Il sonno consiste di due fasi, a rapidi movimenti oculari (REM) e non-REM, che si alternano periodicamente e che possono essere distinte sia dal punto di vista elettroencefalografico che da quello dell’assetto cardiocircolatorio.
La fase non-REM è caratterizzata da onde elettroencefalografiche ampie e poco frequenti, riduzione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e delle resistenze periferiche. Questa situazione emodinamica è il risultato dell’aumentato tono vagale e della diminuzione di quello simpatico e può essere dimostrato nell’uomo attraverso la monitorizzazione degli indici spettrali di variabilità della frequenza cardiaca che documentano un aumento della potenza nelle alte frequenze.
La fase REM è invece caratterizzata da onde elettroencefalografiche poco ampie e più frequenti, da un ulteriore calo del tono simpatico con bradicardia spiccata e riduzione ulteriore delle resistenze periferiche. Il sonno REM è però caratterizzato anche da un’instabilità emodinamica legata alle intermittenti scariche simpatiche (e depressione del tono vagale) che si verificano durante i rapidi movimenti oculari. La fase REM è quindi per definizione irregolare a causa delle oscillazioni nell’interazione tra sistemi di controllo centrali e meccanismi riflessi che sfuggono al controllo omeostatico delle strutture ipotalamiche. Durante tale fase si assiste infatti ad alterazioni brusche del bilancio simpato-vagale che possono influenzare la stabilità elettrica ed emodinamica e quindi creare, in teoria, una condizione di aumentato rischio aritmico sia a livello striale che ventricolare. Durante la “fase dei sogni” è aumentato anche il rischio di episodi anginosi in pazienti coronaropatici. Nell’ambito della fisiopatologia dell’attività del sistema nervoso autonomo lo studio della variabilità della frequenza cardiaca durante il sonno può essere utile nella valutazione dell’integrità del bilancio simpato-vagale per esempio in pazienti con infarto miocardico recente.