Il trattamento percutaneo delle biforcazioni coronariche rimane una sfida aperta per i cardiologi interventisti, sia per quanto riguarda l’aspetto tecnico sia per i risultati clinici a lungo termine. Le biforcazioni costituiscono, infatti, il 15-20% di tutte le lesioni che sono trattate nel laboratorio di emodinamica e, nonostante i continui progressi nella tecnica e nei materiali, sono ancora gravate da un più alto tasso di complicazioni periprocedurali, necessità di reintervento, trombosi degli stent e di conseguenza di eventi clinici avversi.
In questo contesto, l’introduzione degli stent medicati se da una parte ha ridotto il tasso di restenosi e di eventi rispetto ai tradizionali stent metallici, non ha apportato di fatto significative modifiche in termini di strategia. L’incidenza di restenosi a carico dell’ostio del ramo secondario rimane, infatti, ancora alta a prescindere dalla tecnica di trattamento (stent singolo o doppio stent) e la tecnica definita provisional stenting, che consiste nell’impiantare lo stent nel ramo secondario solo quando realmente necessario, rimane ancora il trattamento di scelta. Anche gli stent dedicati, sviluppati per ovviare alle complessità tecniche legate a questo tipo di lesioni, non hanno dato finora i risultati sperati.
In questa rassegna sono riassunte le caratteristiche anatomiche delle biforcazioni coronariche e le difficoltà strategiche inerenti al loro trattamento. Vengono inoltre confrontate le varie tecniche di rivascolarizzazione disponibili analizzandone pregi e difetti, nel tentativo di fornire un approccio razionale nei confronti di un tipo di lesioni per cui il miglior trattamento non è stato ancora identificato.