Questa rassegna descrive criticamente i dati disponibili in letteratura sulla relazione tra profilo psico-affettivo e malattie cardiovascolari, nonché sui possibili effetti del trattamento antidepressivo e/o ansiolitico sugli outcome di malattia.
È stata effettuata una ricerca sistematica su Medline, tra gennaio 1966 e dicembre 2006, utilizzando come parole chiave “coronary artery disease”, “cardiac disease”, “depression”, “anxiety” ed “emotional disorders” nelle diverse, possibili combinazioni.
Dall’analisi emerge che la prevalenza di sintomatologia depressiva e/o ansiosa in pazienti cardiopatici è elevata, oscillando dal 15 al 50%. Numerose evidenze indicano che la presenza di disturbi psico-affettivi (soprattutto depressione “maggiore” e sintomi depressivi) in cardiopatici è un fattore di rischio indipendente di nuovi eventi cardiovascolari e non cardiovascolari e di riospedalizzazioni, ed anche di aumentata morbilità e mortalità cardiovascolare nella popolazione generale. I meccanismi fisiopatologici alla base di tale associazione sono da ricercare nel comportamento a rischio (persistente abitudine al fumo, ridotta aderenza alle prescrizioni, ecc.), dei pazienti con disturbi psicoaffettivi, ma anche in alcune alterazioni funzionali dell’asse ipotalamo- ipofisi-surrene, delle piastrine e del sistema nervoso autonomico. Studi osservazionali e trial clinici controllati di piccole dimensioni suggeriscono che tali alterazioni funzionali possono essere antagonizzate da alcuni farmaci antidepressivi/ansiolitici. Tuttavia, nessun trial clinico ha potuto dimostrare che un trattamento antidepressivo o ansiolitico è in grado di ridurre l’aumentata incidenza di eventi avversi maggiori associata ai disturbi psico-affettivi nei pazienti cardiopatici.
Nonostante il ruolo dei disturbi psico-affettivi come fattori di rischio cardiovascolare indipendenti sia ben dimostrato, e siano stati identificati meccanismi fisiopatologici favorevolmente influenzati da farmaci antidepressivi e ansiolitici, sono ancora necessari trial clinici controllati di ampie dimensioni e con adeguati periodi di osservazione per definire se un trattamento farmacologico di tali disturbi possa migliorare gli outcome clinici di rilievo in pazienti cardiopatici.