In questo numero

processo ai grandi trial




Lo studio CANTOS ovvero la terapia antinfiammatoria per il post-infarto

Il 2017 è stato un anno importante per la prevenzione cardiovascolare perché lo studio CANTOS ha aperto la strada all’utilizzo della terapia antinfiammatoria nella prevenzione degli eventi coronarici. I presupposti, i risultati dello studio e le possibili implicazioni pratiche sono state ampiamente prese in esame nei commenti di Giovanna Liuzzo, Aureliano Ruggio e Stefano Urbinati. Lo studio ha riguardato oltre 10 000 pazienti con recente infarto miocardico e ha dimostrato che il trattamento con canakinumab, un anticorpo monoclonale in grado di ridurre i livelli di proteina C-reattiva ad alta sensibilità senza modificare l’assetto lipidico, si associa ad una riduzione significativa di nuovi eventi cardiovascolari, con un risultato tutt’altro che scontato. Sorprendentemente è stata osservata anche una riduzione dei nuovi casi di cancro al polmone, soprattutto nei soggetti fumatori. •

editoriale




Le nuove linee guida europee sulle arteriopatie periferiche, una patologia troppo spesso sottovalutata

Salvatore Novo e Giulia Zambelli presentano una disamina delle ultime linee guida europee sulla diagnosi e il trattamento delle arteriopatie periferiche, che dovrebbero essere conosciute maggiormente dal cardiologo, in quanto la ricerca e il corretto trattamento di questa patologia vengono troppo spesso sottovalutati. Gli autori analizzano le raccomandazioni relative alla patologia delle arterie carotidi, mesenteriche, renali, degli arti superiori e inferiori, dalle quali emerge la conferma che queste arteriopatie rappresentano soprattutto un marker di aumentato rischio coronarico, da trattare con una prevenzione farmacologica efficace. Vengono anche discusse le indicazioni alle procedure di rivascolarizzazione, interventistiche o chirurgiche, che, in tutti i distretti, sono state probabilmente sovrautilizzate e che dovrebbero essere prese in considerazione solo qualora vi sia una reale evidenza del loro impatto sulla prognosi. •

questioni aperte




La rivincita dei grassi

Il recente studio osservazionale PURE ha messo in discussione l’immaginario collettivo dimostrando che l’alimentazione ad elevato contenuto di grassi, e di grassi saturi in particolare, non rappresenta un rischio per la mortalità e le malattie cardiovascolari. Andrea Poli propone un’interessante e accurata disamina dei dati derivati da questo studio, analizzando tutte le classi di nutrienti in relazione al rischio cardiovascolare. Viene proposta una raccomandazione alimentare basata non tanto sul singolo nutriente, ma piuttosto sul tipo di alimento che li contiene, evitando quindi di vietare il consumo di cibi come ad esempio i formaggi, il cui consumo impatta positivamente sulla salute dell’individuo. •

cuore e interazioni




Avvinghiati insieme... il cuore e i polmoni

Le malattie cardiovascolari e le malattie pneumologiche spesso coesistono, in particolare la cardiopatia ischemica e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), probabilmente perché condividono alcuni fattori di rischio comuni, come il fumo di sigaretta, l’inattività fisica, lo stile di vita non salutare e l’età avanzata o forse perché, in entrambi i casi, vi sono un’alterata risposta infiammatoria sistemica e gli effetti negativi di acidosi, ipercapnia ed ipossia. Gli stessi sintomi, come la riduzione della tolleranza allo sforzo e la dispnea, possono essere di origine cardiaca o polmonare. In questa rassegna Sara Roversi e Leonardo Fabbri illustrano il complesso legame tra cardiopatia ischemica e BPCO, gravate entrambe da elevata morbi-mortalità, specie se contemporaneamente presenti in uno stesso paziente. Pertanto, nei pazienti con BPCO dovrebbe essere sempre effettuata una stratificazione del rischio cardiologico per riconoscere un’eventuale coronaropatia sottostante.

Di contro, le riacutizzazioni di BPCO possono frequentemente instabilizzare una coronaropatia nota con insorgenza di angina o infarto miocardico. Anche la gestione terapeutica delle due patologie è intricata. I farmaci broncodilatatori anti-muscarinici e beta2-agonisti, capisaldi della terapia della BPCO, possono avere effetti cardiaci avversi, anche se negli ultimi anni alcuni trial clinici randomizzati hanno smentito questa possibilità. Al contrario i farmaci betabloccanti, capisaldi della terapia della cardiopatia ischemica, determinano gravi effetti avversi pneumologici secondari alla broncocostrizione e non possono essere usati nei soggetti asmatici. Nei pazienti con BPCO non vi sono controindicazioni assolute all’utilizzo dei betabloccanti, che vanno comunque evitati nelle forme gravi e/o terminali. •

rassegne




L’insostenibile leggerezza dell’essere... pre-eccitati e asintomatici

Nel procedere alla refertazione quotidiana dei tracciati, talvolta il cardiologo si trova di fronte alla pre-eccitazione. Il problema principale diventa la gestione del paziente, generalmente giovane con diagnosi di sindrome di Wolff-Parkinson-White. Roberto De Ponti et al. propongono una revisione della letteratura, ripercorrendo le varie tappe della cardiologia aritmologica nel definire un atteggiamento comune per la gestione di questi pazienti, soprattutto quando sono asintomatici. Viene analizzato l’algoritmo proposto dal documento di consenso delle Società Scientifiche nordamericane, evidenziando come il nodo centrale sia definire la presenza di pre-eccitazione persistente o intermittente e, sulla scorta di questo, valutare la necessità di eseguire uno studio elettrofisiologico ed eventuale ablazione. •




Dobbiamo imparare a lavarci bene i denti!

Fino a pochi anni fa eravamo abituati a prescrivere l’antibiotico prima delle sedute odontoiatriche a tutti i pazienti a rischio di endocardite infettiva, magari portatori di un piccolo prolasso valvolare mitralico. Attualmente le raccomandazioni sono molto meno forti in tal senso, tanto che la profilassi antibiotica viene prescritta solo a pochi soggetti ritenuti ad elevato rischio di batteriemia, portatori di protesi valvolari, affetti da cardiopatie congenite o con un precedente evento di endocardite infettiva. Tale restrizione è stata motivata dal timore di effetti avversi degli antibiotici, in particolare reazioni anafilattiche, e dalla preoccupazione di una diffusione sempre maggiore di forme di antibiotico-resistenza. A riguardo delle procedure odontoiatriche, Paolo Crociani e Luciano Schivazappa ricordano che le probabilità di ammalarsi dopo una procedura dentaria anche per le persone a maggior rischio di endocardite sono scarse e che i casi di endocardite dovuti a streptococchi orali sono invece spesso legati a batteriemie causate da atti fisiologici, in particolare da un uso non corretto dello spazzolino da denti e del filo interdentale, che possono ledere le gengive favorendo l’ingresso dei batteri nel sangue. Tuttavia le pratiche igieniche orali, se attuate quotidianamente in modo corretto, impediscono la formazione della placca batterica e le sue complicazioni, riducendo l’incidenza di batteriemie. Inoltre anche l’eliminazione dalla dieta degli zuccheri raffinati contribuisce ad evitare la crescita di varie specie batteriche. Forse in futuro assisteremo all’impiego dei farmaci antiaggreganti per la profilassi dell’endocardite infettiva, che per ora hanno dato risultati solo su animali da esperimento, interferendo con la formazione nel sangue di microaggregati di batteri e piastrine e impedendo la loro adesione sia al trombo sterile sia alla matrice sottoendoteliale in presenza di batteriemia. •

studio osservazionale




Arresto cardiaco: primum defibrillare!

Enrico Paolini et al. propongono un interessante studio volto a verificare se gli insegnamenti del Basic Life Support vengano effettivamente assimilati e quindi potenzialmente applicati correttamente dai laici. Lo studio mette in evidenza come, indipendentemente dalla categoria di lavoratori analizzati, la tendenza alla dimenticanza dell’algoritmo diagnostico-terapeutico dell’arresto cardiaco è molto comune. Gli autori ritengono che se per il personale sanitario che meno applica l’algoritmo la soluzione sarebbe di fare corsi di aggiornamento a frequenza maggiore, nel caso dei non addetti ai lavori c’è effettivamente da chiedersi se l’approccio migliore non sia di diffondere in modo sempre più incisivo la necessità di attivare il più rapidamente possibile il 118 e la defibrillazione precoce. •

casi clinici




Fistola coronarica: una liaison da interrompere

Il riscontro di fistola coronarica è un reperto raro ma non infrequente nella pratica di un laboratorio di emodinamica. Filippo Russo et al. descrivono il caso di un paziente che presenta una condizione clinica in cui il riscontro della fistola non era solo un interessante reperto iconografico ma un fattore determinante ischemia miocardica. È questa la condizione in cui non ci si può solo limitare a documentarne la presenza ma bisogna intervenire. In questo contesto è interessante notare la strategia interventistica messa in atto e gli sviluppi clinici al follow-up. •




Paziente con stenosi aortica, coronaropatia trivasale e bassa frazione di eiezione: missione impossibile?

Paolo Pagnotta et al. riportano il caso di un paziente con un quadro paradigmatico e complesso caratterizzato dalla coesistenza di stenosi aortica severa, coronaropatia trivasale, bassa frazione di eiezione e multiple comorbilità, una condizione sempre più frequente nell’attuale pratica clinica e la cui strategia terapeutica da attuare non è né semplice né codificata. Il rischio operatorio ovviamente rende improponibile un approccio chirurgico mentre l’aspetto innovativo e interessante è rappresentato dall’approccio percutaneo multistep. In quest’ottica dilazionare in due fasi il trattamento della coronaropatia e della valvulopatia, in associazione all’utilizzo di supporto di assistenza ventricolare, ha consentito la gestione di una condizione complessa e per alcuni aspetti proibitiva. Il caso clinico affronta con dovizia di particolari tecnici questa problematica condizione clinica. •