Dopo la sua scoperta avvenuta nel 1953, e quella del suo antagonista recettoriale, lo spironolattone, all’inizio degli anni ’60, l’aldosterone ha avuto un lungo “periodo buio” durato circa 30 anni caratterizzato da uno scarso interesse da parte della comunità scientifica internazionale. Sono stati i classici studi di Weber che hanno consentito il riconoscimento del ruolo fondamentale dell’aldosterone nel promuovere l’ipertrofia e soprattutto la fibrosi miocardica. Successivamente, importanti studi clinici come il RALES e l’EPHESUS hanno dimostrato il vantaggio in termini di sopravvivenza dell’uso del blocco recettoriale dell’aldosterone nello scompenso cardiaco avanzato e postinfartuale, rispettivamente. In particolare in quest’ultima condizione, ricerche sperimentali hanno dimostrato che il cuore possiede intrinseche capacità di produzione locale di aldosterone attraverso un sofisticato sistema steroidogenico, che risulta attivato dopo infarto miocardico. Tale upregulation determina notevoli effetti sfavorevoli, in particolare fibrosi interstiziale nelle aree lontane dall’infarto, con conseguente alterazioni della funzione sistolica, diastolica e minacciose aritmie dovute ad eterogeneità elettrica. Questa breve rassegna esamina l’importanza della fibrosi nella fisiopatologia dello scompenso cardiaco postinfartuale, il ruolo dell’aldosterone e l’utilizzo del suo blocco recettoriale come una nuova strategia terapeutica.