Position paper SICI-GISE: Miglioramento della
radioprotezione nel laboratorio di Emodinamica

Alessandro Sciahbasi1, Emanuela Piccaluga2, Maria Grazia Andreassi3, Annalisa Trianni4, Antonella Rosi5,
Alessandro Sarandrea6, Matteo Longoni7, Francesco Germinal8, Stefano Santucci9, Guglielmo Bernardi10,
Stefano Rigattieri9, Alessio La Manna11, Battistina Castiglioni12, Ugo Limbruno13, Ciro Mauro14,
Fabio Tarantino15, Giovanni Esposito16, Giuseppe Musumeci17, Giuseppe Tarantini18

1U.O.S. Emodinamica, Ospedale Sandro Pertini, Roma

2Cardiologia-Emodinamica, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

3CNR - Istituto di Fisiologia Clinica, Pisa

4Dipartimento di Fisica Medica, Università degli Studi, Udine

5Centro Nazionale delle Tecnologie Innovative per la Sanità Pubblica, Istituto Superiore di Sanità, Roma

6HSE Management, Roma

7Emodinamica e Cardiologia Interventistica, Ospedale San Raffaele, Milano

8U.O.C. Cardiologia Interventistica ed Emodinamica, Ospedale “Vito Fazzi”, Lecce

9U.O.S. Cardiologia Interventistica, Emodinamica ed Elettrostimolazione, AOU Sant’Andrea, Roma

10Associazione per la Ricerca in Cardiologia, Pordenone

11Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, AOU Policlinico “Vittorio Emanuele”, Catania

12Cardiologia, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese

13U.O.C. Cardiologia, Ospedale Misericordia, Grosseto

14U.O.C. Cardiologia, Ospedale Cardarelli, Napoli

15Emodinamica, Ospedale Morgagni Pierantoni, Forlì

16Cardiologia, Università degli Studi “Federico II”, Napoli

17U.O. Cardiologia, Ospedale Santa Croce e Carle, Cuneo

18Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche e Vascolari, Policlinico Universitario di Padova

The radiation dose received by interventional cardiologists during their activity in the catheterization laboratory is a matter of concern in terms of possible deterministic and stochastic risk. At the same time, very often, the knowledge of the effect and consequences of radiation exposure in the interventional cardiology community is limited. This document endorsed by the Italian Society of Interventional Cardiology (SICI-GISE) provides recommendations for cardiologists’ radiation protection. Radiation safety considerations dedicated to women and other staff personnel working in the catheterization laboratory are also discussed.

Key words. Catheterization laboratory; Coronary angiography; Percutaneous coronary intervention; Radiation.

INTRODUZIONE

Negli ultimi anni si è osservata una progressiva evoluzione delle procedure interventistiche cardiologiche che ha consentito di incrementare la complessità procedurale degli interventi percutanei coronarici (trattamento delle occlusioni coronariche croniche, lesioni calcifiche, lesioni del tronco comune, malattie multivasali) ma anche di ampliare lo spettro di patologie che possono essere trattate (valvulopatie, difetti cardiaci congeniti, patologie vascolari). Questo aumento di complessità si riflette in un incremento dell’esposizione radiogena dei pazienti e degli operatori, tanto che si ritiene che le procedure di cardiologia interventistica effettuate sotto guida fluoroscopica contribuiscano per circa il 40% alla dose radiante da attività mediche alla popolazione statunitense (esclusa la radioterapia)1.

L’incremento di esposizione radiogena invariabilmente si associa ad un aumento del rischio di danni radio-indotti per la salute sia degli operatori che dei pazienti. Tuttavia, una gran parte dei cardiologi e più in generale del personale radioesposto in sala di Emodinamica hanno una limitata conoscenza degli effetti delle radiazioni sull’uomo così come della radioprotezione e dell’entità dell’esposizione radiogena associata alle singole procedure sottostimando i rischi correlati2. La radioprotezione deve, differentemente, essere un obbligo ogni volta che le radiazioni ionizzanti vengono utilizzate in campo medico, in particolare per le procedure interventistiche cardiologiche che, in genere, sono associate ad una maggiore dose radiogena rispetto alle altre procedure interventistiche mediche3.

La radioprotezione in ambito medico richiede sia l’appropriata educazione degli operatori che la disponibilità di adeguati dispositivi ed attrezzature volte alla protezione dalle radiazioni. Le misure di radioprotezione, poi, sono necessarie per tutto il personale che lavora nei laboratori di Emodinamica e quindi non solo per i cardiologi interventisti ma anche per i tecnici di radiologia, gli infermieri, gli anestesisti e gli ecocardiografisti. Tutte queste figure professionali, oltre a un costante monitoraggio della dose di esposizione e all’uso di adeguate misure di protezione individuale, dovrebbero ricevere un’appropriata educazione e formazione sui rischi correlati alla radioesposizione e sulle azioni per ridurli. Purtroppo in molti paesi, Italia compresa, la formazione in materia di radioprotezione non fa parte del normale training di formazione del cardiologo interventista e del restante personale di sala.

Lo scopo del presente documento è quello di diffondere negli operatori che utilizzano radiazioni ionizzanti in ambito cardiologico la conoscenza dei rischi correlati all’utilizzo dei raggi X e di fornire agli stessi operatori delle indicazioni su come ridurre la propria esposizione radiogena così come quella dei pazienti.

Il documento è stato redatto da un panel multidisciplinare che ha coinvolto cardiologi interventisti, genetisti, fisici sanitari, ingegneri, esperti qualificati, infermieri e tecnici di radiologia in modo da coprire tutti gli aspetti della radioprotezione in sala di emodinamica. Non trattandosi di una linea guida non saranno espresse classi di raccomandazioni o livelli di evidenza. Tuttavia, per la stesura del documento i membri del panel si sono basati su una revisione della letteratura disponibile sull’argomento, cercando di motivare il razionale che ha portato alla definizione di una determinata indicazione.

EFFETTI BIOLOGICI DELLE RADIAZIONI SU PAZIENTI ED OPERATORI

Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti derivano dal trasferimento della loro energia alle macromolecole costituenti le cellule, in particolare alla molecola del DNA, che rappresenta il principale bersaglio danneggiato dall’irradiazione4. A livello cellulare, le radiazioni ionizzanti possono interagire con la molecola di DNA sia direttamente che indirettamente (Figura 1). L’azione diretta provoca la rottura dei legami chimici della molecola del DNA causando la ionizzazione o l’eccitazione degli atomi; differentemente l’azione indiretta, che rappresenta la principale responsabile del danno biologico, è legata alla ionizzazione delle molecole d’acqua, che determina una produzione di radicali liberi in grado di diffondere attraverso la cellula, raggiungere e danneggiare il DNA. I danni indotti possono essere di vario tipo, come l’ossidazione delle basi azotate oppure le rotture a singolo e a doppio filamento: grazie ai meccanismi di riparazione del DNA, le cellule sono in grado di riparare questi danni indotti e di ripristinare la struttura del DNA danneggiato. La cellula, tuttavia, può tollerare il danno fino ad un valore soglia oltre il quale il sistema della riparazione del DNA è inadeguato rispetto al numero di lesioni radio-indotte.

A livello di organismo, gli effetti clinici provocati dalle radiazioni ionizzanti vengono raggruppati in due categorie: danni deterministici e danni stocastici.




Effetti deterministici

Gli effetti deterministici sono danni immediati o precoci che compaiono al superamento di una dose soglia, caratteristica di ogni effetto e strettamente connessa alla sensibilità dell’organo o dei tessuti irradiati. Il periodo di latenza è solitamente breve, da qualche giorno a qualche settimana, e la gravità della manifestazione clinica aumenta all’aumentare della dose di irradiazione. Esempi di effetti deterministici includono radiodermite, eritemi cutanei, necrosi della pelle, perdita di capelli, opacità del cristallino e cataratta5 e possono insorgere in pazienti sottoposti a lunghe e complesse procedure con prolungata fluoroscopia5-7. In Tabella 1 sono riportati alcuni esempi di danni deterministici cutanei con le rispettive soglie di dose, i tempi di fluoroscopia e quelli di insorgenza del danno. Bisogna anche considerare che vi sono dei pazienti a più alto rischio di lesioni deterministiche cutanee come i pazienti che si presentano con cute danneggiata, gli obesi che presentano numerose pieghe cutanee sovrapposte, i pazienti affetti da ipertiroidismo, patologie autoimmuni, disordini del tessuto connettivo, i pazienti con pelle e capelli particolarmente chiari e non da ultimo individui con polimorfismi genici particolari come ad esempio i pazienti con atassia-teleangectasia. Questi pazienti presentano un rischio variabilmente superiore rispetto alla popolazione generale e meritano quindi follow-up mirati.




Nei pazienti i danni cutanei sono localizzati principalmente sulla lesione dorso-lombare e, poiché i sintomi si sviluppano alcune settimane dopo la procedura, la loro associazione con l’esposizione potrebbe non essere presa in considerazione. Pertanto, è opportuno seguire nel tempo i pazienti che hanno ricevuto una dose elevata alla cute (es. >3 Gy di kerma in aria), in modo da esaminare la zona nelle 2-3 settimane successive alla procedura e segnalare le eventuali lesioni, indicando le cause che verosimilmente hanno provocato il danno cutaneo5-7. Nei pazienti particolarmente suscettibili o in quelli sottoposti a procedure ad elevata radioesposizione una corretta comunicazione al paziente sui rischi di danni cutanei può essere di ausilio favorendo l’autodiagnosi da parte del paziente ed un precoce riconoscimento delle stesse lesioni.

Anche l’operatore di cardiologia interventistica può manifestare l’insorgenza di effetti deterministici, quali radiodermiti croniche e opacità del cristallino/cataratta. In particolare, diversi studi hanno riportato una maggiore frequenza di opacità del cristallino e di cataratte precoci negli operatori soprattutto come opacità sottocapsulari posteriori8,9 con una soglia di dose pari a 2 Gy. Negli ultimi anni, numerosi studi epidemiologici e sperimentali hanno fornito indicazioni sulla formazione di cataratta anche per esposizioni a basse dosi di radiazioni, tanto da far supporre ad alcuni una stocasticità dell’effetto. Sulla base di tali evidenze, l’International Commission on Radiological Protection (ICRP) ha fissato nuovi valori di riferimento, intesi come valori soglia, a cui tutti gli operatori dovrebbero attenersi nella loro pratica quotidiana. I valori soglia perciò riferibili per gli operatori sono stati ridotti a 20 mSv/anno o a 0.5 Gy, indipendentemente dalla modalità di esposizione (frazionata o in un’unica dose). Non solo il cristallino ma anche altri organi sono stati oggetto di una revisione da parte dell’ICRP e la loro valutazione è stata inserita nella nuova normativa Euroatom 2013/5910 (Tabella 2).




Effetti stocastici

Gli effetti stocastici o probabilistici si manifestano a distanza di anni e la caratteristica principale di questi è di non avere una dose soglia per la loro comparsa, ma qualunque dose di radiazione è considerata potenzialmente dannosa. La probabilità che ha un effetto stocastico di manifestarsi è direttamente proporzionale alla dose di radiazione mentre la gravità della manifestazione è dose-indipendente. Gli effetti stocastici derivano da eventi mutazionali del DNA, che possono aumentare in modo significativo la probabilità di sviluppare cancro radio-indotto e/o effetti ereditari. I bambini risultano essere più sensibili al danno da radiazione rispetto agli adulti perché hanno cellule in rapida divisione e hanno un’aspettativa di vita maggiore al momento dell’esposizione11,12. È per questo che per una stessa esposizione radiologica, il bambino di 1 anno ha una probabilità 3-4 volte maggiore rispetto all’adulto di 50 anni di sviluppare un cancro11,12. Recentemente, uno studio epidemiologico canadese ha riportato un aumento significativo del rischio di cancro in 24 833 pazienti adulti affetti da cardiopatia congenita in relazione alla dose ricevuta e al numero di procedure cardiache con radiazioni ionizzanti effettuate in età pediatrica13.

In genere i vari organi hanno una differente sensibilità agli effetti delle radiazioni espressa da un fattore di ponderazione specifico per ogni organo come indicato in Tabella 3.




Il rischio di cancro da radiazioni ionizzanti può essere rilevante non solo per i pazienti ma anche per il cardiologo interventista, le cui dosi cumulative di esposizione professionale si collocano nel range di 100-200 mSv nell’ambito della vita lavorativa, sulla base di misure dirette effettuate con dosimetri a termoluminescenza indossati sotto il camice protettivo di piombo14-16. Inoltre, la parte sinistra del corpo è più esposta del lato destro a causa della particolare disposizione del laboratorio di Emodinamica in cui il primo operatore usualmente opera alla destra del paziente e la radiazione diffusa deriva prevalentemente dal tubo radiogeno alla sua sinistra14,15. Recentemente, l’osservazione riportata in letteratura di un elevato numero di tumori cerebrali a lateralizzazione sinistra nei cardiologi interventisti rappresenta un segnale allarmante, che indica una possibile relazione con l’esposizione professionale17. Tuttavia, la natura aneddotica di questi risultati non permette di stabilire un nesso causale tra l’esposizione occupazionale e l’insorgenza di tumori cerebrali e richiede la necessità di progettare appropriati studi epidemiologici.

Gli studi biologici supportano le evidenze di rischio clinico a lungo termine, dimostrando che anche modeste dosi di esposizione a radiazioni ionizzanti possono indurre danno cromosomico al DNA in linfociti circolanti11,12. In particolare, un cateterismo cardiaco in età pediatrica può indurre, sia in acuto che a lungo termine, un incremento di danno cromosomico al DNA in linfociti circolanti, che rappresenta un endpoint intermedio di cancro18-20. Anche in cardiologi interventisti, è stato osservato un aumento di danno al DNA e cromosomico in linfociti circolanti rispetto a medici non esposti21,22, seppure con significative variazioni interindividuali correlate alla presenza di specifici polimorfismi genetici nei processi di riparazione del DNA23.

Negli ultimi anni crescenti evidenze scientifiche hanno anche dimostrato un aumentato rischio di effetti clinici diversi dal tumore associato con l’esposizione a basse dosi di radiazioni ionizzanti24, in particolare un precoce danno vascolare e disturbi neurocognitivi negli operatori di cardiologia interventistica23-28.

Ulteriori ricerche sono in corso per approfondire la comprensione dei potenziali rischi clinici derivanti dall’esposizione a radiazioni ionizzanti nella cardiologia interventistica. Tale conoscenza è fondamentale per accrescere la consapevolezza dei rischi e la cultura della sicurezza tra gli operatori nonché per elaborare nuovi modelli di prevenzione e sorveglianza clinica a livello individuale.

GRANDEZZE DOSIMETRICHE, LIVELLI DI DOSE AL PAZIENTE E LIVELLI DIAGNOSTICI DI RIFERIMENTO

La dose al paziente non può essere direttamente misurata, se non la dose alla cute in alcuni gruppi di pazienti, ma può essere stimata sulla base di alcuni indicatori dosimetrici. Tali indicatori dosimetrici dovrebbero rendere conto della dose alla cute del paziente (legata agli effetti deterministici) o dell’energia totale rilasciata (legata agli effetti stocastici).

Gli indicatori dosimetrici utilizzati sono sostanzialmente due:

• Kerma in aria di riferimento (KA): al fine di fornire all’operatore una grandezza operativa che renda conto della dose ricevuta dal paziente in cute, è stato introdotto il concetto di kerma in aria di riferimento. Si tratta della dose da radiazione accumulata durante l’intera procedura in un punto (punto di riferimento interventistico) solidale con la sorgente e rappresentativo della cute del paziente (15 cm dall’isocentro verso la sorgente)29. Appare chiaro come, nel caso le proiezioni utilizzate siano poche, il KA di rifermento sia rappresentativo della dose alla cute del paziente, mentre nel caso vengano utilizzate molte proiezioni ad angoli diversi, KA tenda a sovrastimare la dose alla cute.

• Prodotto kerma in aria per area (KAP o DAP): rappresenta l’integrale della dose nella superficie irradiata ed è quindi legato all’energia totale rilasciata. Il KAP può essere misurato tramite una camera a trasmissione posizionata dopo i collimatori o calcolato dal sistema, viene espressa in Gy*cm2 e rappresenta una valida stima del rischio stocastico del paziente30. Per quanto sia una grandezza di indubbia utilità, il KAP spesso non è correlato alla dose alla cute (lo stesso valore di KAP si può infatti ottenere dal prodotto di dosi molto elevate e dimensioni di campo piccole o, contrariamente, da intensità di radiazioni modeste in campi di ampie dimensioni).

Gli indicatori dosimetrici sopra citati hanno il vantaggio di essere disponibili nelle sale di cardiologia interventistica durante la procedura e di venire aggiornati in tempo reale. Pertanto, possono essere utilizzati dagli operatori come guida per identificare procedure ad alta dose ed, eventualmente, applicare strategie di riduzione. Questi indicatori sono inoltre utilizzati per stabilire i livelli diagnostici di riferimento (LDR) che identificano dei livelli dosimetrici utili nell’ottimizzazione della protezione nelle esposizioni mediche. Inizialmente introdotti per le procedure radiologiche, con la direttiva europea 2013/59/Euratom è stata indicata la necessità di stabilire dei LDR per le procedure interventistiche cardiologiche10. Nella Tabella 4 sono riportati alcuni LDR pubblicati per le procedure di cardiologia interventistica31.

Per quanto riguarda la dose agli operatori, la grandezza utilizzata per la stima di dose all’operatore è la dose efficace. La dose efficace non è una grandezza misurabile, ma viene stimata attraverso la misura di una grandezza operativa denominata equivalente di dose personale Hp10, che rappresenta la dose ai tessuti molli alla profondità di 1 cm. L’equivalente di dose viene misurata grazie ai dosimetri di sorveglianza fisica indossati dagli operatori, secondo le indicazioni fornite dall’esperto qualificato, ossia dalla figura delegata alla sicurezza.




FATTORI DETERMINANTI LA DOSE NELLE PROCEDURE DI CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA

La dose radiante agli operatori in cardiologia interventistica è intrinsecamente legata alla dose al paziente e la conoscenza dei fattori determinanti la dose procedurale pertanto assume una notevole importanza per la radioprotezione del personale di sala al fine di aderire al meglio al principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable) di minimizzazione dell’esposizione radiogena e per poter ottimizzare al meglio il grado di protezione.

Numerosi sono i determinanti della dose procedurale durante procedure coronariche e questi possono essere suddivisi in fattori legati al paziente, al tipo di angiografo o al tipo di procedura.

Fattori legati al paziente

Il principale fattore è rappresentato dal peso dei pazienti: maggiore è lo spessore da attraversare e maggiore sarà l’attenuazione della radiazione (e minore la quantità di radiazione che raggiunge il rivelatore). Pertanto maggiore è lo spessore del paziente e più alta sarà la dose in ingresso necessaria a garantire una qualità di immagine adeguata in quanto la radiazione richiesta per una penetrazione sufficiente aumenterà in maniera esponenziale30. È stato infatti documentato un significativo aumento di dose con il progressivo aumento del peso dei pazienti32,33. Purtroppo questo non è un fattore modificabile ma rappresenta un “alert” per l’operatore ai fini della dose soprattutto se si associa ad altri fattori procedurali. Tra i fattori legati al paziente annoveriamo anche il sesso: le donne in genere presentano un’esposizione inferiore rispetto ai maschi (indipendentemente dall’indice di massa corporea)34.

Fattori legati all’angiografo

Un elemento importante da considerare è il tipo di angiografo impiegato: in genere un angiografo ottimizzato per un tipo di procedura risulta subottimale per un altro tipo di intervento. È stato infatti dimostrato che la dose a pazienti ed operatori risulta essere significativamente più bassa con angiografi dedicati alle procedure coronariche rispetto ad angiografi non dedicati35. Per gli angiografi bisogna considerare anche la quota di “leakage radiation” (radiazione di fuga) che contribuisce, soprattutto negli angiografi più datati, alla radioesposizione sia del paziente che dell’operatore.

Fattori legati al tipo di procedura

Tra i predittori indipendenti di aumento di dose vi sono il tipo di proiezioni angiografiche: in genere le proiezioni sinistre si associano ad una maggiore dose delle destre e le caudali si associano ad una dose più elevata rispetto alle craniali nei pazienti ma con un effetto opposto (maggiore dose nelle craniali rispetto alle caudali) negli operatori per la diversa vicinanza del tubo radiogeno all’operatore32,33,35. Altro fattore procedurale estremamente importante è l’angolazione del tubo radiogeno: anche piccoli aumenti di angolazione del tubo si associano a significativi aumenti di dose32. Durante gli esami diagnostici un aumento di dose è stato correlato allo studio di bypass aortocoronarici oppure alla presenza di una vasculopatia periferica34. Per quanto riguarda invece il tipo di angioplastica effettuata, è stato documentato un significativo incremento di dose in caso di lesioni complesse (incremento relativo di 1.2)34, ma soprattutto in caso di trattamento di biforcazioni o di occlusioni coronariche croniche36,37. In genere la complessità delle procedure rappresenta un marker di incremento di dose come evidenziato in differenti studi in cui vari modelli matematici hanno dimostrato come la complessità della procedura si correli meglio alla dose rispetto alle caratteristiche anatomiche del paziente (es. peso corporeo)38,39. Caratterizzare la complessità delle procedure rappresenta inoltre un mezzo per poter confrontare l’attività di differenti centri e stabilire dei LDR per le varie procedure.

Un elemento procedurale che si è associato ad un significativo incremento di dose per pazienti ed operatori è stato l’accesso vascolare con un incremento di esposizione per l’accesso radiale rispetto al femorale. Recentemente, lo studio RAD-MATRIX40 condotto su oltre 7000 pazienti ha evidenziato un significativo aumento di dose per i pazienti con l’accesso radiale ed, in un sottogruppo di operatori esperti, dotati di dosimetri dedicati, ha mostrato un significativo incremento di dose per gli operatori41. Trasformando l’incremento di dose in termini di rischio per pazienti e operatori bisogna osservare che, nello studio, per i pazienti, il modesto incremento di rischio (1 possibile caso di cancro per oltre 35 000 procedure eseguite) era abbondantemente controbilanciato dal beneficio in termini di mortalità (1 morte evitata ogni 166 procedure effettuate con acceso radiale rispetto al femorale). Per gli operatori, l’incremento di dose, benché modesto, implica per gli stessi la necessità di ottimizzare al meglio le misure di radioprotezione.

La ragione dell’incremento di dose con l’accesso radiale rispetto al femorale è molteplice e legato principalmente ad un lieve incremento dei tempi di fluoroscopia, alla posizione dell’operatore (più vicina al tubo radiogeno) ed alla maggiore necessità di manovrare e fissare i cateteri durante la procedura. È stato dimostrato come lo svantaggio in termini di esposizione radiogena dell’accesso radiale rispetto al femorale, per l’operatore possa comunque essere facilmente eliminato utilizzando telini dedicati anti-rx poggiati sulla pelvi del paziente42. Con l’ausilio di questi telini la dose all’operatore risulta persino inferiore rispetto a quella ricevuta con un normale accesso femorale35.

Un ultimo aspetto legato all’accesso radiale è il lato dell’accesso vascolare (destro vs sinistro). È comune percezione degli operatori che con l’accesso sinistro la dose per operatori e pazienti sia superiore rispetto all’accesso radiale destro43. Tuttavia ampi studi clinici44-47 e differenti metanalisi48,49 hanno dimostrato come l’accesso sinistro sia vantaggioso in termini di esposizione radiogena e vi è un solo studio randomizzato che ha osservato il contrario50. Nel complesso l’argomento appare ancora controverso ma dall’analisi degli studi non emerge un rischio per l’operatore legato all’uso dell’accesso radiale sinistro.




AZIONI VOLTE ALLA RIDUZIONE DELLA DOSE

Come già sottolineato nei paragrafi precedenti, durante le procedure diagnostiche o interventistiche effettuate in sala di Emodinamica, la principale sorgente di radiazione per il paziente è quella diretta proveniente dal tubo radiogeno, mentre per l’operatore e lo staff l’esposizione è sostanzialmente legata alla radiazione diffusa proveniente dal paziente. Tutte le azioni volte al controllo della dose erogata al paziente si rifletteranno quindi in una proporzionale riduzione di dose per gli operatori e per il restante personale di sala. Gli operatori devono essere quindi sensibilizzati al controllo della dose erogata, realizzando in questo modo la strategia che gli autori anglosassoni definiscono con il termine “win-win” (sia l’operatore che il paziente ne hanno giovamento)51. In genere l’applicazione di misure volte alla riduzione della dose è facile, tanto che molte di queste azioni sono semplici “accortezze procedurali” che però hanno un significativo impatto in termini di riduzione della dose e, in alcuni casi, anche di miglioramento della qualità dell’immagine. In questo contesto i principali comportamenti procedurali da applicare per ridurre l’esposizione sono:

a. Limitare il numero delle acquisizioni in fluorografia. La fluorografia rispetto alla fluoroscopia si associa ad un significativo miglioramento della qualità delle immagini, ma ciò va a scapito di un significativo incremento di dose. In genere l’utilizzo della fluorografia si associa ad una dose radiogena circa 10 volte superiore rispetto alla semplice fluoroscopia30. Pertanto, è opportuno limitare il numero delle acquisizioni in fluorografia in virtù della possibilità di acquisire le immagini di fluoroscopia (fluoro storing) in particolare per documentare porzioni non fondamentali della procedura (es. il gonfiaggio del pallone o l’impianto dello stent)52.

b. Limitare l’uso degli ingrandimenti. I moderni angiografi sono dotati di sistemi elettronici di ingrandimento dell’immagine (zoom). L’utilizzo di questi ingrandimenti (in genere 3 ma in alcuni angiografi anche 5) aumenta la richiesta di dose da parte dell’apparecchio, aumentando così la dose a pazienti ed operatori53. In genere l’aumento di dose è esponenziale con l’aumento di ingrandimento e come regola generale l’aumento di dose è pari al quadrato del rapporto fra i diametri del campo di ingrandimento54. Così se da un campo 20 passo ad un campo 10 l’incremento di dose è di 4 volte: (20/10)2. Di conseguenza gli ingrandimenti maggiori dovrebbero essere limitati ai casi strettamente necessari.

c. Evitare proiezioni troppo angolate. L’aumento dell’angolazione del tubo radiogeno incrementa la dose erogata, in quanto aumenta la quantità di tessuto irradiata. Sono stati documentati significativi incrementi di dose, già per piccoli incrementi nell’angolazione del tubo radiogeno32: piccole riduzioni dell’angolazione del tubo possono avere un impatto estremamente positivo in termini di contenimento della dose. In genere, tuttavia, gli operatori prestano poca attenzione al grado di angolazione del tubo durante l’esecuzione delle procedure e con un attento controllo delle angolazioni del tubo è possibile ridurre la dose fino a un terzo32. Inoltre per evitare di concentrare su di una stessa area cutanea una dose elevata è importante cercare di non mantenere la stessa proiezione per tutta la durata della procedura.

d. Ridurre il numero del “frame rate”. Nella generazione delle immagini angiografiche, l’erogazione di raggi X non è continua ma “pulsata”. In pratica diversi impulsi di raggi X della durata di millisecondi (che generano fotogrammi) vengono utilizzati per produrre delle immagini continue dopo che sono state processate elettronicamente dall’angiografo. Il numero di fotogrammi al secondo (frame rate) che può essere utilizzato varia da pochi frame/s fino a 30 frame. Tanto maggiore è il numero dei frame, tanto maggiore è la risoluzione temporale, in particolare per le strutture in movimento, ma ciò si paga in termini di maggiore esposizione ai raggi X. Nella maggior parte dei laboratori di cardiologia interventistica il frame rate della fluoroscopia è settato su 15 frame/s. La riduzione del numero dei frame a 7.5 si associa ad una significativa riduzione della dose, pur mantenendo pressoché inalterata la qualità dell’immagine. In particolare in uno studio randomizzato condotto su 363 procedure diagnostiche o interventistiche coronariche, l’utilizzo di 7.5 frame/s rispetto ai 15 frame/s si associava ad una riduzione del 19% della dose al paziente (espressa in termini di DAP) e del 30% della dose all’operatore55.

e. Utilizzare i collimatori. La collimazione del fascio radiogeno riduce l’esposizione del paziente limitando l’irradiazione alla zona di interesse e riducendo così il volume di tessuto che viene irradiato30. Riducendo la zona di irraggiamento si riduce anche la radiazione diffusa, con conseguente riduzione della dose all’operatore. Molti angiografi sono dotati di collimatori virtuali e diaframmi semitrasparenti che possono essere posizionati senza erogare raggi. In questo modo i collimatori possono essere posizionati nella zona desiderata senza effettuare fluoroscopia e limitando così la dose radiogena.

f. Allontanarsi dal tubo radiogeno. La dose radiogena si distribuisce in maniera inversa con il quadrato della distanza dalla sorgente: ad esempio lavorando ad 80 cm dall’isocentro invece che a 40 cm, si può ridurre la radiazione diffusa a circa un quarto della dose originale56. Bisogna inoltre ricordarsi che nelle proiezioni angolate la massima radiazione diffusa proveniente dal paziente si trova dal lato del raggio incidente la radiazione (quindi nelle proiezioni sinistre si trova nel lato destro) e proprio in questo caso l’allontanamento dal paziente fornisce un significativo vantaggio.

g. Posizionare correttamente il rivelatore e regolare l’altezza del tavolo angiografico. La posizione del rivelatore e del tavolo angiografico hanno una significativa influenza sulla dose radiogena ricevuta dal paziente e dall’operatore. Il rivelatore deve essere posizionato più vicino possibile al paziente in quanto l’allontanamento dello stesso può portare ad un incremento di dose fino a 4 volte30 aumentando parallelamente la radiazione diffusa. Al contrario l’altezza del tavolo angiografico è inversamente correlata con la dose: più alto il tavolo (più distante dalla sorgente radiogena), minore la dose52.

h. Utilizzare protocolli angiografici dedicati di riduzione della dose. I moderni angiografi sono dotati di differenti protocolli di dose finalizzati a ridurre la radiazione erogata57. In particolare i protocolli “low dose” rappresentano un buon compromesso fra la dose erogata e la qualità delle immagini per lo meno in fluoroscopia e dovrebbero essere impiegati per gli esami routinari limitando la dose “normale” per le acquisizioni in fluorografia.

i. Utilizzare sistemi di monitoraggio della dose. L’utilizzo di sistemi di monitoraggio della dose favorisce l’ottimizzazione procedurale in cardiologia interventistica. Il monitoraggio periodico delle esposizioni dei pazienti per le diverse procedure fornisce quelle informazioni che, confrontate con pertinenti riferimenti (LDR nazionali o raccomandazioni di associazioni scientifiche), consentono di individuare modifiche tecniche e/o procedurali per un’ulteriore ottimizzazione delle esposizioni. Inoltre il monitoraggio costante consente di confrontare periodicamente l’attività degli operatori dello stesso centro per le stesse procedure e di mettere in atto delle misure correttive per ridurre la dose procedurale ed allineare tutti gli operatori alla “best practice”. In questo ambito il tecnico sanitario di radiologia medica (TSRM) rappresenta la figura strategica per la gestione dei sistemi di monitoraggio e di ottimizzazione della dose.

j. Corretto comportamento al tavolo. Alcuni accorgimenti al tavolo da parte degli operatori durante le procedure possono contribuire a ridurre l’esposizione di pazienti ed operatori quali l’utilizzo dei raggi solo quando l’operatore sta effettivamente vedendo il monitor oppure evitare di posizionare le mani direttamente sotto il fascio radiogeno oppure evitare (se non strettamente necessario) di erogare raggi mentre il personale infermieristico somministra farmaci in prossimità del paziente.




AUSILI DI RADIOPROTEZIONE PER GLI OPERATORI

Oltre alle misure procedurali mirate a ridurre la dose dei pazienti (e indirettamente degli operatori), i cardiologi interventisti devono utilizzare tutta una serie di schermi dedicati in grado di ridurre significativamente la radiazione diffusa proveniente dal paziente. In linea generale la schermatura per gli operatori può essere suddivisa in schermi strutturali (della sala di Emodinamica), protezioni individuali (camici anti-rx, occhiali, ecc.) e schermi aggiuntivi da posizionare sul paziente.

Schermi strutturali

Gli schermi strutturali sono rappresentati essenzialmente dal vetro anti-rx sospeso al soffitto e da una paratia anti-rx posizionata sotto il tavolo angiografico tra il tubo radiogeno e l’operatore. Entrambe queste paratie sono presenti come dotazioni standard in tutte le sale angiografiche e risultano molto efficaci nel ridurre la dose agli operatori. In particolare, la paratia sotto il tavolo è in grado di ridurre la dose agli arti inferiori ed alle gonadi58 mentre il vetro anti-rx è particolarmente efficace per la dose al corpo, alla testa e agli occhi dove si possono raggiungere riduzioni di dose fino all’80-90% rispetto al mancato utilizzo59,60. È fondamentale il corretto posizionamento della paratia superiore che dovrebbe essere posta verso l’operatore coprendo contestualmente la maggior parte possibile di paziente (più medialmente possibile). Un alterato posizionamento può causare una inadeguata protezione ed un falso senso di rassicurazione. È stato infatti documentato come differenze nel posizionamento della paratia superiore si associno a significative differenze nell’esposizione radiogena degli operatori61. Un corretto posizionamento si ha quando l’operatore riesce ad osservare il paziente solo attraverso lo schermo superiore, in quanto in questo modo è garantita la schermatura di tutta la testa53.

Anche in caso di corretto posizionamento della paratia mobile di vetro anti-rx e della paratia sotto il tavolo, è presente comunque una piccola zona di continuità con il paziente (in quanto le paratie difficilmente possono essere applicate una a contatto dell’altra) che si riflette in un’incompleta protezione a livello del fianco e della pelvi dell’operatore. Recentemente, tuttavia, in uno studio randomizzato condotto su 205 procedure, l’aggiunta di una ulteriore piccola paratia anti-rx sotto il tavolo angiografico (SCUT: small curtain under table) è stata associata ad una significativa riduzione della dose alla pelvi ed anche al torace degli operatori62.

Da alcuni anni sono anche disponibili dei sistemi strutturali di protezione integrata degli operatori che consentono una protezione pressoché globale. I più noti sono il sistema Zero Gravity (CFI Medical, Fenton, MO, USA), il sistema Trinity Radiation Protection System (ECLS, Salt Lake City, UT, USA) ed il sistema Eggnest (Egg Medical, Maple Grove, MN, USA). Il sistema Zero Gravity è rappresentato da una protezione globale per l’operatore sotto forma di camice piombato e vetro schermato che si estendono dalla testa fino ai piedi dell’operatore senza essere indossati ma mobili e sospesi su binari fissati al soffitto della sala di Emodinamica. In questo modo l’operatore oltre ad essere schermato dalle radiazioni non accusa il peso dei camici e delle protezioni. L’efficacia del sistema è stata testata63 ma lo svantaggio è rappresentato dagli alti costi, dalla non completa libertà di movimento dell’operatore e da un vantaggio confinato al primo operatore (escludendo il restante personale di sala). Il sistema Trinity è costituito da molteplici teli anti-rx combinati con schermi a soffitto e al tavolo che isolano completamente l’operatore (che può eseguire la procedura senza camici piombati) con un abbattimento della dose all’operatore prossima allo zero64. Infine, il sistema Eggnest combina protezioni strutturali del letto angiografico (dotato di molteplici paratie aggiuntive) con una capsula flessibile anti-rx che avvolge direttamente il tubo angiografico riducendo al minimo la radiazione diffusa dal paziente e la radiazione di fuga dal tubo radiogeno. Il sistema seppur promettente non presenta attualmente degli studi clinici che ne documentino l’efficacia durante le procedure.

Dispositivi di protezione individuale

Le dotazioni individuali standard anti-rx sono rappresentate dai camici anti-rx, dai collari anti-rx per la tiroide e dagli occhiali anti-rx che devono essere indossate dagli operatori durante l’erogazione dei raggi. Queste dotazioni devono tenere conto del fatto che in cardiologia interventistica sia l’energia dei raggi X sia la distanza dalla sorgente sono molto variabili. L’energia è compresa tra 80 Kv e 120-130 Kv mentre la distanza può variare da alcuni metri a pochi centimetri. In questo ambito la protezione fornita dai camici deve essere di almeno 0.5 mm di piombo equivalente nella porzione anteriore. Bisogna ricordarsi che i dispositivi di protezione individuale non offrono una protezione totale ma assorbono la radiazione diffusa in misura percentuale: a 120 Kv l’assorbimento passa dall’89% per spessore di 0.25 mm di piombo equivalente al 97% con spessore di 0.5 mm di piombo equivalente65. È inoltre bene sapere che i camici anti-rx sono radiotrasparenti alla radiazione diretta ed il loro potere di assorbire la radiazione oltre che in funzione dello spessore dipende dell’energia incidente e della distanza dalla sorgente. Sempre per i camici anti-rx è importante il taglio sartoriale: scegliere modelli che lasciano poca superficie corporea scoperta minimizzando il peso per l’operatore è di estrema importanza. La protezione ottimale si ottiene con dispositivi che hanno spessore uniforme su un solo lembo ma per ridurre il peso, si differenzia tra spessore equivalente anteriore e posteriore, con il risultato che posteriormente si ha una protezione di grado inferiore (in genere 0.25 mm di piombo equivalente). Questo è un aspetto da tenere presente soprattutto perché influenza il comportamento del personale di sala che dovrà porre attenzione a non volgere le spalle alla sorgente radiante. È infine di estrema importanza la corretta conservazione dei camici dopo l’uso evitando così un precoce deterioramento. In particolare i camici dovrebbero essere appesi in grucce dedicate, non dovrebbero essere piegati, arrotolati o accartocciati evitando assolutamente di sedersi sopra per non causare danni al materiale piombo-equivalente che ne pregiudichino l’efficacia51. Inoltre i camici dovrebbero essere ispezionati annualmente sotto fluoroscopia per evidenziare eventuali deterioramenti o difetti nel materiale protettivo66. Per quanto riguarda gli occhiali anti-rx, la protezione degli stessi si deve adattare al comfort per l’operatore e si deve considerare quindi il peso della montatura e delle lenti. Bisogna inoltre far osservare come il tipo di montatura degli stessi assuma una significativa importanza in termini di protezione degli occhi. Infatti le montature dotate di una protezione anti-rx sui lati offrono una protezione significativamente maggiore degli occhiali senza schermatura laterale67 perché parte della radiazione agli occhi arriva all’operatore tangenzialmente piuttosto che frontalmente. In genere gli occhiali dotati di protezione laterale riducono la dose di un fattore compreso fra 5 e 10, mentre quelli senza protezione sui lati hanno un potere di contenimento della dose ridotto a 2-3 volte la radiazione incidente68.

A queste dotazioni “classiche”, negli ultimi anni, si sono aggiunti i guanti piombati ed i cappellini anti-rx. I guanti piombati sono stati proposti per ridurre l’esposizione alle mani, ma forniscono una protezione estremamente bassa se le mani dell’operatore vengono posizionate direttamente sotto il fascio primario e addirittura possono aumentare la dose erogata al paziente (e quindi anche la radiazione diffusa all’operatore)69. Inoltre l’uso di tali guanti può fornire un falso senso di sicurezza all’operatore che in maniera paradossa ne fa aumentare l’esposizione51 e quindi, a nostro avviso, non rappresentano un’adeguata misura per contenere la radioesposizione. Discorso diverso per quanto riguarda i capellini anti-rx: di questi ultimi ne esistono diverse versioni (monouso o riutilizzabili; a caschetto o interi) e la loro efficacia è stata dimostrata in alcuni studi clinici70,71. Purtroppo non tutta la radiazione al cervello arriva direttamente alla testa ma è stato documentato come parte delle radiazioni alla testa arrivino attraverso il mento e la parte bassa del viso indicando come solo i cappellini interi (che coprono la testa fino al mento) siano realmente efficaci72.

Un sistema valido per ridurre la dose agli operatori (senza essere un mezzo diretto di protezione) è quello di utilizzare dosimetri o altri sistemi di monitoraggio della dose che forniscono in tempo reale la dose ricevuta dall’operatore che di conseguenza assumerà un atteggiamento più “virtuoso” in termini di radioprotezione in particolare al raggiungimento di una soglia predeterminata. Uno di questi sistemi (Bleeper Sv, Vertec Scientific Ltd, Berkshire, UK) si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente la dose radiogena al primo e al secondo operatore73.

Schermi aggiuntivi

Tra gli schermi aggiuntivi che possono essere impiegati per bloccare (o attenuare) la radiazione diffusa proveniente dal paziente troviamo i telini anti-rx posizionati direttamente sulla pelvi del paziente (Figura 2). La pelvi, per la presenza delle grandi ossa del bacino, è la principale fonte di radiazione diffusa proveniente dal paziente per cui limitando o bloccando tale radiazione è possibile ridurre significativamente l’esposizione degli operatori. Differenti studi hanno dimostrato l’efficacia di questi telini aggiuntivi sia nelle versioni artigianali “riutilizzabili” che in quelle commerciali “monouso” in differenti contesti clinici quali il trattamento di occlusioni croniche, o quelle effettuate con accesso radiale42,74. Ad oggi, nonostante la notevole efficacia di questi dispositivi aggiuntivi per il controllo della dose, il loro impiego è estremamente limitato essendo utilizzato di routine in Italia da meno del 20% degli operatori43.




Alcuni autori hanno sollevato delle perplessità su possibili rischi per il paziente legati all’utilizzo di questi telini aggiuntivi. Musallam et al.75 hanno testato direttamente questa possibilità osservando un lieve incremento della dose al paziente. Tale incremento di dose per il paziente può essere comunque considerato trascurabile mentre il beneficio per l’operatore appare significativo. È di fondamentale importanza usando questi telini che gli stessi non finiscano sotto il fascio diretto perché questo può essere responsabile di un significativo incremento di dose.




RADIOPROTEZIONE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO E TECNICO

Diverse sono le figure professionali coinvolte nell’attività di sala, sia elettiva che d’urgenza, così come anche suggerito dal documento di posizione SICI-GISE sugli standard e linee guida per i laboratori di diagnostica ed interventistica cardiovascolare76. Tali figure svolgono compiti diversi che comprendono sia l’assistenza al tavolo come secondo o terzo operatore, sia, come nel caso dell’infermiere circolante o infermiere di sala, l’assistenza al paziente. Quest’ultimo è coinvolto direttamente nella somministrazione dei farmaci, nella gestione delle emergenze e nell’assistenza77. La radioesposizione interesserà dunque il personale tecnico ed infermieristico con meccanismi e dinamiche differenti, strettamente legate alla tipologia di lavoro svolto.

Il ruolo del TSRM in ambito interventistico è molto vario e di conseguenza egli si trova a collaborare nell’esecuzione di procedure accurate e sicure avendo la responsabilità d’uso di sofisticate attrezzature in situazioni diverse. Il TSRM è il professionista che possiede una formazione di base (core curriculum) abilitante a svolgere, in via autonoma o in collaborazione con altre figure sanitarie e su prescrizione medica, tutti gli interventi che richiedono l’uso di radiazioni ionizzanti e su indicazione e responsabilità dei fisici medici e/o esperti qualificati le misure strumentali per la radioprotezione. Il TSRM viene individuato come preposto alla radioprotezione e in questo grado di responsabilità il TSRM non può essere sostituito da altre figure in quanto è l’unico che possiede le competenze specifiche e, in assenza e su delega del Responsabile delle Apparecchiature, risulta essere l’affidatario delle apparecchiature a raggi X. È inoltre importante che i preposti verifichino e segnalino eventuali problemi alle apparecchiature che potrebbero compromettere il mantenimento della dose entro i corretti limiti, evidenziando pertanto l’eventuale necessità di concordare con i responsabili del laboratorio di Emodinamica la sospensione delle attività e attivare tutte le procedure necessarie per il loro ripristino.

Anche la figura infermieristica deve acquisire una sufficiente conoscenza dei rischi legati all’impiego delle radiazioni ionizzanti e di come minimizzarli. Al di fuori dei reparti radiologici può trovarsi a essere a sua volta l’interfaccia tra il paziente ed un precedente uso delle radiazioni per una procedura già eseguita. La formazione in ambito radioprotezionistico deve essere quindi acquisita prima dell’inserimento nelle attività interventistiche e specifica per le prestazioni in cui collabora.

Nell’ambito dell’organizzazione interna di ogni sala di Cardiologia Interventistica è bene considerare che la radiazione non si propaga sempre in maniera uniforme ma cambia in base alla zona considerata e pertanto il personale di sala è esposto in maniera differente a seconda della posizione di lavoro. L’esposizione dell’operatore pertanto non è né uniforme né simmetrica, ma esistono aree ben precise che devono essere considerate “a maggior impatto dosimetrico”. Ad esempio, l’area circostante alla testa del paziente e l’area alla sinistra del tavolo radiologico, sono le zone più critiche in quanto non dotate di dispositivi di protezione fissi. Estremamente importante diventa il posizionarsi adeguatamente nella stanza (allontanandosi quando possibile dalla sorgente, cioè dal paziente), nonché l’uso di paratie mobili sia per l’infermiere circolante che per i tecnici di sala. Recentemente è stato inoltre dimostrato come l’utilizzo di telini anti-rx posizionati sulla pelvi del paziente, oltre ad avere un ruolo importante nella riduzione della dose al primo operatore, sono in grado di ridurre la dose agli infermieri ed a i tecnici di sala che partecipano alla procedura in un range compreso fra il 30% e il 50%78.

Al fine di massimizzare la radioprotezione di tutti gli operatori vanno seguite alcune regole di “buona pratica” che impongono di evitare di sostare, se non strettamente necessario, nelle aree circostanti la sorgente radiogena79 raccomandando all’operatore che gestisce l’erogazione dei raggi di evitare, ove possibile, di irraggiare mentre il personale svolge attività assistenziale in prossimità del paziente.




PROCEDURE INTERVENTISTICHE STRUTTURALI CARDIACHE

Le procedure interventistiche strutturali cardiache sono tra quelle associate alla maggiore dose di radiazioni3 con un aumento di dose di circa 5 volte rispetto alla semplice coronarografia e di 2 volte rispetto all’angioplastica coronarica80, indicando la necessità di una maggiore radioprotezione per gli operatori. In genere le misure da impiegare sono le stesse delle procedure diagnostiche ed interventistiche coronariche come la riduzione del frame rate, il controllo degli ingrandimenti, l’uso di telini anti-rx aggiuntivi, ecc.81-83.

Con l’incremento della complessità delle procedure di interventistica strutturale, nelle sale di Emodinamica si è anche resa necessaria la presenza di altre figure professionali quali gli anestesisti e gli ecocardiografisti. Le attuali sale di Emodinamica, in genere, non sono ottimizzate per la radioprotezione di queste nuove figure professionali. Come precedentemente indicato, i normali laboratori prevedono come protezioni strutturali uno schermo anti-rx montato al soffitto e delle paratie montate sotto il tavolo angiografico sul lato destro del paziente. Tali misure appaiono efficaci quando gli operatori sono posizionati sul lato destro del paziente come accade per il primo e secondo operatore. La posizione dell’ecografista e dell’anestesista è differente collocandosi dietro la testa del paziente o sul lato sinistro, posti che non vengono schermati da queste paratie. Di conseguenza anche per queste figure professionali è di fondamentale importanza adottare opportune misure di radioprotezione come specificato dalle linee guida dell’American Society of Echocardiography84. È stato infatti dimostrato che gli ecocardiografisti coinvolti in procedure interventistiche strutturali possano ricevere dosi di esposizione radiogena paragonabili se non superiori rispetto a quelle dei cardiologi interventisti e di quelle del rimanente staff di sala85.

Le misure da adottare per queste figure professionali aggiuntive si possono riassumere in due parole chiave: distanza e schermi86. Con la distanza si intende la limitazione al minimo dello stazionamento dell’ecografista o dell’anestesista in prossimità del paziente. Infatti, come precedentemente discusso, la dose è inversamente correlata con il quadrato della distanza dalla sorgente, per cui piccoli incrementi della distanza dal tubo radiogeno (e dal paziente) si associano a significative riduzioni della dose. Per quanto riguarda l’utilizzo di schermi, anche gli ecocardiografisti e gli anestesisti dovrebbero utilizzare tutte le dotazioni individuali tipiche dei cardiologi interventisti adottando anche possibili misure aggiuntive quali schermi strutturali aggiuntivi posizionati sul lato destro del tavolo angiografico o teli anti-rx da posizionare sul lato destro del paziente87. In un recente studio la semplice aggiunta di un secondo schermo di vetro piombato fissato al soffitto (identico a quello utilizzato dal primo operatore) da dedicare all’ecocardiografista di sala ha consentito a quest’ultimo di ottenere una riduzione della sua dose superiore all’80% rispetto alle procedure eseguite senza paratia85. Un’alternativa è rappresentata dall’utilizzo di sistemi di protezione mobili che conferiscano un’altrettanta significativa protezione84 anche se potrebbero risultare ingombranti lasciando minore libertà di movimento all’ecografista.




ESPOSIZIONE RADIOGENA IN BASE AL SESSO DEGLI OPERATORI

La prolungata esposizione professionale a radiazioni ionizzanti rappresenta per i cardiologi, indipendentemente dal sesso, uno dei principali motivi che influiscono negativamente sulla scelta di una carriera in cardiologia interventistica88. In generale la principale fonte di preoccupazione è costituita dalla possibile correlazione tra esposizione professionale e i rischi biologici a essa connessi e in particolare un aumentato rischio di cancro.

Per quanto riguarda i danni biologici che interessano tutto lo staff (medico e non medico) di sesso femminile del laboratorio di cardiologia interventistica, particolare attenzione è stata posta circa un possibile incremento dell’incidenza di tumori al seno. Le radiazioni ionizzanti possono aumentare il rischio di tumore al seno direttamente inducendo danni al DNA e alterando le comuni funzioni cellulari e intracellulari. Inoltre, l’esposizione a radiazioni potrebbe indirettamente influenzare le capacità ormonali o di altre sostanze chimiche. Mentre è nota la relazione tra esposizione acuta ad alte dosi di radiazioni ionizzanti e aumento dell’incidenza di neoplasie della mammella89,90, il rischio correlato a esposizioni professionali a basse dosi di radiazioni non è certo. I dati sono scarsi e derivati da survey o studi caso-controllo e in generale non supportati da dati dosimetrici individuali. Alcuni studi condotti negli Stati Uniti su diverse decine di migliaia di tecnici di radiologia di sesso femminile hanno dimostrato che il rischio di tumore al seno era significativamente aumentato unicamente nei soggetti che avevano iniziato a lavorare in età giovanile, prima dei 17 anni di età, e prima degli anni ’50, periodo in cui le dosi medie annuali erano significativamente maggiori. Questo dato rafforza l’importanza dell’impiego di protocolli di riduzione della dose erogata, dell’adozione nel tempo di standard più precisi di radioprotezione e dell’adeguamento tecnologico degli apparecchi radiografici91,92. Differentemente, uno studio finlandese su 1320 medici esposti, di cui era nota la storia dosimetrica, ha dimostrato un rischio di tumore al seno più elevato per le donne esposte rispetto alla popolazione di confronto non esposta (rate ratio 1.7, intervallo di confidenza 95% 1.0-3.1), mentre l’incidenza di tutti i tipi di cancro era simile a quella della popolazione generale93. Questi dati sono stati confermati in una recente survey condotta tra 1543 cardiologi e radiologi interventisti statunitensi, in cui nel personale esposto era percentualmente più elevata l’incidenza di tumori al seno (19 vs 9%, p=0.15), ma non quella di altre neoplasie, ipotiroidismo o cataratta94. Nella survey WIN for Safety condotta su 615 cardiologi interventisti, l’incidenza di neoplasia maligna pregressa era solo del 2%, con un trend verso un maggior numero di diagnosi tra le donne cardiologhe interventiste; in queste il tumore più rappresentato era quello della mammella a prevalente localizzazione sinistra95. Nonostante il maggior limite di questi studi sia rappresentato dalla mancanza di un gruppo di controllo di pari età, dalle ridotte percentuali di risposta e dall’assenza di dati affidabili della storia dosimetrica, i risultati sottolineano l’importanza di attuare tutte le strategie di riduzione della dose e di utilizzare i sistemi di radioprotezione.

Per quanto riguarda i sistemi di radioprotezione personale per le operatrici donna è fondamentale che il camice di piombo sia fatto su misura considerando le dimensioni del seno e garantendo un’adeguata copertura dell’area ascellare; l’utilizzo di camici con manica sinistra piombata potrebbe garantire una maggior protezione di questa zona.

EFFETTI DELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE SUL SISTEMA RIPRODUTTIVO E GRAVIDANZA

È noto che molto spesso le donne che intraprendono la carriera in cardiologia interventistica vivono la maternità come un possibile “ostacolo” alla loro professione e circa il 25% rinuncia alla carriera interventistica per paura di problemi di fertilità e delle possibili conseguenze sul feto legati all’esposizione a radiazioni ionizzanti96.

A tutt’oggi non esistono dati consistenti relativi alle dosi alle gonadi degli operatori, ai loro effetti, e i dati epidemiologici sono inconclusivi. Un recente studio monocentrico ha dimostrato che le dosi registrate a livello della pelvi degli operatori sono significativamente maggiori rispetto a quelle rilevate al torace, a causa della vicinanza del fascio radiogeno e indipendentemente dal tipo di accesso vascolare97. Tuttavia la maggior parte degli studi ha affrontato i problemi di fertilità maschile data l’elevata sensibilità del tessuto testicolare alle radiazioni ionizzanti. I possibili effetti dannosi dell’esposizione professionale sulla qualità dello sperma sono suggeriti dai risultati di uno studio condotto su 83 soggetti sani esposti a radiazioni ionizzanti e 51 controlli. Lo studio, utilizzando un approccio di epidemiologia molecolare, ha dimostrato una riduzione nella qualità e nella conta spermatica, un’aumentata instabilità genomica e danni molecolari responsabili di deficit spermatogenico (possibili responsabili di problemi di infertilità in soggetti professionalmente esposti)98.

Per quanto concerne l’esposizione professionale durante la gravidanza, i dati attualmente a disposizione non suggeriscono un aumento significativo del rischio di aborti o malformazioni o neoplasie al feto nelle donne che lavorano nel laboratorio di Cardiologia Interventistica99. La Direttiva Europea 2013/59 stabilisce in 1 mSv la dose limite al feto durante il periodo gestazionale10. Sempre in ambito di legislazione europea dopo la dichiarazione della gravidanza, la donna, da un mero punto di vista radioprotezionistico, su base volontaria e confermando di aver compreso gli eventuali rischi connessi con l’esposizione a radiazioni, potrebbe continuare la propria attività nel laboratorio di Cardiologia Interventistica utilizzando eventualmente un dosimetro dedicato posizionato a livello dell’addome, sotto il camice piombato, con rilevazioni mensili della dose al feto, garantendo tutte le misure di radioprotezione in modo che il limite di dose non venga superato. Queste indicazioni sono state recentemente riprese da documenti di consenso della European Heart Rhythm Association99, delle società europee100 e americane101 di radiologia e cardiologia interventistica.

Per quanto riguarda l’Italia, la normativa italiana definita dal D.L. 26 marzo 2001, n. 151102 stabilisce che “le donne durante la gravidanza non possono svolgere attività in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda 1 mSv durante il periodo della gravidanza”. Nell’Allegato A al Decreto 151/2001 i lavori comportanti esposizione alle radiazioni ionizzanti rientrano tra i lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dell’art. 7 del citato decreto. L’allegato A riporta testualmente: “I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dello stesso articolo, sono i seguenti: [...] i lavori che comportano l’esposizione alle radiazioni ionizzanti: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto”.

EDUCAZIONE E ISTRUZIONE DEGLI OPERATORI

L’uso ampio e sempre più frequente di radiazioni ionizzanti al di fuori dei dipartimenti di radiologia, da parte di specialisti non radiologi (cardiologi interventisti, elettrofisiologi, chirurghi vascolari, angiologi, urologi, chirurghi ortopedici, neurochirurghi, gastroenterologi, ginecologi e anestesisti coinvolti nella gestione del dolore), implica la necessità che questi specialisti medici ricevano una formazione ed educazione in radioprotezione adeguata a quanto richiesto dal livello delle loro prestazioni103. L’educazione e la formazione di medici specialisti deve soddisfare pienamente i principi di giustificazione e di ottimizzazione della dose nel rispetto degli art. 3 comma 2 e art. 4 comma 1 del D.L. 187/2000104, ribaditi dalla nuova Direttiva Euratom 2013/5910 (in fase di recepimento) così come per il personale tecnico ed infermieristico a cui possono essere delegati gli aspetti pratici per l’esecuzione di una procedura o di parte di essa nell’ambito delle rispettive competenze professionali (D.L. 187/2000, art. 5 comma 3)104.

Fare radioprotezione significa rendere massimi i benefici clinici di una procedura rispetto al danno radio-indotto, utilizzando le tecniche di riduzione della dose ogniqualvolta possibile e tenendo conto che la dose erogata deve essere adatta allo scopo medico. L’istruzione e la formazione in radioprotezione non costituiscono soltanto un requisito formale per l’accesso alla pratica delle procedure di radiologia interventistica: il livello di formazione dovrebbe corrispondere al livello 5 del Quadro Europeo delle Qualifiche (European Qualifications Framework, EQF)10. Inoltre, prima che uno specialista inizi ad eseguire tecniche di radiologia interventistica, deve acquisire conoscenza, esperienza e competenza (knowledge, skills and competence, KSC) aggiuntive e specifiche per la sua professione che corrispondano al livello 6 dell’EQF10.

È ovviamente auspicabile che lo specialista migliori il suo livello di KSC nel tempo attraverso corsi di formazione con una periodicità quinquennale riportata nella normativa. Va inoltre ricordato che, nell’ambito della formazione continua, di cui all’art. 16 bis del D.L. 502/1992105, è previsto un programma in materia di radioprotezione (D.L. 187/2000 art. 7 comma 8)104. Oltre a dover essere garantita una certa esperienza in termini di procedure eseguite e di casi affrontati con continuità, si ritiene che gli operatori debbano essere addestrati su tutti gli aspetti che concorrono al concetto di ottimizzazione della dose e al principio ALARA. Tale formazione deve comprendere:

– i concetti base di conoscenza delle radiazioni ionizzanti e della radioprotezione,

– un addestramento specifico sugli aspetti tecnologici delle apparecchiature utilizzate e dei relativi sistemi di riduzione di dose,

– il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione e misurazione della dose e la verifica della loro disponibilità,

– le principali misure tecniche ed organizzative di prevenzione e protezione in grado di limitare l’esposizione allo staff di sala.

Con l’applicazione di un sistema formativo che coniughi gli aspetti pratici delle procedure interventistiche, con gli aspetti operativi della radioprotezione, è pensabile il raggiungimento degli obiettivi di ottimizzazione della dose. Tale sistema è anche in grado di svolgere un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura radioprotezionistica e nella sensibilizzazione di tutte le figure professionali coinvolte sul tema specifico della protezione dalle radiazioni ionizzanti. La formazione, eseguita secondo le disposizioni dell’Esperto Qualificato, deve comunque avere un approccio multidisciplinare e deve essere progettata con la collaborazione di altre figure professionali quali, ad esempio, gli specialisti di prodotto delle apparecchiature e gli stessi operatori interventisti al fine di poter integrare le tematiche radioprotezionistiche con gli aspetti tecnologici e sanitari delle procedure o in conformità con i requisiti normativi, le regole e le procedure locali.

La formazione di per sé non è sufficiente a garantire la qualità delle procedure ma è fondamentale che sia associata a verifiche che possono passare attraverso survey periodiche condotte sugli operatori sulle misure di radioprotezione messe in atto nel centro.

La formazione del personale nel campo della radioprotezione è compito del datore di lavoro come normato dal D.L. 230/1995106: “i datori di lavoro devono rendere edotti i lavoratori, nell’ambito di un programma di formazione finalizzato alla radioprotezione, in relazione alle mansioni cui essi sono addetti, dei rischi specifici cui sono esposti, delle norme di protezione sanitaria, delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle prescrizioni mediche, e delle modalità di esecuzione del lavoro”. È altresì importante sottolineare che attualmente manca nel corso degli studi ed in particolare nella Specializzazione di Cardiologia, una formazione mirata alla radioprotezione sia dei pazienti che degli operatori. Alcuni studi americani hanno dimostrato come un adeguato training sia teorico che pratico “sul campo”107,108 aumenti la consapevolezza e riduca in modo significativo le dosi erogate al paziente e quindi all’operatore. In questo ambito le società scientifiche di settore potrebbero fornire un supporto educativo facilitando la diffusione della cultura e delle conoscenze in ambito radioprotezionistico fra tutto il personale esposto.




GLOSSARIO

Datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

Esperto qualificato: persona che possiede le cognizioni e l’addestramento necessari per misurare le radiazioni ionizzanti, per assicurare l’esatto funzionamento dei dispositivi di protezione, per dare le istruzioni e le prescrizioni necessarie a garantire la sorveglianza fisica della radioprotezione. L’esperto qualificato fornisce al datore di lavoro, prima dell’inizio di qualsiasi attività con rischio da radiazioni ionizzanti, una consulenza in merito alla valutazione dei rischi che l’attività comporta e ai relativi provvedimenti di radioprotezione da adottare, redigendo apposita relazione.

Preposto: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere d’iniziativa.

Lavoratori esposti: soggetti che, in ragione dell’attività svolta per conto del datore di lavoro, sono suscettibili di un’esposizione alle radiazioni ionizzanti superiore a uno qualsiasi dei limiti per le persone del pubblico. Possono essere distinti in lavoratori esposti di categoria A oppure di categoria B.

Lavoratori esposti di categoria A: lavoratori che, per il lavoro che svolgono, sono suscettibili di ricevere in un anno solare una dose superiore a uno dei pertinenti valori stabiliti per decreto.

Lavoratori esposti di categoria B: tutti i lavoratori esposti che non rientrano nella categoria A.

Limiti di dose: limiti massimi fissati per le dosi derivanti dall’esposizione.

Livelli diagnostici di riferimento: sono dei valori standard, rilevati su base comunitaria per effettuare il confronto, per ogni tipologia di esame, tra parametri dosimetrici di semplice misurabilità e i valori utilizzati correntemente nella singola struttura sanitaria.

RIASSUNTO

La dose di radiazioni ricevuta dai cardiologi interventisti durante l’attività in sala di Emodinamica rappresenta un importante elemento da tenere in considerazione per i possibili rischi deterministici e stocastici associati alle radiazioni. Allo stesso tempo, molto spesso, la conoscenza degli effetti e delle conseguenze dell’esposizione radiogena nella comunità dei cardiologi interventisti è limitata. Questo documento, patrocinato dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE), fornisce utili consigli e raccomandazioni per la radioprotezione dei cardiologi interventisti. Vengono inoltre fornite indicazioni specifiche su misure di radioprotezione dedicate alle donne ed al restante personale che lavora all’interno della sala di Emodinamica.

Parole chiave. Angiografia coronarica; Laboratorio di Emodinamica; Procedura coronarica percutanea; Radiazioni.

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