L’ossido nitrico prodotto dall’endotelio non solo è un potente vasodilatatore, ma anche inibisce l’aggregazione piastrinica, la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce, l’adesione dei monociti e l’espressione delle molecole di adesione, proteggendo così la parete arteriosa dallo sviluppo dell’aterosclerosi e della trombosi. I fattori di rischio cardiovascolare sono caratterizzati dalla disfunzione endoteliale, un’alterazione principalmente causata dalla produzione di stress ossidativo che distrugge l’ossido nitrico e ne riduce quindi la sua biodisponibilità. Un endotelio disfunzionante può favorire la patogenesi dell’aterosclerosi e, in pazienti con elevato rischio cardiovascolare, una ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente è un indice predittivo di eventi cardiovascolari. Comunque, al momento attuale la funzione endoteliale non può essere ancora considerata un parametro clinico da valutare per la stratificazione del rischio cardiovascolare. Questo limite origina essenzialmente dal fatto che nessun test ha una sufficiente fattibilità, sensibilità e specificità per poter essere impiegato nella pratica clinica quotidiana. Inoltre, nessuno studio ha ancora dimostrato che un miglioramento della funzione endoteliale, che può essere ottenuto con una terapia adeguata, è associato in modo indipendente a un miglioramento della prognosi dei pazienti. È ragionevole però ipotizzare che studi multicentrici che applichino una metodica non invasiva quale la determinazione della dilatazione indotta da flusso a livello dell’arteria brachiale, seguendo linee guida concordate e validate, possano dare una risposta definitiva al reale significato prognostico della disfunzione endoteliale, sia in termini di rischio cardiovascolare che di efficacia della terapia.