Impianto del dispositivo Reducer in seno coronarico: un nuovo trattamento per l’angina refrattaria

Francesco Giannini1,2, Andrea Aurelio1, Alaide Chieffo1

1U.O. Cardiologia Interventistica, Ospedale San Raffaele, Milano

2EMO-GVM Centro Cuore Columbus, Milano

Refractory angina is a chronic condition characterized by the presence of disabling symptoms due to severe obstructive coronary artery disease not improved by either optimal medical therapy and/or percutaneous or surgical revascularization. Mortality rates associated with this condition are quite low in clinically stable patients on optimal medical therapy. However, rehospitalization rates are high. In this subgroup of patients there is thus a clinical need for new therapies targeting an improvement of symptoms but taking into account the potential impact in terms of healthcare and costs.

A considerable number of innovative therapeutic modalities for the treatment of refractory angina have been investigated over the years. However, none of them has become a standard of care. Devices implanted in coronary sinus are a possible therapeutic option in these patients that may alleviate myocardial ischemia by forcing redistribution of coronary blood flow from less ischemic subepicardium to the more ischemic subendocardium, potentially relieving symptoms of ischemia. The coronary sinus Reducer (Neovasc Inc., Richmond B.C., Canada) is a percutaneous implantable device designed to achieve controlled narrowing of the coronary sinus and to increase its upstream pressure. Coronary sinus Reducer implantation was associated with improvement in symptoms and reduction of myocardial ischemia in pre-clinical and clinical studies. Recently, a randomized, double-blind, multicenter clinical trial demonstrated, in 104 patients with refractory angina, its benefit in improving symptoms, when compared to placebo.

Key words. Coronary sinus; Reducer; Refractory angina.

INTRODUZIONE

L’angina refrattaria è definita come una condizione clinica cronica caratterizzata dalla presenza di sintomatologia anginosa debilitante dovuta ad una malattia coronarica ostruttiva grave e/o diffusa, in cui è stata clinicamente accertata la presenza di ischemia miocardica come causa dei sintomi, che non può essere, tuttavia, controllata da terapia medica ottimale e/o dalla rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica1.

Il trattamento di pazienti con angina refrattaria rappresenta, pertanto, una necessità clinica in cardiologia. Infatti, sebbene i numerosi progressi nel trattamento della malattia coronarica abbiano contribuito a prolungare la sopravvivenza dei pazienti con cardiopatia ischemica, un numero sempre più crescente di pazienti è affetto da sintomatologia anginosa refrattaria alla terapia medica ottimale con conseguente importante impatto sulla qualità di vita e ripetute ospedalizzazioni di tali pazienti per angina.

Nelle ultime decadi, è stato eseguito un notevole sforzo allo scopo di identificare nuovi trattamenti, farmacologici e non, per il controllo dei sintomi in pazienti con angina refrattaria. Tuttavia, ad oggi, nessuno di questi trattamenti è considerato “standard of care”.

Scopo di questo articolo è quello di descrivere epidemiologia e impatto clinico dell’angina refrattaria, ripercorrendo brevemente le opzioni terapeutiche ad oggi disponibili per il suo trattamento e focalizzando prevalentemente l’attenzione su efficacia e sicurezza dell’impianto del Reducer (Neovasc Inc., Richmond B.C., Canada) in seno coronarico, che rappresenta, a nostro parere, una promettente alternativa terapeutica in pazienti affetti da angina refrattaria.

ANGINA REFRATTARIA: EPIDEMIOLOGIA ED IMPATTO CLINICO

L’angina refrattaria è una condizione clinica comune. Si stima che ogni anno circa 525 000 pazienti sottoposti in Europa e negli Stati Uniti a studio coronarografico non abbiano indicazione a rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica. Le cause di mancata rivascolarizzazione coronarica includono la presenza di occlusioni croniche totali, malattia coronarica diffusa, multiple restenosi e malattia diffusa e/o in vasi di piccolo calibro2. In aggiunta a ragioni legate alla complessità della malattia coronarica, alcune comorbilità (es. età avanzata, tumori, pneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, controindicazioni a doppia terapia antiaggregante) possono rendere questi pazienti non candidabili a rivascolarizzazione coronarica3.

A questi pazienti vanno aggiunti gli oltre 500 000 pazienti che, seppur trattati con rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica, continuano ad essere sintomatici per angina nonostante terapia medica ottimale ed assenza di stenosi angiograficamente e/o funzionalmente significative a carico dei vasi epicardici maggiori4. Tali dati vengono confermati da numerosi trial clinici che riportano come più del 25% dei pazienti ad 1 anno e circa il 45% dei pazienti a 3 anni, continuano ad avere angina dopo rivascolarizzazione coronarica efficace5. Questi pazienti sono definiti “no option” e le linee guida congiunte Canadian Cardiovascular Society/Canadian Pain Society riportano che il 5-10% dei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco non va incontro a rivascolarizzazione coronarica6.

I dati sulla prognosi dei pazienti affetti da angina refrattaria sono abbastanza conflittuali. Uno studio degli anni ’90 riporta una mortalità ad 1 anno del 16.9% in pazienti affetti da angina refrattaria e non candidabili a rivascolarizzazione coronarica7. Mentre risultati dei trial clinici randomizzati riportano un tasso di mortalità ad 1 anno estremamente variabile (1-22%)8,9. Dati più recenti sono più incoraggianti, riportando in una popolazione di 1200 pazienti con coronaropatia e assenza di target per ulteriore rivascolarizzazione una mortalità del 3.9% a 1 anno e del 28.4% a 9 anni4.

ALTERNATIVE TERAPEUTICHE PER L’ANGINA REFRATTARIA

Negli ultimi anni sono state valutate diverse opzioni terapeutiche per il trattamento dell’angina refrattaria10. Tuttavia, sebbene gli studi iniziali mostrassero risultati incoraggianti, trial che comparavano questi trattamenti al placebo hanno dimostrato solo modesti benefici in termini di riduzione dei sintomi e tolleranza allo sforzo e, ad oggi, nessuno di questi trattamenti viene routinariamente utilizzato nella pratica clinica. Le Tabelle 1 e 2 riassumono l’efficacia e le evidenze scientifiche di tali opzioni terapeutiche farmacologiche e non11.







LA TEORIA DEL RESTRINGIMENTO DEL SENO CORONARICO

L’idea di considerare il seno coronarico un potenziale target per il trattamento della cardiopatia ischemica risale a più di 60 anni fa. Nel 1955, il cardiochirurgo Claude Beck ha dimostrato in un modello animale come la riduzione chirurgica del diametro del seno coronarico si associasse ad una riduzione dell’area infartuale (da occlusione coronarica). Tale sperimentazione suggeriva che il restringimento del seno coronarico potesse favorire il flusso di sangue ossigenato nelle aree miocardiche più ischemiche, riducendo così l’estensione dell’area infartuale12.

L’intervento chirurgico di plastica del seno coronarico, allo scopo di determinare un diametro residuo di 3 mm, si associava, in pazienti con grave angina, ad una riduzione dei sintomi anginosi, ad un miglioramento della tolleranza allo sforzo e ad una ridotta mortalità a 5 anni13.

Uno studio comparativo su 185 pazienti eseguito presso la Cleveland Clinic ha dimostrato, nel gruppo di pazienti trattati con la procedura di Beck, un’importante riduzione della mortalità a lungo termine (13 vs 30%), oltre che una scomparsa o significativa riduzione dei sintomi anginosi nel 90% dei pazienti trattati14.

Tali studi pre-clinici e clinici hanno dimostrato come il beneficio ottenuto con il restringimento indotto del seno coronarico fosse verosimilmente legato all’aumento della pressione nel seno coronarico, che induce una maggiore perfusione nelle aree di miocardio più ischemiche. Ma, sebbene i risultati ottenuti con la procedura di Beck siano stati confermati in studi successivi15, l’interesse per tale trattamento è passato in secondo piano, superato dai progressi rivascolarizzazione coronarica chirurgica prima e della rivascolarizzazione coronarica percutanea poi, oltre che dalla terapia medica. Oggi, la persistenza di un elevato numero di pazienti affetti da angina refrattaria e l’assenza di altre opzioni terapeutiche hanno riportato, a distanza di numerosi anni, interesse per il seno coronarico nello lo sviluppo di nuove terapie.

REDUCER: DISPOSITIVO E PROCEDURA

Il Reducer è un dispositivo endoluminale a forma di clessidra con marchiatura CE, costituito da uno scaffold in acciaio inossidabile montato su un palloncino espandibile, che viene impiantato per via percutanea nel seno coronarico (Figura 1). Tale dispositivo crea un restringimento del seno coronarico che porta ad un aumento della pressione nel sistema venoso del cuore, così da riprodurre, mediante approccio percutaneo, la procedura introdotta da Beck negli anni ’50. Il dispositivo viene introdotto nel seno coronarico attraverso accesso venoso giugulare. Tale dispositivo è disponibile in un unico modello ed è adatto ad una vasta gamma di anatomie del seno coronarico (da un diametro minimo di 9 mm ad uno massimo di 14 mm in funzione della pressione di gonfiaggio del pallone) (Figura 2). Il pallone “over-the-wire” è semi-compliante ed ha una forma a clessidra ed è il suo gonfiaggio a conferire tale forma allo scaffold.

La procedura di impianto del Reducer in seno coronarico è illustrata nella Figura 3. L’impianto viene eseguito sotto guida fluoroscopica attraverso approccio percutaneo dalla vena giugulare interna destra o sinistra, dove viene inserito un introduttore 9 Fr. Un catetere diagnostico 6 Fr (Multipurpose o Amplatz sinistro) viene avanzato sotto guida fluoroscopica in atrio destro, dove viene misurata la pressione. Un’elevata pressione media in atrio destro controindica l’impianto del Reducer in seno coronarico, per evitare il trattamento di pazienti con scompenso cardiaco non controllato, nei quali è consigliabile un’ottimizzazione della terapia medica prima di rivalutare l’indicazione. Quindi, viene incannulato il seno coronarico sotto guida fluoroscopica in proiezione obliqua sinistra 30°, avanzando il catetere Multipurpose o Amplatz AL1 sinistro al quale viene collegata una siringa Luer Lock di 10 ml con contrasto puro. Nella maggior parte dei casi l’incannulazione del seno coronarico è agevole utilizzando il catetere diagnostico Multipurpose o Amplatz AL1, eventualmente aiutandosi con piccole iniezioni manuali di contrasto allo scopo di identificare l’origine del vaso venoso. Una volta incannulato il seno coronarico, il catetere viene avanzato nella parte distale del vaso e viene eseguita un’angiografia allo scopo di valutare le dimensioni del vaso, la presenza di anomalie anatomiche e l’origine dei vasi collaterali. Se le dimensioni del vaso sono compatibili con l’impianto del dispositivo, viene identificata la “landing zone”, ossia il segmento più prossimale del vaso, in modo da eseguire l’impianto prossimalmente all’origine dei vasi collaterali. Talvolta, può non risultare facile incannulare il seno coronarico con questi cateteri e sarà, quindi, necessario utilizzare altri cateteri come il l’Amplatz AL2 o il Josephson.







In seguito, viene fatto avanzare un catetere guida Multipurpose 9 Fr nella parte distale del seno coronarico con il supporto del catetere diagnostico 6 Fr (tecnica “mother-and-child”). Una volta che il catetere guida 9 Fr risulta posizionato più distalmente possibile nel seno coronarico, il catetere diagnostico 6 Fr viene retratto e viene fatto avanzare il Reducer fino al segmento del seno coronarico dove si vuole impiantare il dispositivo. Il catetere guida 9 Fr viene, quindi, retratto in modo da poter esporre il Reducer e procedere al suo impianto mediante gonfiaggio del palloncino su cui è montato. La pressione di gonfiaggio varia tra 2 e 6 atm a seconda del diametro del seno coronarico. Un’iniezione di contrasto aggiuntiva durante il gonfiaggio del Reducer aiuta a valutare un possibile lieve sovradimensionamento del Reducer rispetto al diametro del seno coronarico. Dopo l’espansione viene recuperato il palloncino con cautela per evitare il dislocamento del Reducer. Un’angiografia finale permette di valutare la corretta posizione del dispositivo e l’assenza di eventuali complicanze. Dopo la procedura tutti i pazienti continuano comunque la terapia medica in atto. Un regime di doppia antiaggregazione piastrinica con aspirina e clopidogrel è raccomandato per 1 mese (come per gli stent metallici coronarici).

POSSIBILI MECCANISMI DELL’EFFETTO ANTI-ANGINOSO DEL REDUCER

Ad oggi in realtà non esiste un meccanismo universalmente accettato sull’effetto anti-anginoso del Reducer. Tuttavia due sono i meccanismi proposti, sebbene non supportati, almeno ancora, da studi clinici.

In condizioni di normalità, il flusso nel miocardio subendocardico è più elevato rispetto alla porzione subepicardica. Durante l’esercizio fisico, per far fronte a una maggiore domanda di ossigeno del miocardio subendocardico, il meccanismo compensatorio di vasocostrizione dei vasi subepicardici (modulata dal sistema simpatico) garantisce una maggiore perfusione subendocardica, così permettendo una maggiore contrattilità. In presenza di malattia coronarica epicardica, questo meccanismo compensatorio è alterato e il rapporto di flusso tra subendocardio e flusso subepicardio è ridotto, come conseguenza di una ridistribuzione del flusso dai vasi subendocardici ad elevate resistenze ai vasi subepicardici a più basse resistenze. In presenza di coronaropatia, durante l’esercizio fisico la ridotta perfusione subendocardica causa ischemia e ridotta contrattilità, aumentando la pressione telediastolica del ventricolo sinistro, con conseguente comparsa di angina e ridotta tolleranza allo sforzo16. L’aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro, causando una pressione esterna sui capillari e sulle arteriole subendocardiche, determina un aumento delle resistenze al flusso e una conseguente maggiore ischemia subendocardica, innescando così un circolo vizioso di ischemia che peggiora il flusso nel subendocardio. L’effetto anti-anginoso dell’aumento pressorio del seno coronarico rimane speculativo, ma si ipotizza che la pressione aumentata in seno coronarico causi un aumento pressorio nelle venule e nei capillari17,18, che risulterà in una dilatazione di capillari e arteriole e in una riduzione delle resistenze al flusso nelle arteriole subendocardiche. Come conseguenza, l’alterato rapporto tra flusso subepicardico e flusso subendocardico potrà essere riportato alla normalità17. In risposta all’aumento della pressione del seno coronarico, il flusso nelle aree subendocardiche ischemiche è migliorato, determinando un miglioramento della contrattilità e una riduzione della pressione telediastolica del ventricolo sinistro, che ridurrà le resistenze del subendocardio, così rompendo il circolo vizioso di ischemia presente in condizioni di malattia coronarica epicardica19,20.

Un secondo potenziale meccanismo d’azione ipotizzato sembrerebbe essere legato al possibile effetto angiogenetico del dispositivo. Già nei primi anni ’90 la ricerca scientifica aveva introdotto nuove terapie di riperfusione retrograda del miocardio acutamente ischemico mediante una specie di piccolo contropulsatore per il seno coronarico, ipotizzando che queste potessero ridurre il danno post-infartuale incrementando la pressione venosa a valle del territorio ischemico20,21. Durante questi studi è stata documentata la presenza di neoangiogenesi intramiocardica ed epicardica: la valutazione istologica ha infatti evidenziato la proliferazione di piccole e medie arteriole che andavano a costituire i circoli collaterali del territorio ischemico. Intorno all’effettivo meccanismo fisiologico del Reducer vi è ancora un dibattito aperto e studi futuri saranno necessari per capire il reale meccanismo di azione di tale dispositivo.

STUDI PRE-CLINICI E CLINICI A SUPPORTO DELL’IMPIANTO DEL REDUCER NELL’ANGINA REFRATTARIA

Risale al 2007 lo studio “first-in-man” che ha valutato l’impianto del Reducer in pazienti con angina refrattaria (classe CCS III o IV) nonostante terapia medica ottimale, con chiara evidenza di ischemia miocardica e assenza di lesione target per la rivascolarizzazione coronarica22. Tale studio prospettico, multicentrico, non randomizzato, ha documentato come l’impianto del dispositivo Reducer fosse sicuro, perché nei 15 pazienti arruolati non si sono verificati eventi avversi legati alla procedura, ed efficace, perché tutti i pazienti trattati hanno riferito miglioramento clinico dalla procedura. In particolare, l’85% dei pazienti trattati ha presentato un miglioramento della classe di angina CCS (la classe CCS di angina media è passata da 3.07 a 1.64 a 6 mesi dal trattamento, p<0.001). Lo studio ha evidenziato, inoltre, come il sottoslivellamento del tratto ST alla prova da sforzo fosse ridotto a 6 mesi dall’intervento rispetto al basale in 6 pazienti su 9 e non più presente in 2 dei 6 pazienti. Similarmente, l’ecocardiografia con dobutamina e la scintigrafia miocardica hanno mostrato al follow-up clinico a 6 mesi una riduzione dell’ischemia miocardica dopo il trattamento con Reducer.

Nel 2014, Konigstein et al.23 hanno confermato i dati ottenuti nello studio “first-in-man”, riportando un successo nell’impianto di tale dispositivo in 21 dei 23 pazienti trattati (91%). Il mancato impianto nei 2 pazienti era legato alla complessità dell’anatomia del seno coronarico. Anche tale esperienza confermava la sicurezza dell’impianto del Reducer in seno coronarico, non riportando in nessuno dei pazienti trattati eventi avversi legati al dispositivo. Inoltre veniva confermata l’efficacia di tale dispositivo nel migliorare sia i sintomi (classe CCS media di angina 3.3 ± 0.6 prima della procedura e 2.0 ± 1.0 a 6 mesi da questa, p<0.001) che l’ischemia miocardica (stress score alla scintigrafia miocardica da 21.5 ± 10 a 13.2 ± 9, p=0.01).

Nel 2015 sono stati pubblicati i risultati dello studio COSIRA (Coronary Sinus Reducer for Treatment of Refractory Angina)24, trial multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, che ha testato la sicurezza e l’efficacia del Reducer in pazienti con angina refrattaria (classe CCS III o IV), ischemia miocardica e assenza di possibile rivascolarizzazione coronarica chirurgica o percutanea. In totale, 104 pazienti sono stati randomizzati in doppio cieco all’impianto del Reducer in seno coronarico (gruppo di trattamento) vs a simulazione della procedura senza impianto del dispositivo (gruppo di controllo). L’endpoint primario dello studio era il miglioramento di almeno due classi CCS di angina a 6 mesi dalla procedura. L’impianto del dispositivo è stato eseguito con successo in 50 dei 52 pazienti randomizzati al braccio di trattamento, con l’impossibilità di impiantare il dispositivo in 2 pazienti per complessità anatomica del seno coronarico. Un totale di 18 su 52 pazienti nel gruppo di trattamento e 8 su 52 nel gruppo di controllo ha presentato un miglioramento di almeno due classi CCS (35 vs 15%, p=0.02) a 6 mesi di follow-up. Nel gruppo di trattamento, il 71% dei pazienti (37 su 52 pazienti) ha presentato un miglioramento di almeno una classe CCS, rispetto al 42% (22 su 52) nel gruppo di controllo (p=0.03). Inoltre, lo studio ha evidenziato nel gruppo trattato un miglioramento della qualità di vita (valutata con il Seattle Angina Questionnaire) rispetto al gruppo di controllo (miglioramento di 17.6 punti vs 7.6 punti su una scala di 100 punti, p=0.03). Nessuna differenza significativa è stata osservata tra i due gruppi per quanto riguarda la durata dell’esercizio fisico, l’entità del sottoslivellamento del tratto ST durante prova da sforzo e l’ischemia miocardica valutata con ecocardiografia da stress o scintigrafia miocardica.

Al momento è in corso il registro multicentrico Reducer-1 che valuterà in oltre 400 pazienti trattati in più di 40 centri sicurezza ed efficacia del trattamento con Reducer nel mondo reale.

CONCLUSIONI

La terapia medica ottimale e i progressi ottenuti nella rivascolarizzazione coronarica/chirurgica hanno migliorato la sopravvivenza dei pazienti con cardiopatia ischemica, spostando l’attenzione sul controllo dei loro sintomi e sul miglioramento della qualità di vita. Sebbene ad oggi l’impianto del Reducer in seno coronarico sia supportato solo da pochi studi clinici, con scarso “sample size”, ed assenza di dati sul follow-up a lungo termine, tale dispositivo rappresenta una strategia terapeutica promettente in pazienti con angina. Studi futuri saranno indispensabili per comprendere in modo più chiaro in primo luogo il meccanismo al quale è legato il suo beneficio nella riduzione dei sintomi, in secondo luogo se questo beneficio sintomatologico possa anche associarsi alla riduzione oggettiva dell’ischemia miocardica e se, infine, tali risultati possano mantenersi nel tempo.

RIASSUNTO

L’angina refrattaria è una condizione cronica caratterizzata dalla presenza di severa coronaropatia determinante sintomi anginosi disabilitanti solo parzialmente controllabili dalla terapia medica ottimale e/o da rivascolarizzazione miocardica percutanea o chirurgica. Il tasso di mortalità associato a questa condizione è relativamente basso in pazienti clinicamente stabili e in terapia medica ottimale, ma i tassi di riospedalizzazione sono tuttavia ancora elevati. Ne consegue, in questa tipologia di pazienti, la necessità clinica di nuove terapie mirate ad un miglioramento dei sintomi, tenendo conto però del potenziale impatto in termini di assistenza sanitaria e di costi.

Numerose opzioni terapeutiche sono state sviluppate negli ultimi anni in questa tipologia di pazienti, tuttavia, nessuna di queste è divenuta “standard of care”, e viene pertanto attualmente utilizzata nella pratica clinica. Gli interventi con impianto di dispositivi in seno coronarico potrebbero ridurre l’ischemia miocardica inducendo una ridistribuzione del flusso ematico dal territorio subepicardico meno ischemico al territorio subendocardico più ischemico, riducendo così i sintomi legati all’ischemia. Il Reducer (Neovasc Inc., Richmond B.C., Canada) è un dispositivo impiantabile per via percutanea nel seno coronarico, che attraverso la riduzione nel calibro del seno coronarico determina un aumento della pressione nel sistema venoso cardiaco. L’impianto di tale dispositivo si è dimostrato essere correlato ad un miglioramento dei sintomi anginosi e ad una riduzione dell’ischemia in alcuni studi pre-clinici e clinici. Recentemente, un trial clinico multicentrico e randomizzato, in doppio cieco, ha dimostrato il suo beneficio nel migliorare i sintomi in 104 pazienti con angina refrattaria rispetto al placebo.

Parole chiave. Angina refrattaria; Reducer; Seno coronarico.

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