Gli studi più recenti sulle strategie terapeutiche ottimali nell’angina instabile e infarto miocardico non Q, hanno evidenziato il vantaggio della stratificazione precoce del rischio, con lo scopo di sottoporre a coronarografia ed eventuale riperfusione i pazienti con profilo di rischio più alto (strategia aggressiva precoce), rispetto al tradizionale comportamento conservativo (raffreddamento farmacologico e stratificazione del paziente mediante test funzionali). D’altra parte, dopo la recente introduzione degli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa, anche la terapia farmacologica si giova della precoce individuazione dei pazienti a maggior rischio di eventi. A questo proposito, l’utilizzo dell’abciximab è indicato in associazione alle procedure di rivascolarizzazione percutanea, mentre le piccole molecole si confermano come i farmaci più adatti all’utilizzo in unità coronarica allo scopo di ridurre il rischio precoce di necrosi del miocardio. Vi sono, tuttavia, buone ragioni per ritenere che anche un trattamento orale con un antiaggregante tienopiridinico come il clopidogrel possa ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti con angina instabile sottoposti o meno ad angioplastica coronarica. Nello studio PCI-CURE, infatti, il clopidogrel è risultato efficace nel ridurre l’incidenza non solo degli eventi ad 1 anno ma anche il rischio che si verifichi una necrosi miocardica prima dell’eventuale procedura di rivascolarizzazione. Viene proposto un nuovo schema terapeutico nell’angina instabile che preveda l’utilizzo del clopidogrel, la stratificazione precoce del rischio e l’eventuale somministrazione di abciximab in sala di emodinamica se indicato. Il vantaggio derivato da tale ipotesi di trattamento dovrà essere validato da studi ad hoc.