Quali prospettive nel trattamento
del tromboembolismo venoso dopo i risultati
dello studio Hokusai-VTE Cancer?

Iris Parrini1, Irma Bisceglia2

1Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino

2Percorsi Cardiologici Integrati, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma

PREMESSA

Il tromboembolismo venoso (TEV) è una complicanza comune del cancro e della sua terapia: vari studi hanno dimostrato che nei pazienti oncologici il rischio di TEV è aumentato da 4 ad 8 volte rispetto alla popolazione generale1. Il rischio protrombotico è correlato alla patologia e all’uso di concomitanti terapie (chemioterapia, ormoni, terapia immunomodulante, farmaci antiangiogenetici), al posizionamento di cateteri venosi centrali e alla chirurgia del cancro.

Peraltro, anche il rischio emorragico è elevato in questi pazienti, per varie e complesse motivazioni legate sia al tipo di tumore che alla terapia, tra cui citiamo ad esempio l’assunzione di farmaci antiangiogenetici o che inducano trombocitopenia, l’insufficienza renale indotta da chemioterapia o da disidratazione.

Per tali motivi, la gestione della terapia anticoagulante in questi pazienti risulta particolarmente difficoltosa. Inoltre, gli episodi di TEV e le eventuali complicanze del loro trattamento possono contribuire alla mortalità e morbilità, interferire con il trattamento antineoplastico e aumentare il rischio di ospedalizzazione.

Le attuali linee guida per la terapia del TEV nei pazienti con cancro raccomandano l’impiego di eparine a basso peso molecolare (EBPM)2. Tali raccomandazioni sono conseguenti ai risultati dello studio CLOT, che ha dimostrato una riduzione significativa di recidiva di TEV a 6 mesi nei pazienti trattati con dalteparina (9%) rispetto alla terapia con antagonisti della vitamina K (17%) (hazard ratio [HR] 0.48; p=0.002)3. Altro vantaggio delle EBPM è la rapida reversibilità e quindi una più semplice gestione nel caso di procedure invasive. Le EBPM hanno inoltre limitate interazioni farmacologiche e il loro assorbimento non è influenzato dal cibo o da disturbi gastrointestinali (GI). Tuttavia, la somministrazione sottocutanea quotidiana può essere poco tollerata dai pazienti, specialmente quelli che necessitano di un trattamento a lungo termine, a volte oltre i 6 mesi. Infine il loro utilizzo è limitato o controindicato nei pazienti con severa insufficienza renale. D’altro canto nei pazienti oncologici l’uso degli antagonisti della vitamina K è complicato dallo scarso controllo terapeutico e dalla difficoltà di mantenere un adeguato international normalized ratio (INR) a causa delle interazioni con farmaci, dell’imprevedibile biodisponibilità per vomito, della malnutrizione o diarrea; inoltre, la necessità di ripetuti controlli di laboratorio ha un impatto negativo sulla qualità di vita di questi pazienti, e la gestione di eventuali procedure invasive può risultare molto complessa.

COSA CI HANNO DETTO GLI STUDI SUGLI ANTICOAGULANTI ORALI DIRETTI NEL SOTTOGRUPPO DEI PAZIENTI ONCOLOGICI?

Gli studi che hanno valutato efficacia e sicurezza degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) nel TEV pubblicati fino ad oggi sono RECOVER I e II per dabigatran4, EINSTEIN-DVT e EINSTEIN-PE per rivaroxaban5, AMPLIFY per apixaban6 e Hokusai-VTE per edoxaban7. Questi trial hanno dimostrato che i DOAC non sono inferiori alla terapia anticoagulante standard per il trattamento del TEV e hanno un profilo di sicurezza migliore. Tuttavia questi studi non sono stati disegnati sulla popolazione oncologica: i criteri di definizione di cancro attivo erano difformi, i pazienti arruolati avevano malattia meno avanzata, erano meno esposti a trattamenti antineoplastici e nella maggior parte di essi erano stati esclusi i pazienti candidabili al trattamento a lungo termine con EBPM.

Anche se le analisi dei sottogruppi per i pazienti oncologici suggeriscono un beneficio clinico con questi farmaci simile a quello osservato in pazienti non affetti da cancro, la piccola dimensione del campione non permette di trarre conclusioni definitive (Tabella 1)4-8.




Molte caratteristiche dei pazienti con cancro potrebbero determinare l’efficacia dei DOAC: alterati indici di massa corporea e cachessia; bassi valori di proteine e albumina, che possono influenzare il legame dei DOAC alle proteine; disfunzione epatica concomitante ed insufficienza renale. Inoltre l’assorbimento dei DOAC è regolato dal sistema di trasporto delle P-glicoproteine (P-gp) e il loro metabolismo può coinvolgere il citocromo P3A4, via di clearance rilevante per rivaroxaban e apixaban, minima per edoxaban e assente per dabigatran. Molti farmaci chemioterapici possono essere a loro volta substrati di questi sistemi, e possono quindi alterare efficacia e sicurezza del DOAC.

Le sottoanalisi dei trial registrativi dedicate ai pazienti oncologici hanno evidenziato un rischio simile di TEV ricorrente nei sottogruppi di pazienti con cancro attivo o storia di cancro, e un rischio di sanguinamento lievemente maggiore per dabigatran, rivaroxaban, edoxaban e apixaban rispetto allo standard terapeutico rappresentato dalla terapia con EPBM/warfarin9.

IL FARMACO EDOXABAN

Edoxaban riassume in sé numerose interessanti caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche quali: monosomministrazione giornaliera, rapido assorbimento ed insorgenza d’azione, picco di concentrazione plasmatica dopo 1-2 h, breve emivita e buona correlazione dei parametri farmacodinamici con la concentrazione ematica. Inoltre l’effetto del cibo sull’esposizione al farmaco è minimo, così come il metabolismo via citocromo P450. L’eliminazione appare ben bilanciata, con il 35% della dose somministrata eliminato per via renale.

LO STUDIO HOKUSAI-VTE CANCER

Hokusai-VTE Cancer10 è il primo trial clinico di fase III, controllato, randomizzato in aperto, finalizzato a verificare il rapporto rischio-beneficio di un DOAC (edoxaban) rispetto allo standard di cura con EBPM (dalteparina per via sottocutanea) per il trattamento del TEV in pazienti oncologici. Nello studio sono stati arruolati pazienti con diagnosi di trombosi venosa profonda (TVP) o embolia polmonare (EP) sia sintomatica che incidentale.

I pazienti sono stati randomizzati in due bracci: uno prevedeva il trattamento con EBPM per almeno 5 giorni seguita da edoxaban per via orale alla dose di 60 mg in monosomministrazione; nell’altro i pazienti erano trattati con dalteparina sottocutanea alla dose di 200 UI/kg/die per 1 mese seguita da una dose di dalteparina di 150 UI/kg/die. Il trattamento è stato somministrato per almeno 6 mesi e fino a 12 mesi dalla randomizzazione.

Lo studio ha incluso 1050 pazienti, in maggioranza con cancro attivo (98.3 vs 97.5%) ma anche pazienti con storia di cancro nei 2 anni precedenti, essendo stato dimostrato nel sottogruppo dei pazienti con cancro arruolati nello studio Hokusai-VTE che questa popolazione, anche se guarita, presenta un rischio di recidive tromboemboliche a 12 mesi analogo ai pazienti in fase attiva di malattia (5.1 vs 5.8%; p=0.7)7,11,12.

La definizione di cancro attivo comprendeva: la diagnosi posta nei 6 mesi precedenti; un cancro avanzato o metastatico; un cancro per il quale era stata iniziata una terapia nei 6 mesi precedenti la randomizzazione; neoplasie ematologiche non in completa remissione.

Nella fase di arruolamento il 53% dei pazienti presentava un cancro metastatico e il 72% era in trattamento chemioterapico nelle 4 settimane precedenti la randomizzazione. Sono stati inoltre inclusi per la prima volta in uno studio clinico randomizzato i pazienti con TEV incidentale (32% dei casi), essendo stato osservato che l’outcome di questi pazienti, in termini di recidive tromboemboliche, sanguinamenti maggiori e mortalità generale, è paragonabile a quello dei pazienti sintomatici13.

L’endpoint primario dello studio era un composito di recidive di TEV o sanguinamenti maggiori valutati durante i 12 mesi dalla randomizzazione, indipendentemente dalla durata effettiva del trattamento.

Il TEV ricorrente è stato classificato come: a) TVP sintomatica o EP sintomatica ricorrente; b) TVP prossimale degli arti inferiori o EP localizzata in rami prossimali o segmentali, rilevate incidentalmente durante test di imaging; c) EP fatale.

I sanguinamenti maggiori sono stati classificati come fatali, in aree o organi critici: retroperitoneali, intracranici, intraoculari, intraspinali, intra-articolari, pericardici, intramuscolari con sindrome compartimentale oppure sanguinamenti clinicamente evidenti associati a una diminuzione dell’emoglobina di ≥2.0 g/dl o a necessità di trasfusione di ≥2 unità di globuli rossi o di sangue intero.

In base alla presentazione clinica le emorragie maggiori sono state classificate secondo quattro gradi di severità:

• eventi con presentazione senza alcuna emergenza clinica;

• eventi con la necessità di alcune misure ma senza chiara urgenza;

• eventi con presentazione di una emergenza con instabilità emodinamica o sanguinamenti intracranici con sintomi neurologici;

• eventi fatali prima o immediatamente dopo l’ingresso in ospedale.

Lo studio ha raggiunto l’endpoint primario di non inferiorità di edoxaban vs dalteparina. Nel periodo in esame, il 12.8% dei pazienti nel gruppo edoxaban rispetto al 13.5% del gruppo dalteparina ha presentato una recidiva di TEV o un sanguinamento maggiore (HR 0.97, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.70-1.36; p=0.006 per la non inferiorità, p=0.87 per la superiorità).

Gli endpoint secondari includevano la valutazione di TEV ricorrente, i sanguinamenti maggiori, i sanguinamenti non maggiori clinicamente rilevanti, la mortalità per tutte le cause e la sopravvivenza libera da complicanze. Negli endpoint secondari è stata osservata una riduzione del 3.4% delle recidive di TEV nel braccio edoxaban vs dalteparina, a fronte di un aumento del 2.9% dei sanguinamenti maggiori (6.9 vs 4.0%; HR 1.77, IC 95% 1.03-3.04; p=0.04).

La significatività statistica raggiunta dai sanguinamenti maggiori è da mettere in relazione all’arruolamento dei pazienti con cancro del tratto GI. Questa differenza era principalmente dovuta ad un più alto sanguinamento del tratto GI superiore nel gruppo trattato con edoxaban (3.3 vs 0.6% nel gruppo trattato con dalteparina); non si sono osservate invece differenze di sanguinamenti del tratto GI inferiore (0.6% per entrambi i trattamenti).

Questi risultati sono in linea con quanto emerso dai precedenti studi con i DOAC e sono prevedibili sulla base della differente modalità di somministrazione dei due farmaci (orale vs sottocutanea). Se si considerano tutte le altre forme tumorali difatti non si registra un aumento dei sanguinamenti maggiori (4.7% nel braccio edoxaban vs 4.5% nel braccio dalteparina).

Non sono stati registrati sanguinamenti fatali nel braccio edoxaban, mentre si sono verificati 2 sanguinamenti fatali nel braccio dalteparina.

La mortalità è stata prevalentemente correlata alle patologie neoplastiche, mentre gli eventi fatali correlati al TEV o al sanguinamento sono stati 6 in ciascun braccio.

Per quanto riguarda l’outcome secondario di sopravvivenza libera da eventi a 12 mesi (la proporzione di soggetti che nel tempo non presentano recidive di TEV, sanguinamenti maggiori o morte), le curve relative ai due bracci di trattamento sono risultate del tutto sovrapponibili (Tabella 2).




COME INTERPRETARE GLI OUTCOME CLINICI?

L’Hokusai-VTE Cancer, oltre ad essere il primo, è anche lo studio più ampio tra quelli che stanno confrontando un DOAC e un’EBPM nel trattamento e nella profilassi del TEV in pazienti oncologici.

La scelta di un endpoint composito che racchiude insieme efficacia e sicurezza riflette al meglio la valutazione che ogni medico deve fare di fronte al singolo paziente e deriva dall’osservazione che i pazienti oncologici con TEV sono a maggior rischio sia di recidiva tromboembolica che di sanguinamento da anticoagulanti rispetto ai pazienti senza cancro, per cui appare più realistico considerare ugualmente questi due risultati in uno studio che valuti un nuovo trattamento anticoagulante e il tasso di mortalità che si è rilevato molto simile per entrambi gli eventi. Nei 165 pazienti con cancro attivo dello studio Hokusai-VTE, uno dei 9 casi di recidiva di TEV (11%) e uno degli 8 eventi emorragici maggiori (13%) sono stati fatali11.

Molto rilevante è stata la scelta di durata dello studio di 12 mesi che è nata dalla necessità di definire la sicurezza di un trattamento oltre i 6 mesi in pazienti con malattia in fase attiva. Gli studi finora condotti con EBPM hanno mostrato un profilo di efficacia e sicurezza nel trattamento a lungo termine. Nello studio DALTECAN il sanguinamento maggiore è stato meno frequente durante la terapia con la dalteparina oltre i 6 mesi e il rischio di sviluppare complicanze emorragiche maggiori o recidive di TEV era maggiore nel primo mese di terapia e inferiore nei successivi 11 mesi14. Analogamente nello studio TiCAT, la tinzaparina somministrata oltre i 6 mesi ha dimostrato un adeguato profilo di sicurezza15.

Nello studio Hokusai-VTE Cancer il trattamento con edoxaban o dalteparina è durato per almeno 6 mesi fino al completamento di 12 mesi. Il 58% dei pazienti ha proseguito lo studio oltre i 6 mesi e il 38% lo ha completato. La durata media del trattamento è risultata più breve nel braccio con dalteparina rispetto al braccio edoxaban: a 12 mesi i pazienti che avevano deciso di interrompere la terapia erano il 15% nel braccio dalteparina rispetto al 4% del braccio edoxaban, a conferma del fatto che l’aderenza può essere correlata con la diversa via di somministrazione.

La differente aderenza potrebbe essere responsabile della diversa efficacia osservata nei due bracci di trattamento? Questo potenziale bias è stato escluso grazie all’analisi “on-treatment” (nella quale vengono valutati gli eventi mentre i pazienti sono effettivamente in trattamento attivo), che conferma il risultato dell’analisi principale: gli episodi di TEV ricorrente sono stati inferiori nel braccio edoxaban anche nell’analisi “on-treatment”.

Dall’analisi dei risultati non stupisce che i pazienti con tumori GI siano risultati a maggior rischio di sanguinamento: si tratta di pazienti per i quali sia la pratica clinica che i trial registrativi hanno evidenziato una maggiore propensione al sanguinamento quando trattati con DOAC rispetto ad antagonisti della vitamina K o eparine, e spesso l’uso di un DOAC ha contribuito a slatentizzare e diagnosticare patologie a carico del tratto GI soprattutto superiore. Non aver escluso i pazienti con tumore GI costituisce un valore aggiunto dello studio, perché potremmo senza dubbio avere delle informazioni in più sul trattamento di questi pazienti che presentano un rischio di TEV particolarmente elevato rispetto a quelli colpiti da altri tipi di tumore.

Inoltre, degna di nota è l’assenza di sanguinamenti fatali nel braccio edoxaban (vs 2 nel braccio dalteparina) e il dimezzamento dei sanguinamenti intracranici (2 nel braccio edoxaban vs 4 nel braccio dalteparina), nonostante la coraggiosa inclusione di pazienti con neoplasie cerebrali. Peculiarità di questo studio è infatti anche quella di aver incluso pazienti ad alto rischio di sanguinamento, per i quali fino ad oggi i dati disponibili erano del tutto carenti: pazienti con tumore o metastasi cerebrali, tumori della vescica o uroteliali, trattamento con bevacizumab nelle 6 settimane precedenti l’arruolamento; pazienti sottoposti a chirurgia nelle 2 settimane precedenti l’arruolamento. Per l’utilizzo nella pratica clinica, saranno interessanti i dati relativi alle analisi di questi sottogruppi.

L’Hokusai-VTE Cancer ci offre per la prima volta evidenza di co-somministrazione di un DOAC con vari chemioterapici avendo incluso un’ampia varietà di farmaci antitumorali, che comprendono quelli maggiormente utilizzati nella cura delle diverse patologie neoplastiche. Al momento della randomizzazione il 72% dei pazienti era in trattamento chemioterapico (Tabella 3). Per alcuni farmaci forti inibitori della P-gp è stata prevista la riduzione del dosaggio a 30 mg. I trattamenti antitumorali per i quali è stato ridotto il dosaggio sono:

• farmaci ormonali: tamoxifene, enzalutamide, abiteratone;

• inibitori delle tirosin-chinasi: imatinib, nilotinib, lapatinib, sunitinib, crizotinib, vandetanib;

• agenti immunomodulanti: ciclosporina, tacrolimus, desametasone.

Una volta completato il trattamento con questi inibitori della P-gp, la dose completa di 60 mg di edoxaban veniva ripresa.

Tuttavia nella pratica clinica sono molto frequenti le associazioni di più farmaci antitumorali, e inoltre abbiamo oggi a disposizione molecole di recente commercializzazione, alcune delle quali legate ad un importante aumento del rischio trombotico. Questo trial aggiunge evidenze al già ottimo profilo di interazioni che ha da sempre caratterizzato edoxaban, ma comunque ulteriori sottoanalisi e nuovi studi potranno darci ulteriori informazioni in tema di interazioni farmacologiche, tema cruciale in tutte le decisioni terapeutiche che riguardano il paziente oncologico.




Durante lo studio, nei casi in cui si è manifestata una trombocitopenia indotta dalla terapia oncologica, la dalteparina è stata interrotta per piastrine <50 000/mm3. Per piastrine tra 50 000 e 100 000/mm3 era prevista una riduzione del dosaggio in base al peso; quando le piastrine tornavano sopra 100 000/mm3, è stata ripresa la dalteparina a dosaggio pieno. Per i pazienti trattati con edoxaban non è stata prevista una riduzione di dosaggio per valori di piastrine tra 50 000 e 100 000/mm3, mentre il farmaco era interrotto se le piastrine scendevano sotto 50 000/mm3.

Questi dati sottolineano la semplicità dell’aggiustamento posologico di edoxaban a fronte di una maggiore complessità dell’aggiustamento posologico per il peso previsto nel trattamento con dalterapina.

Alla luce dello studio Hokusai-VTE Cancer nella Figura 1 è presente una flow-chart esemplificativa per indicare il comportamento da tenersi per la scelta del farmaco utile nella profilassi secondaria del paziente con cancro e TEV.




FUTURE DIREZIONI

Al momento sono in corso altri studi che stanno esplorando l’uso dei DOAC nel paziente oncologico.

Lo studio SELECT-D appena pubblicato ha confrontato rivaroxaban con dalteparina nei pazienti oncologici con TEV sintomatico, EP sintomatica o incidentale16. Lo studio, prospettico, randomizzato, in aperto e multicentrico, ha reclutato 406 pazienti. Nel SELECT-D l’endpoint primario era la recidiva di TEV a 6 mesi. È stata anche valutata l’incidenza di sanguinamenti maggiori e di sanguinamenti non maggiori clinicamente rilevanti. Il 56% dei pazienti era in terapia antitumorale, il 58% aveva un cancro metastatico. Il tasso di recidiva di TEV a 6 mesi è stato dell’11% per i pazienti trattati con dalteparina e 4% per i pazienti trattati con rivaroxaban, mentre i sanguinamenti maggiori sono risultati simili fra i due bracci (4% nel braccio con dalteparina vs 6% nel braccio rivaroxaban). Sanguinamenti non maggiori clinicamente rilevanti si sono verificati più spesso con rivaroxaban (13 vs 4%). La maggior parte dei sanguinamenti erano gastrointestinali e genitourinari16.

Tra gli studi in corso si segnala il CARAVAGGIO17, che sta confrontando apixaban vs dalteparina in pazienti oncologici con TEV. È previsto l’arruolamento di 1168 pazienti, l’endpoint primario è il TEV e la durata prevista è di 6 mesi. Tra i criteri di inclusione, tutti i tipi di cancro ad esclusione del carcinoma basocellulare o squamoso della pelle, tumore cerebrale primitivo o metastasi intracerebrali, leucemia acuta; mentre tra i principali criteri di esclusione, l’uso di farmaci antitumorali che interferiscono con il citocromo P450 o che sono forti inibitori delle P-gp o il sanguinamento attivo. Il termine dello studio è previsto per la fine del 2018.

CONCLUSIONI

L’Hokusai-VTE Cancer è il primo trial che coinvolge una popolazione con cancro attivo, metastatico, in gran parte in corso di terapia oncologica. I risultati sono sicuramente promettenti, tali da suggerire l’uso di edoxaban come nuovo standard di cura nella maggior parte dei pazienti oncologici con TEV. Tuttavia nei pazienti con tumori GI, a rischio particolarmente elevato di sanguinamento, la terapia iniettiva con EBPM potrebbe restare generalmente preferibile. Si tratta però anche di pazienti a rischio trombotico particolarmente elevato, nei quali dunque l’aderenza terapeutica può essere cruciale, e nei quali quindi non possiamo escludere a priori un’alternativa orale alla classica terapia iniettiva. Probabilmente sarà opportuno acquisire ulteriori dati e fare comunque un’attenta valutazione del bilancio tra rischio emorragico e rischio trombotico caso per caso, nel singolo paziente.

Siamo di fronte ai risultati del primo trial che valuta l’uso di un DOAC (edoxaban) nei pazienti con cancro, trial nel quale edoxaban ha raggiunto l’obiettivo di non inferiorità rispetto allo standard di cura rappresentato dalle EBPM. È un risultato sicuramente promettente che cambia radicalmente la gestione dei pazienti oncologici, gettando le basi per l’utilizzo di una terapia orale sicura ed efficace da poter utilizzare anche in presenza di piastrinopenia18.

Ulteriori sottoanalisi e nuovi studi potranno arricchire il quadro che l’Hokusai-VTE Cancer ha avuto il merito di cominciare a dipingere, e questo trial rappresenta senza dubbio una svolta significativa per il trattamento dei pazienti oncologici con TEV, nonché il trial con le prime evidenze in assoluto di co-somministrazione di un DOAC con moltissimi farmaci antitumorali, evidenze che possono orientarci e gettare le basi per future valutazioni sull’utilizzo dei DOAC anche nei pazienti oncologici con fibrillazione atriale.

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