Disostruzione delle occlusioni coronariche croniche:
a tutti o a nessuno? In medio stat virtus!

Guido D’Agosta, Alessio La Manna

Divisione di Cardiologia, Ospedale Ferrarotto, Università degli Studi, AOU Policlinico Vittorio Emanuele, Catania

Occlusioni totali croniche (CTO) di una coronaria o di sue diramazioni si osservano con una prevalenza di circa il 15-20% nella popolazione sottoposta ad angiografia coronarica, ma nonostante i possibili benefici associati alla ricanalizzazione percutanea solo una bassa percentuale di CTO viene tuttora sottoposta a procedura coronarica percutanea (PCI). Ciò dipende essenzialmente dall’elevata complessità tecnica – che richiede operatori specializzati –, dalla maggiore incidenza di complicanze periprocedurali rispetto alla PCI di lesioni non occlusive, e dalla disponibilità di pochi dati randomizzati di confronto contro la terapia medica. Nell’anno in cui l’angioplastica percutanea compie 40 anni occorre osservare che nel corso dell’ultimo decennio la percentuale di successo nella ricanalizzazione delle CTO ha raggiunto ormai l’80-90% di tentativi. Lo sviluppo di nuovi materiali, l’introduzione di nuove tecniche procedurali e l’impiego più frequente delle metodiche di immagine intravascolare sono momenti fondamentali che spiegano gran parte di questo indiscutibile progresso. In questo Supplemento del Giornale Italiano di Cardiologia, Mattesini et al.1 passano in rassegna gli aspetti più contemporanei del trattamento percutaneo delle CTO. Occorre congratularsi con questi autori per un articolo ben scritto e utile al lettore desideroso di approfondire questo campo d’interesse.

Le nuove tecniche di dissezione e rientro (DR) anterograde e retrograde (“reverse CART”), il sistema CrossBoss/Stingray, e il continuo perfezionamento di guide e microcateteri permettono oggi di eseguire con successo la PCI di CTO ad alto coefficiente di difficoltà. Le tecniche di DR implicano l’impianto di stent nella parte subintimale del vaso, senza che questo si traduca in significativi svantaggi a medio termine in confronto all’impianto luminale secondo tecniche “true-to-true” (TTT)2,3. Un recente studio multicentrico di 924 pazienti sottoposti a CTO-PCI con successo ha valutato l’impatto prognostico delle nuove tecniche di DR (reverse CART, CrossBoss/Stingray; n=258) rispetto alle vecchie tecniche di DR (STAR, LAST, CART, n=95) e all’approccio TTT (n=571). A 12 mesi, la percentuale di eventi avversi maggiori nel gruppo sottoposto a disostruzione mediante le vecchie tecniche di DR (22.1%) si è rivelata significativamente più alta rispetto al gruppo sottoposto a disostruzione mediante le nuove tecniche di DR (8.9%) e al gruppo sottoposto ad approccio TTT (9.1%, p<0.001). L’avvento delle nuove tecniche di DR sembra quindi avere azzerato il gap con l’approccio TTT, segnando dunque un’ulteriore accelerazione nel processo di standardizzazione della metodica4. Come ben descritto da Mattesini et al.1, tuttavia, nonostante la costante evoluzione di tecniche e materiali e il corrispondente incremento dei tassi di successo procedurale, la diffusione sistematica della rivascolarizzazione delle CTO rimane ancora notevolmente limitata dalle poche evidenze scientifiche disponibili. Quest’anno è stato tuttavia caratterizzato da qualche interessante novità, con risultati eterogenei.

Oltre al recente trial EXPLORE5, ben commentato da Mattesini et al. nella loro rassegna, lo studio DECISION-CTO rappresenta al momento il più grande trial randomizzato di confronto tra PCI e terapia medica ottimale in pazienti con CTO. I risultati – presentati a marzo 2017 nel corso della sessione scientifica dell’American College of Cardiology a Washington, e nel momento in cui scriviamo questo editoriale ancora non pubblicati – hanno però turbato i sostenitori della PCI delle CTO. In questo studio, condotto in Corea del Sud e interrotto prematuramente per la lentezza dell’arruolamento, sono stati reclutati 834 pazienti con CTO in vasi >2.5 mm. La percentuale di successo procedurale nel ramo randomizzato a PCI è stata del 91%, in linea con gli standard attuali. L’endpoint primario (morte da ogni causa, infarto periprocedurale e spontaneo, ictus e rivascolarizzazione coronarica a 3 anni) è stato raggiunto nel 19.6% dei pazienti sottoposti a terapia medica e nel 20.6% dei pazienti sottoposti a PCI (p=0.67). La terapia medica ottimale ha rispettato il criterio di non-inferiorità rispetto alla PCI nell’analisi “intention to treat” (p=0.008), ma non nelle analisi “per protocol” e “as treated” (p=0.15 e p=0.35, rispettivamente).

Al netto delle considerazioni che riguardano la natura sottodimensionata dello studio e l’incompletezza del follow-up a 3 e 5 anni, un’analisi attenta del DECISION-CTO rivela alcuni aspetti che giustificano lo scetticismo degli esperti. In particolare, la scelta di includere l’infarto miocardico periprocedurale nell’endpoint primario contrasta con la nozione che durante i lunghi interventi di CTO-PCI l’impegno di circoli collaterali, l’impianto di stent in tratti subintimali e la possibile perdita di piccole branche laterali (conseguenze intrinseche della procedura) si accompagnano frequentemente ad aumento degli enzimi cardiaci di scarso impatto prognostico. Il più elevato rilascio di enzimi postprocedurale di solito si ha nei pazienti con CTO tributaria di un vasto territorio di miocardio, che paradossalmente sono proprio quelli che beneficiano di più dell’intervento6. In linea con queste osservazioni, in DECISION-CTO la percentuale di morte da ogni causa non era significativamente più elevata nella popolazione sottoposta a PCI, ma anzi numericamente ridotta rispetto al braccio terapia medica, con una riduzione di quasi il 50% della morte cardiaca (1.9% PCI vs 3.6% a 3 anni). Altro motivo di riflessione è rappresentato dal fatto che in questo trial è stata esclusa la popolazione con patologia coronarica associata a disfunzione ventricolare sinistra (frazione di eiezione <30%), in cui la presenza di una CTO determina un aumento degli eventi avversi a lungo termine e che dunque potrebbe beneficiare maggiormente di un intervento di disostruzione7,8.

Se dopo il DECISION-CTO si può dire che una prova definitiva dell’impatto prognostico della CTO-PCI è ancora latitante, i dati che riguardano il miglioramento della qualità di vita sono più controversi. Infatti, mentre lo studio coreano non ha dimostrato alcun vantaggio della CTO-PCI nella riduzione dell’angina e nel miglioramento della qualità di vita, i dati del trial EURO-CTO – recentemente presentati all’EuroPCR 2017 a Parigi – vanno nella direzione opposta (anche questo studio risulta non ancora pubblicato all’epoca della redazione di questo editoriale). Werner et al. hanno arruolato 407 pazienti con CTO in 26 differenti centri e li hanno randomizzati 2:1 a PCI o terapia medica tra marzo 2012 e maggio 2015, valutando come endpoint primario di efficacia l’effetto della PCI sullo stato di salute dei pazienti a 12 mesi in base al Seattle Angina Questionnaire. Nel braccio PCI il successo procedurale è stato ottenuto nell’86.3% dei pazienti, un terzo dei quali mediante accesso radiale, con una percentuale di complicanze del 2.9%. Dieci pazienti del braccio terapia medica (7.3%) hanno subito un crossover a PCI per la presenza di angina ricorrente. Lo studio, anch’esso sottodimensionato per interruzione prematura, ha mostrato un significativo miglioramento nella frequenza di angina (p=0.009) così come un miglioramento nella classe di angina secondo la Canadian Cardiovascular Society nei pazienti sottoposti a CTO-PCI (p<0.001). Miglioramenti della qualità di vita e della limitazione fisica, la stabilità d’angina e la soddisfazione del trattamento sono stati numericamente più alti nel braccio sottoposto a PCI. Le percentuali di eventi avversi maggiori a 12 mesi sono state simili tra i due gruppi oggetto dello studio (PCI vs terapia medica ottimizzata: 5.2 vs 6.7%, p=0.52).

Nonostante i loro limiti, i risultati degli studi DECISION-CTO ed EURO-CTO confermano che la ricanalizzazione percutanea di una CTO, in mani esperte, è una strategia sicura, con un elevato tasso di successo procedurale e un limitato numero di complicanze. Per quanto riguarda il giudizio sull’efficacia appare chiaro che, poiché al momento non è possibile dare una risposta definitiva, l’approccio terapeutico dovrebbe essere guidato dal trattamento dei sintomi e dell’ischemia di ampie aree di miocardio.

BIBLIOGRAFIA

1. Mattesini A, Valente S, Sorini Dini C, et al. Il trattamento delle occlusioni coronariche croniche: stato dell’arte. G Ital Cardiol 2017;18(6 Suppl 1):3S-11S.

2. Rinfret S, Ribeiro HB, Nguyen CM, Nombela-Franco L, Urena M, Rodés-Cabau J. Dissection and re-entry techniques and longer-term outcomes following successful percutaneous coronary intervention of chronic total occlusion. Am J Cardiol 2014;114:1354-60.

3. Amsavelu S, Christakopoulos GE, Karatasakis A, et al. Impact of crossing strategy on intermediate-term outcomes after chronic total occlusion percutaneous coronary intervention. Can J Cardiol 2016;32:1239.e1-1239.e7.

4. Azzalini L, Dautov R, Brilakis ES, et al. Impact of crossing strategy on mid-term outcomes following percutaneous revascularisation of coronary chronic total occlusions. Eurointervention 2017 Feb 28 [Epub ahead of print].

5. Henriques JP, Hoebers LP, Ramunddal T, et al.; EXPLORE Trial Investigators. Percutaneous intervention for concurrent chronic total occlusions in patients with STEMI: the EXPLORE trial. J Am Coll Cardiol 2016;68:1622-32.

6. Safley DM, Koshy S, Grantham JA, et al. Changes in myocardial ischemic burden following percutaneous coronary intervention of chronic total occlusions. Catheter Cardiovasc Interv 2011;78:337-43.

7. Hoebers LP, Vis MM, Claessen BE, et al. The impact of multivessel disease with and without a co-existing chronic total occlusion on short- and long-term mortality in ST-elevation myocardial infarction patients with and without cardiogenic shock. Eur J Heart Fail 2013;15:425-32.

8. Tajstra M, Pyka L, Gorol J, et al. Impact of chronic total occlusion of the coronary artery on long-term prognosis in patients with ischemic systolic heart failure: insights from the COMMIT-HF registry. JACC Cardiovasc Interv 2016;9:1790-7.