Razionale. Il fumo di sigarette rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio delle malattie cronicodegenerative. Studi epidemiologici concordano nell’affermare che il rischio di cardiopatia coronarica nei fumatori è almeno 3 volte maggiore rispetto ai non fumatori, che l’incidenza aumenta con l’aumentare del numero di sigarette fumate al giorno e che il rischio si riduce tra i soggetti che hanno smesso di fumare.
Materiali e metodi. Per documentare l’andamento temporale delle abitudini al fumo in Italia sono stati analizzati dati che riguardano due studi osservazionali condotti in diverse regioni italiane, il Progetto RIFLE (1978-1987), l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare (1998), e dati provenienti dall’Indagine Multiscopo ISTAT sulle famiglie italiane (1980-1997).
Risultati. Rispetto al passato, la prevalenza dei fumatori adulti ha subito una drastica riduzione, passando dall’80% negli anni ’50 al 50% negli anni ’80 e al 30-40% ai giorni nostri. Contemporaneamente, la prevalenza delle fumatrici adulte sembra essere aumentata passando, rispetto agli anni ’80, dal 17 al 23%. L’abitudine al fumo di sigarette è più diffusa al Centro-Sud che al Nord; meno tra i coniugati e tra gli uomini laureati; tra le donne sono proprio le più istruite a fumare di più. L’età media di inizio del fumo negli uomini è rimasta stabile nel tempo (17-18 anni), nelle donne si è modificata ed è passata dai 25-30 anni nelle generazioni più anziane ai 17 anni in quelle più giovani. Quasi tutti i fumatori desidererebbero smettere di fumare, oltre il 60% ha provato a farlo almeno 1 volta e, in questo caso, il tempo medio di astinenza è stato di circa 1 anno. L’esposizione al fumo passivo varia da 1 ora al Nord a 2 ore al Sud.
Conclusioni. Sebbene l’abitudine al fumo, almeno per gli uomini, sembra seguire un trend decrescente, esiste ancora una consistente quota di soggetti su cui intervenire. Un’azione mirata ai più giovani sarebbe utile per contrastare l’abitudine sul nascere.