Dettagli Novembre 2012, Vol. 13, N. 11 doi 10.1714/1168.12944 Scarica il PDF(272,1 kb) In questo numero titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo In questo numero testo - art_testo processo ai grandi trial STICH Viability: manca un vero vincitore tra terapia medica e bypass nei pazienti con insufficienza cardiaca postischemica. E il ruolo della vitalità? Tutto chiaro ..., o forse no? Lo studio STICH ci dice che in pazienti con grave disfunzione ventricolare e coronaropatia correggibile chirurgicamente, il bypass aortocoronarico non riduce la mortalità totale ma solo l’endpoint combinato di mortalità e ospedalizzazione per cause cardiovascolari. Dal sottostudio STICH Viability sulla vitalità miocardica, valutata mediante tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo, ecocardiografia da stress con dobutamina o entrambe le metodiche, emerge che la presenza di vitalità è associata a una minor mortalità all’analisi univariata ma non a quella multivariata, e che il bypass riduce solo nel sottogruppo di pazienti con vitalità unicamente la somma di mortalità più ospedalizzazione per cause cardiovascolari. La valutazione della vitalità miocardica non ha consentito di identificare i pazienti con differente beneficio in termini di sopravvivenza derivabile dall’intervento di bypass rispetto alla sola terapia medica. Se questa è la sintesi dello studio, il tema in esame è talmente complesso e lo studio così elaborato che necessita di un’analisi più dettagliata per evitare frettolose semplificazioni che porterebbero ad escludere a priori la ricerca di vitalità miocardica nella valutazione del paziente con disfunzione ventricolare sinistra. Sussistono molte questioni rilevanti, alcune di ordine metodologico, altre sull’accuratezza diagnostica delle varie tecniche disponibili, sull’impiego in questo contesto di nuove tecniche di imaging come la risonanza magnetica e la tomografia ad emissione di positroni che non sono state considerate nello studio, sul ruolo del rimodellamento ventricolare sinistro, più marcato nei pazienti senza miocardio vitale, che potrebbe aver vanificato il beneficio aggiunto della rivascolarizzazione. A questo proposito sono interessanti i punti di vista differenti del cardiologo clinico, Rosa Sicari, e del cardiochirurgo, Lorenzo Menicanti. La partita non è definitivamente chiusa! • Look Ma, No Hands! Lo studio CORONARY Sono passati 16 anni dalla pubblicazione della prima ampia casistica di bypass a cuore battente (off-pump) (Buffolo E, Ann Thorac Surg 1996;61:63-6) nel cui celebre editoriale Ullyot (Look Ma, No Hands!) plaudiva al virtuosismo tecnico degli autori paragonato alla prodezza del bambino che guida la bicicletta senza mani, riconoscendo allo stesso modo che le gare si vincono solo pedalando in maniera classica. Dopo un iniziale grande entusiasmo, la chirurgia off-pump ha visto notevolmente ridimensionato il suo impiego, che si attesta attualmente attorno al 15-20% dei casi in tutto il mondo. Il supposto beneficio in termini di riduzione di complicanze (renali, polmonari e neurologiche) della tecnica off-pump si associa, generalmente, ad una maggiore incidenza di problemi tecnici e di rivascolarizzazione incompleta. Lo studio CORONARY è stato disegnato per risolvere il problema dei risultati contrastanti di precedenti studi e metanalisi di confronto tra tecnica di bypass aortocoronarico off-pump vs tecnica in circolazione extracorporea (on-pump). Le conclusioni, su 4752 pazienti randomizzati a bypass off-pump vs on-pump in 79 centri di 19 paesi, sono state che non vi sono differenze in nessuno dei componenti dell’endpoint primario (morte, infarto, ictus, insufficienza renale di nuova insorgenza con necessità di trattamento dialitico nel corso dei primi 30 giorni dalla randomizzazione). L’intervento off-pump è risultato associato ad una minore incidenza di trasfusioni, reinterventi per emorragia perioperatoria, complicanze polmonari e danno renale acuto ma ha comportato un aumento del rischio di rivascolarizzazione precoce. L’esperienza del chirurgo, pur valendo per entrambe le tecniche, potrebbe essere il principale fattore che influenza i risultati dello studio. Massimo Massetti e Pierluigi Stefàno ci illustrano mirabilmente questi aspetti. • rassegne Evoluzione delle tecniche di chirurgia valvolare riparativa Dal momento in cui, nella seconda metà degli anni ’50, la circolazione extracorporea divenne progressivamente più semplice, affidabile, maggiormente riproducibile e meno gravata da rischi, la cardiochirurgia ebbe un impetuoso sviluppo. Contemporaneamente, nel mondo occidentale, il profilo dei pazienti con patologia valvolare stava cambiando: la patologia reumatica, una volta alla base della maggior parte delle valvulopatie, veniva soppiantata dalla patologia degenerativa dell’anziano e da malattie del tessuto connettivo. In questa era sono state sviluppate anche molte metodiche diagnostiche: dall’ecocardiografia alla tomografia computerizzata tridimensionale, alla risonanza magnetica dinamica, all’ecocardiografia tridimensionale, ecc. Acquisizione importante è stata anche l’introduzione del concetto di unità anatomo-funzionale: le valvole non vengono più considerate strutture indipendenti, ma parte di un contesto, dove il ventricolo, il miocardio, le coronarie, il pericardio, le valvole stesse, la riserva miocardica e la patologia sottostante interagiscono tra di loro. Con questa nuova visione a 360° della cardiochirurgia del terzo millennio, di fronte alle problematiche di una valvulopatia, si è sviluppata la chirurgia ripartiva e/o conservativa delle valvole cardiache. Recentemente sono state prodotte evidenze della maggiore efficacia della chirurgia riparativa precoce nel ridurre la mortalità e morbilità a lungo termine. Michele De Bonis et al. forniscono indicazioni circa l’evoluzione delle tecniche di chirurgia riparativa delle valvole cardiache (mitrale, aortica e tricuspide), focalizzando l’attenzione sui fattori che devono essere tenuti in considerazione nel follow-up clinico e strumentale a breve e lungo termine dei pazienti sottoposti a tale tipo di intervento. • Evoluzione delle tecniche di bypass coronarico L’avvento della cardiochirurgia risale al 9 settembre 1896, quando Ludwig Rehn operò un giovane con una ferita da coltello al cuore, ponendo fine alla convinzione che la natura avesse posto il cuore oltre i limiti della chirurgia. Passarono tuttavia cinque decenni prima che si sviluppassero tecniche che consentissero alla cardiochirurgia di diventare una realtà consolidata e riproducibile, grazie ai contributi derivanti dal progresso in molteplici campi scientifici. La cardiochirurgia ebbe un impetuoso sviluppo negli anni ’60 quando, nell’arco di un solo decennio, furono realizzate la maggior parte delle procedure oggi adottate. Dopo che il cardiologo Mason Sones per primo eseguì una coronarografia selettiva, fu compiuto un ulteriore fondamentale passo avanti quando, nel maggio del 1967 a Cleveland, Ohio, il chirurgo argentino René Favaloro eseguì il primo bypass aortocoronarico per rivascolarizzare il miocardio ischemico. Dagli anni ’70 ad oggi almeno tre generazioni di cardiochirurghi hanno profuso impegno nel perfezionare ed innovare l’intervento di bypass coronarico, in parallelo agli enormi progressi compiuti dalla cardiologia interventistica, nel tentativo di realizzare procedure che si adattino alle varie manifestazioni fenotipiche dell’aterosclerosi coronarica. Attualmente le procedure chirurgiche di rivascolarizzazione miocardica sono gli interventi più studiati della storia della chirurgia con dati sufficienti a provarne efficacia e stabilità̀ in specifiche categorie di pazienti, anche se sono ancora dibattuti alcuni aspetti del loro impiego. Michele Portoghese et al. illustrano in questa rassegna i progressi della tecnica negli ultimi anni a fronte di un sempre peggiore profilo di rischio dei pazienti. Disporre di diverse opzioni procedurali chirurgiche significa disporre di soluzioni adatte e mirate ai nuovi scenari clinici. • Prevenzione farmacologica delle recidive coronariche: qual è la pratica italiana? Dati epidemiologici sia internazionali che italiani, provenienti, questi ultimi, dall’analisi delle schede di dimissione ospedaliera e da registri, dimostrano negli ultimi 20 anni una marcata riduzione della mortalità ospedaliera per infarto miocardico acuto, mentre la mortalità dei dimessi vivi ad un anno è rimasta invariata; altrettanto elevata, del 20% circa, risulta la frequenza di nuovi ricoveri per tutte le cause nei 6 mesi successivi l’evento acuto. Ciò potrebbe essere in relazione anche all’aderenza non ottimale alla terapia medica; si stima che ad un anno solo il 50% circa dei pazienti mantiene in terapia tutte le quattro classi di farmaci di provata efficacia in prevenzione secondaria (aspirina/tienopiridine, ACE-inibitori/antagonisti recettoriali dell’angiotensina, betabloccanti, statine). Le recidive coronariche costituiscono circa il 40% del totale delle sindromi coronariche acute, di cui approssimativamente tre quarti potrebbero essere evitate o differite tramite la somministrazione combinata delle quattro classi di farmaci. Se il comportamento prescrittivo dei cardiologi ospedalieri italiani all’atto della dimissione ospedaliera è sostanzialmente congruo con l’evoluzione dell’evidenza scientifica, più controverso appare quello della rete assistenziale ambulatoriale cui compete la gestione del paziente infartuato nei 6-12 mesi successivi all’evento coronarico acuto, un periodo critico in cui si concentra la maggiore incidenza di mortalità postinfartuale. Elevati livelli di appropriatezza da parte del medico ma anche di aderenza alla terapia prescritta da parte del paziente, sono obiettivi conseguibili, come documentano Roberto Pedrinelli et al. sulla base di una esaustiva analisi della letteratura. • informalmente Sei Dionisiaco o Apollineo? Il dualismo classico tra Apollo e Dioniso (chiamato anche Bacco dai romani) descrive bene due tipi fondamentali di umanità, due universali possibilità di vita, due polarità. Apollo è il dio dell’equilibrio, della misura, della ragione pura. La via di Apollo è speculativa, spinge a cercare spiegazioni ed elaborare teorie, costruisce sistemi con cui cerca di esprimere il senso ultimo delle cose secondo misura e proporzione. Dioniso-Bacco è il dio della sfrenatezza, dell’estasi, della creatività, dell’impulso della volontà. La via di Dioniso-Bacco è l’esatto contrario: l’accettazione ebbra della vita, l’esaltazione delle pulsioni energetiche e vitali, della salute, della giovinezza e della passione sensuale. Ragione versus istinto-emozione. Dall’equilibrio dei due spiriti scaturisce per l’uomo una situazione di serenità e di armonia. Bruno Domenichelli traccia nel suo articolo, una sintesi di riflessioni sul rapporto tra equilibrio psichico e prevenzione cardiovascolare in una visione della medicina integrale che, nel rispetto della centralità e soggettività del malato, torni ad essere vissuta come ars medica. • studio osservazionale Reinterventi sulla radice aortica La sostituzione della radice aortica secondo la tecnica di Bentall ha dimostrato essere una procedura sicura ed efficace nel trattamento delle diverse patologie del bulbo aortico. Come contropartita sono attualmente in continuo aumento i reinterventi, che si stima rappresentino circa il 10% di tutte le procedure chirurgiche sull’aorta ascendente e il cui rischio operatorio è notevolmente maggiore, più del doppio, di quello del primo intervento. Marco Di Eusanio et al. forniscono un importante contributo in questo ambito, riportando una grossa casistica di reinterventi sulla radice aortica presso l’U.O. di Cardiochirurgia del Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, dal gennaio 1986 al settembre 2011, con una sopravvivenza soddisfacente a breve e lungo termine, soprattutto nei casi elettivi, e identificano come fattori negativi prognostici per mortalità il tempo di circolazione extracorporea e la procedura in urgenza/emergenza. • controversie in medicina cardiovascolare La rianimazione cardiopolmonare oggi: da 4 a 5 anelli La moderna tecnica di rianimazione cardiopolmonare (RCP) che associa il massaggio cardiaco alla respirazione bocca-a-bocca, così come praticata ancora oggi, è stata descritta per la prima volta da Safar, Jude e Kouwenhoven, che presentarono la loro innovazione al Maryland Medical Society Meeting il 16 settembre 1960 a Ocean City. Nell’introduzione al loro lavoro, il moderatore commentò che questa idea era così nuova da non avere ancora un nome riconoscendo che le due tecniche non potevano essere considerate entità separate ma parti integranti di un unico processo di rianimazione. Per promuovere la RCP, Jude, Knickerbocker e Safar iniziarono un vero e proprio tour di conferenze. Nel 1962 Gordon e Adams produssero un cortometraggio dimostrativo di 27 minuti chiamato “The Pulse of Life”. Il film fu usato per insegnare la RCP in lezioni in classe e fu visionato da milioni di studenti negli Stati Uniti. Nel film, Gordon e Adams idearono la sequenza mnemonica di A, B e C degli step della RCP ancora oggi in uso. Nell’autunno 2010, a distanza di 50 anni dalla prima pubblicazione sul soccorso all’arresto cardiaco, sono state pubblicate le nuove linee guida per la RCP e l’assistenza cardiovascolare d’emergenza, frutto del lavoro congiunto di centinaia di esperti di ben 29 paesi. I punti più rilevanti di queste sono rappresentati dalla priorità della compressione toracica, dall’enfasi sulla RCP di alta qualità, e soprattutto dall’ulteriore evoluzione del concetto di “catena della sopravvivenza” con l’aggiunta del quinto anello, quello dell’assistenza integrata post-arresto cardiaco. Dal punto di vista organizzativo è rimarcata la scelta di favorire la formazione estendendola ai laici in modo capillare. In quest’ambito i punti di vista, integrati, del cardiologo clinico, Francesco Chiarella, e del rianimatore, Carlo Sorbara, forniscono delle chiavi di analisi delle linee guida particolarmente illuminanti. • casi clinici Massa cardiaca incidentale: inseguendo il bianconiglio Nella retorica moderna l’immagine del coniglio bianco sta ad indicare un evento inaspettato che porta alla comprensione di una realtà superiore che scardina in un sol colpo le convinzioni precedenti. Come Alice appena addormentata si accorse di un coniglio in panciotto che correva con un orologio in mano e non si sorprese ma lo seguì incuriosita, così chiunque si incuriosisce alle stranezze può essere trasportato in un altro “paese delle meraviglie”. Allo stesso modo Alberto Palazzuoli et al. descrivono il caso di un giovane con sintomatologia sfumata e riscontro occasionale all’ecocardiogramma transtoracico di una massa di dimensioni 3 x 2 cm all’interno del miocardio. Le immagini di risonanza magnetica cardiaca confermano la presenza di una massa parzialmente capsulata con aspetti di modesta infiltrazione del tessuto miocardico circostante, senza aggettare all’interno della camera ventricolare sinistra e senza alterazioni della cinetica regionale. A questo punto, se il lettore vuole conoscere l’evoluzione del caso, non deve fare altro che leggere l’articolo. • TAVI e impianto percutaneo di protesi mitralica valve-in-valve: un caso complesso da Norimberga Gli autori illustrano un caso di una paziente di 78 anni in precarie condizioni cliniche con stenosi aortica calcifica severa e stenosi mitralica severa da degenerazione di protesi mitralica biologica (Carpentier Edwards 31 mm) impiantata 9 anni prima. La paziente veniva giudicata, con un approccio multidisciplinare, inoperabile chirurgicamente e veniva scelta strategia percutanea dopo stabilizzazione clinica, con programma di doppia procedura percutanea aortica e mitralica (valve-in-valve) in tempi differenti. Dapprima è stata effettuata la procedura di impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) per via transfemorale con protesi Edwards Sapien XT 23 mm senza complicanze periprocedurali e, dopo circa 3 mesi, è stata impiantata per via percutanea con accesso transapicale, protesi Edwards Sapien XT 29 mm in sede mitralica valve-in-valve con successo. Giuseppe Santarpino et al. discutono dell’approccio multidisciplinare al caso, delle implicazioni dell’impiego del nuovo indice EuroSCORE II, dell’impianto off-label di protesi valve-in-valve in sede mitralica e delle motivazioni alla scelta del differente approccio. • position paper Requisiti minimi per ospedali ed operatori per TAVI. Documento di posizione della Società Italiana di Cardiologia Invasiva L’accreditamento è un’attestazione della capacità di operare che un soggetto di riconosciuta autorità rilascia nei confronti di chi opera in un campo particolarmente importante, come nella sanità, dove è necessaria competenza, indipendenza, onestà, capacità organizzativa, rispetto di standard elevati. L’imperativo è assicurare gli utenti finali dei servizi, ritenuti così importanti, dell’affidabilità del sistema erogante. In un contesto molto complesso, come quello delle procedure interventistiche di impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI) in pazienti con stenosi aortica degenerativa sintomatica, che sta assumendo importanza sempre maggiore, sia sul piano clinico che organizzativo, riveste un ruolo determinante la posizione delle Società Scientifiche competenti. La Società̀ Italiana di Cardiologia Invasiva (SICI-GISE) ha quindi predisposto un documento integrativo implementando le attuali evidenze ed i consensi sull’argomento, al fine di consentire un ulteriore approfondimento su alcuni aspetti organizzativi e di formazione dei Centri e degli operatori che effettuano tale procedura. Un documento, quello di Gennaro Santoro et al., di sicura importanza per le figure professionali coinvolte e i decisori pubblici. •