Trattamento con inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 nello scompenso cardiaco acuto: revisione dello studio EMPULSE e analisi della letteratura
Nella gestione dell’insufficienza cardiaca, il ricovero per scompenso cardiaco acuto rappresenta la principale causa di spesa ed è associato ad un aumentato rischio di successivi eventi avversi. In questa rassegna vengono riportate le evidenze a favore del ricovero ospedaliero come contesto ideale per l’implementazione della terapia “disease-modifying” dell’insufficienza cardiaca con un’attenzione particolare all’impiego delle gliflozine nel paziente con scompenso cardiaco acuto stabilizzato. Gli autori analizzano i dati provenienti dallo studio EMPULSE, il più ampio studio clinico che ha valutato una gliflozina nel contesto acuto in pazienti con funzione sistolica sia ridotta che preservata, ponendo l’attenzione al metodo statistico win ratio utilizzato per l’analisi dell’endpoint primario. Questo studio ha dimostrato che l’impiego di empagliflozin nel corso di un ricovero per scompenso cardiaco acuto comporta un significativo beneficio clinico. Le successive analisi hanno evidenziato gli effetti favorevoli in termini di decongestione. Poiché i benefici clinici del trattamento con gliflozine si manifestano precocemente (dopo poche settimane) e al fine di aumentare la tollerabilità della terapia polifarmacologica dello scompenso cardiaco, l’inizio del trattamento con gliflozine dovrebbe essere prioritario rispetto alla titolazione degli altri trattamenti. Anche in contesti clinici più complessi, come nel paziente anziano o con insufficienza renale in cui vi è maggiore reticenza all’impiego dei trattamenti per lo scompenso cardiaco, le evidenze disponibili supportano la sicurezza e la buona tollerabilità delle gliflozine che, anzi, possono facilitare l’introduzione/titolazione degli altri trattamenti.