Razionale. Nonostante siano noti studi osservazionali clinici su numerose popolazioni, le informazioni relative ai profili di rischio cardiovascolare e alle abitudini di vita di giovani italiani sono frammentarie.
Materiali e metodi. Un gruppo di medici di famiglia della provincia di Roma ha visitato una popolazione di individui di età compresa tra 20 e 50 anni, senza storia di cardiopatia ischemica, analizzando la prevalenza di alcuni tra i più comuni fattori di rischio cardiovascolare, le abitudini di vita della popolazione in esame e il profilo dei controlli medici e strumentali eseguiti.
Risultati. Sono stati studiati 5581 individui (2795 maschi, 2786 femmine, età media 36 ± 8 anni), in tre aree della provincia di Roma: una cittadina, una rurale ed una marittima; 4825 individui (76.5%) risultano portatori di almeno un fattore di rischio cardiovascolare, mentre 549 (9.8%) ne riferiscono più di tre. Il fattore di rischio maggiormente diffuso è l’inattività fisica (63.1%), e la sua prevalenza si mantiene alta indipendentemente da sesso e localizzazione geografica; 2774 individui (49.7%) eseguono controlli periodici, prevalentemente attraverso visite eseguite dal proprio medico di base. Sintomi come palpitazioni o dispnea sono presenti in 288 individui (5.2%). Una terapia cardiologica viene seguita più frequentemente di quella non cardiologica (13.3 vs 3.7%). Una bassa percentuale di esami cardiologici strumentali (elettrocardiogramma, ecocardiogramma, elettrocardiogramma sotto sforzo) è caratterizzata da un risultato patologico. Non è stato possibile individuare differenze rilevanti fra gli abitanti delle tre zone di appartenenza in termini di stile di vita e profilo di rischio cardiovascolare.
Conclusioni. A dispetto della giovane età della popolazione in esame, una significativa percentuale di individui risulta portatore di uno o più fattori di rischio cardiovascolare e conduce uno stile di vita potenzialmente dannoso. Un programma di prevenzione primaria favorirebbe la riduzione di tale profilo di rischio e, in definitiva, la riduzione dell’incidenza futura di eventi coronarici.