percorso B).
Dal punto di vista delle liste di attesa, considerando la riduzione delle prestazioni cardiologiche di routine derivante dall’applicazione del PAC e dalla riorganizzazione del follow-up clinico-strumentale, potrebbero essere risparmiate per i primi 2 anni dalla procedura almeno 1.74 prestazioni di routine da 20 min per paziente rispetto alle 4.4 attualmente erogate; ciò potrebbe tradursi in una riduzione del 39% delle liste di attesa per questa tipologia di prestazioni nel contesto clinico specifico.
Queste analisi dimostrano che esiste al momento un ampio margine di miglioramento per ottimizzare la gestione a lungo termine del paziente dopo PCI. L’applicazione di tale protocollo nella pratica clinica permetterebbe di uniformare la gestione di tali pazienti, integrando le competenze di diverse figure professionali e modulando l’intensità dei controlli clinici e strumentali al profilo di rischio del singolo paziente. Tutto ciò potrebbe consentire di evitare prestazioni sanitarie inutili ed inappropriate, con un guadagno in termini di risorse che potrebbero essere riallocate in funzione delle necessità.
Limiti
I risultati di questo studio, pur applicabili estensivamente in termini di metodologia, potrebbero non essere riproducibili ad altre realtà cardiologiche per il possibile diverso case mix della popolazione eleggibile al PAC e per il possibile diverso comportamento dei cardiologi di altre Aziende Ospedaliere in termini prescrittivi. Relativamente a quest’ultimo aspetto è da sottolineare comunque che la frequenza e i pattern delle prestazioni di follow-up di routine sono sostanzialmente sovrapponibili nei due ospedali presi in considerazione.
Inoltre sono da sottolineare i seguenti aspetti che potrebbero sottostimare il vantaggio del PAC proposto:
a) la possibile sottostima del numero totale di prestazioni effettivamente erogate. Alcune strutture sanitarie private accreditate lombarde che eseguono prestazioni cardiologiche non sono dotate del sistema SISS e conseguentemente le eventuali prestazioni cardiologiche eseguite dai pazienti in queste strutture non sono state registrate. È possibile inoltre che non tutte le prestazioni eseguite nei Presidi Ospedalieri Aziendali dotati di SISS siano state effettivamente refertate con questa modalità, anche se il “matching” con i database delle U.O. dovrebbe aver consentito di intercettare la quasi totalità dei test di imaging e funzionali erogati. Riteniamo comunque che questo possibile bias non infici i risultati della presente analisi; un’eventuale sottostima delle prestazioni registrate si tradurrebbe infatti in un più evidente vantaggio del PAC proposto in quanto aumenterebbe ulteriormente il differenziale tra prestazioni attese e prestazioni effettivamente erogate;
b) la possibile sovrastima delle prestazioni previste dal PAC. L’esecuzione di test funzionali di routine nei pazienti con sindrome coronarica acuta potrebbe non essere sistematicamente necessaria soprattutto in caso di rivascolarizzazione completa ed utilizzo di stent medicati. Inoltre la simulazione non tiene in considerazione l’eventuale passaggio di una quota di pazienti, inizialmente indirizzati ad un determinato follow-up, a percorsi di follow-up a differente intensità in relazione all’eventuale variazione del quadro clinico iniziale (es. il recupero della funzione sistolica ventricolare sinistra).
Infine un potenziale limite dello studio è rappresentato dal fatto che sono stati esclusi dall’analisi 427 pazienti di cui non erano disponibili i dati relativi alle prestazioni ambulatoriali di follow-up.
Conclusioni e prospettive
L’applicazione di un PAC per il follow-up modulato sul rischio clinico del paziente consente di ridurre il numero di prestazioni inappropriate e conseguentemente di ridurre i tempi di attesa per tali prestazioni. L’accorpamento delle prestazioni di follow-up post-rivascolarizzazione può determinare un’ulteriore riduzione dei tempi di attesa e degli accessi programmabili.
Sulla base dei risultati della presente analisi è auspicabile la programmazione di una sperimentazione del percorso (fase pilota prospettica) per valutarne l’applicabilità e le criticità in ambito assistenziale e organizzativo e la soddisfazione degli utenti e dei professionisti coinvolti.
RIASSUNTO
Razionale. Le modalità di follow-up dei pazienti sottoposti a procedura coronarica percutanea (PCI) non sono ancora ben definite e standardizzate. Scopo del presente studio è stato quello di definire: a) la frequenza ed i pattern delle prestazioni cardiologiche (visite, esami ecocardiografici e test provocativi) dopo PCI nella pratica clinica; b) l’impatto di un percorso multidisciplinare di appropriatezza clinica (PAC) per la gestione del follow-up post-PCI, strutturato sulla collaborazione specialista-medico di medicina generale e modulato sul rischio clinico del paziente, in termini di potenziale riduzione del numero di prestazioni ambulatoriali inappropriate e dei tempi di attesa per tali prestazioni, nonché razionalizzazione delle risorse con conseguente impatto economico.
Materiali e metodi. La popolazione di studio è costituita da 780 pazienti consecutivi sottoposti a PCI nel 2010 presso due ospedali italiani. È stato registrato il numero di prestazioni cardiologiche (totali, di routine e clinicamente motivate) erogate nei 2 anni dopo la rivascolarizzazione, sia sulla popolazione totale, sia dopo stratificazione in base al profilo di rischio dei pazienti. Inoltre è stata eseguita una simulazione valutando il differenziale tra le prestazioni erogate e quelle previste dalle evidenze scientifiche.
Risultati. Il numero medio di prestazioni cardiologiche erogate nei 2 anni di follow-up è stato pari a 5, di cui 4.4 di routine in pazienti asintomatici. Le prestazioni di routine sono state eseguite più frequentemente nei pazienti a basso rischio rispetto a quelli a rischio più elevato. Applicando il PAC al case mix della popolazione in esame e realizzando l’accorpamento delle prestazioni (es. visita e test provocativo) si otterrebbe una riduzione di 0.87 prestazioni/paziente/anno, con una possibile riduzione del 39% delle liste di attesa per questa tipologia di prestazioni nel contesto clinico specifico.
Conclusioni. Il presente studio osservazionale evidenzia una tendenza al sovrautilizzo di controlli cardiologici clinici e strumentali nel follow-up dei pazienti sottoposti a PCI. L’applicazione di un PAC può consentire di evitare prestazioni non necessarie, riducendo i costi sanitari.
Parole chiave. Angioplastica coronarica; Follow-up; Test funzionali.
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