In questo numero

processo ai grandi trial




La strada per il controllo farmacologico dell’ipertensione resistente

L’ipertensione resistente si caratterizza per il mancato controllo dei valori pressori anche con la combinazione di tre diverse classi farmacologiche alla massima dose tollerata. È una condizione di vasto impatto epidemiologico poiché interessa fino a uno su 5 ipertesi trattati. I meccanismi fisiopatologici alla base dell’ipertensione resistente non sono ben elucidati e gli approcci ottimali per mirare al controllo pressorio in questi pazienti non sono codificati. In questo numero del Giornale, Davide Bolignano e Carmine Zoccali guidano i lettori nell’interpretazione dello studio PATHWAY-2, che traccia la via alla gestione farmacologica efficace dei pazienti con ipertensione resistente. Il trial ha esplorato i meccanismi sottesi alla sindrome, verificando l’ipotesi del ruolo patogenetico cruciale della ritenzione di sodio, attraverso il confronto di classi farmacologiche attive su processi diversi. Il PATHWAY-2 ha sancito con un disegno randomizzato sequenziale l’efficacia come farmaco di quarta linea dello spironolattone rispetto all’alfa-litico doxazosina e al betabloccante bisoprololo, dimostrando che l’ipertensione resistente può ancora rispondere ad un trattamento farmacologico vigoroso, prima di rivolgersi a strategie alternative. •

editoriale




Ipertensione polmonare: più attenzione per una malattia rara e complessa

La Società Europea di Cardiologia ha licenziato a fine 2015 le nuove linee guida sull’ipertensione polmonare. Come tutte le precedenti, sono molto dettagliate, spaziando dalla classificazione alla diagnosi e terapia e sono quindi estremamente utili al clinico. Fabrizio Morandi ne fa una rilettura critica, sottolineando quelli che sono i capisaldi dell’approccio all’ipertensione polmonare (ad es. la necessità di passare dal riscontro di una condizione emodinamica ad una diagnosi precisa di malattia, la necessità di un inizio precoce di terapia e di una terapia aggressiva in fase avanzata) ma anche evidenziando alcuni punti che rimangono di difficile applicazione nella pratica clinica. Ad esempio, viene sottolineato come il riferimento ai centri esperti associato ad una stretta collaborazione tra centri di riferimento e ambulatori dedicati locali fornirebbe un grande aiuto ai medici e una maggiore sicurezza per il paziente. •

la cosa pubblica




Così lontani, così vicini... telecardiologia in azione

Nonostante gli indubbi vantaggi potenziali per la gestione dell’emergenza ma anche per il monitoraggio della cronicità, la rivoluzione culturale della telemedicina stenta a farsi strada in maniera organica e strutturale nella rete sanitaria italiana, rimanendo spesso confinata in una fase di progetto. In questo contributo, Giovanni Bisignani et al. descrivono la creazione di una rete di telecardiologia nel vasto territorio provinciale di Cosenza dove la geografia dell’area pone significativi ostacoli ad una gestione efficace dell’emergenza, minando un equo accesso dei cittadini alle terapie riperfusive. Dopo aver analizzato gli attuali limiti alla diffusione della telecardiologia, gli autori declinano gli obiettivi del progetto, centrato sulle emergenze coronariche, sul paziente critico e sulla rete delle UTIC, ma in grado di garantire anche il miglioramento del monitoraggio delle cardiopatie croniche, attraverso la riduzione dei tempi di refertazione, la possibilità di consultazione e confronto dei precedenti dati del singolo paziente. La telecardiologia è divenuta in questo contesto uno strumento fondamentale per consentire l’implementazione efficiente di percorsi diagnostici e terapeutici che traducono i progressi medici in miglioramenti clinici e della qualità della vita. •

al fondo del cuore

Articolo del mese




Nuovi approcci ad una vecchia conoscenza

A chi non è capitato di sentirsi rivolgere durante un esame di medicina una domanda sui meccanismi patogenetici delle diverse forme di angioedema? In questo colto contributo Marta Mansi et al. ci ricordano come l’angioedema ereditario e quello acquisito abbiano alla base differenti meccanismi patogenetici e che rispondano quindi a terapie differenti. In particolare l’angioedema correlato all’uso di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina è un problema discretamente frequente per chi lavora in pronto soccorso. L’argomento risulta di estremo interesse per le conseguenze che queste entità nosologiche hanno sui pazienti, sia in termini di sintomi invalidanti sia in termini di eventi fatali. •

rassegne




Ipertensione polmonare: l’era della moderna terapia basata sulle evidenze

L’era dei trial clinici in Medicina nasce, poco più di 20 anni fa, dalla convinzione che il mondo della terapia fosse troppo empirico e vago e che fosse invece necessario e possibile raggiungere un grado maggiore di certezza riguardo all’efficacia e sicurezza dei trattamenti terapeutici. I trial sono stati lo strumento applicativo di questo nuovo approccio. Oggi gli enti regolatori e la comunità scientifica ritengono che niente meglio dei trial randomizzati controllati possa dare solidità di prova ai risultati di uno studio. L’approccio clinico all’ipertensione arteriosa polmonare è stato radicalmente cambiato dai trial clinici. In questa rassegna, Alberto Maria Marra et al. ripercorrono la storia dei trial in questa malattia, partendo dai primi piccoli studi d’intervento, condotti in aperto negli anni ’90, fino ai recenti grandi trial randomizzati e controllati con placebo che hanno arruolato più di mille pazienti. Tuttavia, come ci ricorda Marra, l’ipertensione arteriosa polmonare rimane una malattia molto invalidante e dalla prognosi scadente in cui il trapianto polmonare risulta ad oggi l’unica terapia nelle forme più avanzate. È auspicabile che la ricerca clinica possa in un prossimo futuro riuscire a garantire il miglioramento dell’aspettativa di vita e della qualità di vita che tutti i pazienti affetti da questa condizione si aspettano. •




Nefropatia da mezzo di contrasto: se la conosci la eviti

In questa rassegna Eugenio Genovesi et al. fanno il punto sulla nefropatia da mezzo di contrasto in ambito cardiologico. Il fenomeno rappresenta la terza causa, per frequenza, di insufficienza renale acuta acquisita durante l’ospedalizzazione ed è la complicanza più temuta degli interventi coronarici percutanei. La sua incidenza non irrilevante (14% nella popolazione generale) rende conto dell’interesse dell’argomento nel contesto cardiologico e suggerisce l’opportunità di una comprensione approfondita della fisiopatologia, dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione. Su questi aspetti la presente rassegna si focalizza in modo puntuale e aggiornato, alla luce della più recente letteratura e delle ultime linee guida. Particolare interesse suscitano i capitoli dedicati al precoce riconoscimento della complicanza (biomarcatori di danno renale quali KIM-1, NGAL, NAG e altri ancora), alla disamina dei meccanismi fisiopatologici alla base della stessa (con particolare riferimento alla tossicità diretta sulle cellule tubulari renali e al danno ipossico-ischemico), alle modalità di prevenzione (farmacologiche e non). Da ultimo gli autori non mancano di indicare prospettive future di prevenzione (interessante in particolare il condizionamento ischemico remoto) e di proporre una flow chart pratica di gestione clinica per la prevenzione della nefropatia. Argomento interessante, rassegna ben condotta e onesta. Un’opportunità per approfondire e mettersi in discussione. •

studio osservazionale




Lupus, cuore e anticorpi antifosfolipidi

È nota la “predilezione” delle malattie reumatiche per il cuore. Anche se inizialmente silente dal punto di vista clinico, l’interessamento cardiaco è molto frequente nel lupus eritematoso sistemico (LES), come confermato da questo studio osservazionale, in cui Manuel Monti et al. hanno studiato 38 pazienti con LES e 38 controlli sani, appaiati per età, sesso e fattori di rischio cardiovascolare. I pazienti sono stati sottoposti a ecocardiogramma transtoracico e caratterizzazione del profilo anticorpale. Gli autori hanno riscontrato, come atteso, un’elevata prevalenza di alterazioni cardiache nei pazienti affetti da LES rispetto al gruppo di controllo, in particolare alterazioni valvolari, in primis insufficienza mitralica, seguita da quella aortica. È stato osservato inoltre che la positività agli anticorpi antifosfolipidi (aPL) (presente nel 60.5% dei pazienti) costituisce un fattore di rischio per il coinvolgimento cardiaco, per quanto clinicamente silente, rispetto ai pazienti aPL-negativi, con alcune specifiche alterazioni cardiache correlate alla positività di alcune specifiche sottoclassi di aPL. Questi dati confermano il ruolo eziopatogenetico degli aPL nel danno cardiaco correlato a LES. Gli aPL possono infatti contribuire al danno vascolare, sia aumentando la probabilità di trombosi, sia attraverso un danno diretto alla struttura dei lembi valvolari. Rimane da approfondire il dato interessante della predisposizione a specifici danni a livello cardiaco, correlata ad alcuni sottotipi di aPL, che apre nuovi scenari fisiopatologici e di potenziale trattamento. •

dal particolare al generale




Quando un imaging tempestivo fa la differenza

Ferdinando Maria Massari et al. descrivono un caso di mixoma atriale in un uomo di 56 anni valutato ambulatoriamente per dispnea presente da 6 mesi e con riferito episodio di sudorazione algida occorso 2 mesi prima salendo una rampa di scale. Soltanto 78 giorni dopo la prima visita veniva posta diagnosi di mixoma atriale mediante ecocardiogramma. Gli autori, oltre a discutere la letteratura sull’argomento, pongono l’accento sul ritardo nella diagnosi legato alla diagnostica differenziale in caso di dispnea e/o sincope per la quale il paziente viene inviato da specialisti quali il pneumologo o il neurologo. Tale ritardo può in via teorica risultare anche foriero di eventi invalidanti o letali. La vicenda clinica che viene descritta è emblematica dei tempi anche lunghi che possono trascorrere tra il primo contatto medico-paziente e la definizione di una diagnosi peraltro estremamente semplice da portare a conclusione. •




Insidioso esordio di mixoma atriale

Pierpaolo Cannarile et al. descrivono il caso di una donna di 52 anni con infarto acuto del miocardio a coronarie indenni, secondario ad embolizzazione coronarica originata da un mixoma atriale sinistro. Gli autori hanno poi condotto una revisione dei casi clinici pubblicati negli ultimi 45 anni sulla rara associazione tra mixoma atriale e infarto miocardico acuto, per trarre spunti di tipo patogenetico ed epidemiologico dal mondo reale. La revisione della letteratura dimostra che la sopravvivenza dei pazienti con neoplasie cardiache primitive benigne operati non è statisticamente differente dalla popolazione generale; per contro, la mortalità e il rischio di complicanze nei pazienti non operati sono elevati. •