Le malattie cardiovascolari rimangono la causa principale di morte e morbilità nel mondo occidentale e tra di esse la cardiopatia ischemica, nelle sue manifestazioni acute, ne è la maggior responsabile. Negli ultimi decenni gran parte dell’interesse è stato rivolto alla fase iniziale delle sindromi coronariche acute (SCA) senza sopraslivellamento del tratto ST, dove maggiormente si concentrano gli eventi. Infatti il ricorso ad una rapida stratificazione di rischio, ad un’aggressiva strategia invasiva precoce e ad un’efficace terapia antitrombotica ha nettamente migliorato la prognosi ospedaliera di questi pazienti. Questa forte enfasi sulla fase acuta delle SCA ha finito per ridurre l’attenzione nei confronti della non meno importante prevenzione secondaria. Tuttavia numerosi studi hanno dimostrato come molteplici trattamenti preventivi (aspirina, betabloccanti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, statine e clopidogrel) riducano in modo sostanziale la mortalità e la morbilità di questi pazienti e le più recenti linee guida ne sottolineano l’importanza. Purtroppo ogni giorno emerge la discrepanza tra le indicazioni delle linee guida e la loro applicazione nel mondo reale legata ad errori di omissione o paradossi terapeutici. Dal momento che i pazienti con SCA rappresentano un gruppo di soggetti nei quali le misure di prevenzione secondaria possono essere particolarmente utili e costo-efficaci, i cardiologi hanno il dovere non solo di concentrare la loro attenzione sulla fase acuta della patologia, ma anche di proseguire questo loro sforzo dopo la dimissione con un uso altrettanto aggressivo di tutti i presidi di prevenzione secondaria. Un forte impegno in questo senso può estendere ed amplificare i benefici ottenuti nella fase acuta delle SCA e migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza di questi pazienti. A questo proposito il ruolo delle Società Scientifiche è fondamentale per cercare di diffondere l’applicazione delle linee guida in questo contesto.