Un moderno reparto di cardiologia ha rapporti estremamente frequenti con la cardiochirurgia sia per la gestione delle sindromi coronariche acute che per i pazienti coronaropatici elettivi. Questa esigenza è resa impellente dall’evidente utilità di sottoporre numerosi pazienti ad una rivascolarizzazione miocardica rapida e dalla necessità di utilizzare in modo appropriato le limitate risorse chirurgiche disponibili. Pertanto ogni cardiologia deve formalizzare i propri rapporti con la cardiochirurgia in tre momenti fondamentali della sua attività rappresentati da: 1) supporto all’angioplastica coronarica (PTCA), quando questa venga effettuata; 2) trattamento del paziente instabile degente in unità di terapia intensiva coronarica o reparto; 3) trattamento dei soggetti stabili, sottoposti ad angiografia elettiva.
Il ruolo della cardiochirurgia durante PTCA è evoluto da supporto ineludibile per il trattamento delle frequenti complicanze procedurali ad ausilio complementare per la tempestiva rivascolarizzazione del paziente instabile, quando la PTCA non è tecnicamente attuabile. Questo nuovo ruolo mantiene il rapporto tra cardiochirurgia e laboratorio di interventistica indissolubile, ma non necessariamente vincolato dalla contiguità fisica.
Nelle altre due circostanze i concetti fondamentali e prioritari sono sintetizzabili in un tempestivo accesso alla rivascolarizzazione chirurgica per il paziente instabile e nell’oggettivazione di una corretta priorità all’intervento per i casi elettivi.
L’ottimizzazione dei rapporti tra cardiologia e cardiochirurgia nelle sindromi coronariche richiede pertanto un’attenta organizzazione di tutti questi aspetti per i quali la contiguità fisica rappresenta solamente un fattore facilitante, ma non esclusivo.