Dopo un’ischemia, la riperfusione peggiora il danno miocardico, che, tuttavia, può essere limitato dal precondizionamento ischemico. Sia la via dell’adenosina sia quella dell’ossido nitrico (NO) partecipano alla protezione. Il precondizionamento ischemico ha però scarse applicazioni pratiche data l’imprevedibilità dell’insorgenza di un infarto. Recentemente è stato visto che il cuore può essere protetto contro i danni da ischemia e riperfusione se 3- 4 occlusioni coronariche di 10-30 s sono eseguite all’inizio della riperfusione. La procedura è detta postcondizionamento.
Il postcondizionamento riduce i danni da ossidazione e attenua la risposta infiammatoria locale. Il postcondizionamento attiva anche cascate enzimatiche comuni al precondizionamento ischemico e al precondizionamento farmacologico. Il postcondizionamento sembra attivare le cosiddette chinasi di sopravvivenza, le quali attenuano l’apoptosi e forse anche i processi di necrosi. Per quanto riguarda il postcondizionamento farmacologico sono state testate diverse sostanze. Nel ratto, in assenza di postcondizionamento la protezione può essere ottenuta infondendo un NO-donatore durante tutta la riperfusione. Dato che all’inizio della riperfusione si producono grandi quantità di specie reattive dell’ossigeno, è stata anche tentata l’infusione di un antiossidante che, sempre nel ratto, ha ridotto l’estensione dell’infarto assai più del postcondizionamento. Un effetto di sommazione tra NO-donatore e antiossidante si è rivelata possibile. È anche stata proposta una via comune per pre- e postcondizionamento.