corrispondenza

Gli ultimi casi di morte improvvisa che hanno colpito atleti professionisti hanno generato un acceso ed intenso dibattito nei media, nell’ambito del quale addetti ai lavori e non, hanno messo in discussione il sistema di screening italiano e proposto modifiche e soluzioni dettate in alcuni casi dalla drammaticità degli eventi, in altri da una scarsa conoscenza del problema.
La pubblicazione della lettera al Giornale di Alberto Roghi e del relativo commento da parte del Comitato Editoriale, intende rappresentare uno spunto per aprire un confronto sereno e costruttivo all’interno della comunità cardiologica riguardo al tema della prevenzione della morte improvvisa nello sport. Ulteriori contributi da parte di colleghi e lettori che possano arricchire e sviluppare la discussione troveranno spazio nei prossimi numeri del Giornale Italiano di Cardiologia.


All’Editor. Alcune riflessioni sui recenti episodi di morte improvvisa di atleti professionisti che vorrei condividere con la comunità dei cardiologi, dei medici sportivi, dei medici di urgenza/emergenza, dei medici di famiglia e degli operatori del sistema di urgenza/emergenza 118, delle società sportive e degli atleti stessi e delle loro famiglie:
1. Gli eventi di morte improvvisa nella comunità sportiva sono rarissimi per la bassa incidenza di malattie cardiovascolari in una popolazione giovane e attiva e sono regolarmente registrati dalla stampa nazionale ed internazionale per il fortissimo impatto emotivo ad essi correlato.
2. Le cause prevalenti di morte improvvisa evidenziate dai registri disponibili, come quello nordamericano, identificano in patologie cardiovascolari rare, come la cardiomiopatia ipertrofica, l’origine anomala delle coronarie, la miocardite, la cardiomiopatia aritmogena ventricolare, le canalopatie e rare patologie cardiovascolari come la sindrome di Marfan e le cardiomiopatie dilatative familiari come le principali responsabili1.
3. Tali patologie rare rappresentano una sfida diagnostica complessa anche per Centri di Riferimento più avanzati e non sono certamente intercettabili da sistemi di valutazione primitivi, basati su esami di primo livello gestiti da personale medico privo di competenze specialistiche cardiovascolari.
4. La consapevolezza delle comunità scientifiche più avanzate della scarsa accuratezza di qualunque test diagnostico applicato a popolazioni a bassa probabilità di malattia, ed alla conseguente dissipazione di risorse qualificate, qualora si ignorino i principi dell’analisi bayesiana relativa al rapporto tra accuratezza diagnostica e probabilità pre-test di malattia, ha fatto sì che nella stragrande maggioranza dei paesi industrializzati non venga svolta alcuna azione di controllo preventivo della popolazione in oggetto con l’eccezione del nostro Paese e di Israele.
5. In una recente revisione dei risultati della normativa vigente nei due Paesi pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology nel 20112, un gruppo di autori israeliani ha evidenziato che l’andamento a “cluster” di episodi di morte improvvisa, tipico di eventi rari, ha influenzato pesantemente le due comunità con l’effetto di indurre nel legislatore la necessità di intervenire con una normativa che ha trasferito sul medico sportivo la responsabilità dell’idoneità alla pratica sportiva con bizzarre conseguenze di ordine filosofico (la negazione della libertà individuale), economico (l’interruzione di carriere professionali), deontologico (medicina difensiva), clinico (effetto nullo sugli eventi che si voleva prevenire). Gli autori israeliani hanno criticato fortemente i risultati relativi alla riduzione degli eventi di morte improvvisa che sono stati attribuiti all’introduzione della normativa ed hanno imputato ad un campionamento temporale insufficiente l’apparente riduzione di eventi. Allungando il periodo di osservazione pre- e post-normativa non si è osservata alcuna differenza negli eventi.
6. Nel nostro Laboratorio di RM Cardiaca di Niguarda abbiamo recentemente rivisto la casistica relativa a soggetti per i quali è stato richiesto l’esame nel sospetto di cardiomiopatia aritmogena: nella grande maggioranza dei casi si tratta di giovani atleti con ectopie ventricolari persistenti anche nel test ergometrico con ecocardiogramma normale. Ad eccezione di 4 casi in cui la diagnosi di cardiomiopatia aritmogena era già stata chiarita con altre metodiche e dove si chiedeva una conferma del sospetto diagnostico, non abbiamo individuato alcun soggetto con cardiopatia aritmogena. Abbiamo evidenziato nel 25% dei casi cardiopatie di nuovo riscontro che avrebbero potuto essere intercettate con percorsi diagnostico-terapeutici convenzionali.
7. Che fare allora? Nella mia palestra nel centro di Milano nell’ultimo anno si sono verificati due arresti cardiaci (con un decesso) senza che ciò abbia indotto i proprietari a partecipare ai piani di defibrillazione precoce che le Società Scientifiche di riferimento (IRC, ANMCO, SIC) stanno faticosamente cercando di diffondere nella comunità nazionale. Diffondere i programmi di defibrillazione precoce ad iniziare dalle scuole ed estendere a tutta la popolazione, inclusa quella degli atleti, la buona pratica della rianimazione cardiopolmonare investendo seriamente i pochi fondi a disposizione rappresenta l’unica risposta efficace condivisa dalla comunità scientifica internazionale. L’approfondimento diagnostico va riservato a casi accuratamente selezionati secondo i principi consueti di buona pratica clinica senza pressioni normative che inducano comportamenti da medicina difensiva con incremento ingiustificato dei costi e dei risultati nulli nella prevenzione degli eventi avversi.
Alberto Roghi
Laboratorio di RM Cardiaca
Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare “A. De Gasperis”
A.O. Niguarda Ca’ Granda, Milano
e-mail: alberto.roghi@gmail.com
BIBLIOGRAFIA
1. Maron BJ, Thompson PD, Ackerman MJ, et al. Recommendations and considerations related to preparticipation screening for cardiovascular abnormalities in competitive athletes: 2007 update: a scientific statement from the American Heart Association Council on Nutrition, Physical Activity, and Metabolism: endorsed by the American College of Cardiology Foundation. Circulation 2007;115: 1643-55.
2. Steinvil A, Chundadze T, Zeltser D, et al. Mandatory electrocardiographic screening of athletes to reduce their risk for sudden death: proven fact or wishful thinking? J Am Coll Cardiol 2011, 57:1291-6.
Ον οί θεοί φιλούσιν, άποθνήσκει νέος
 “Muor giovane colui ch’al cielo è caro”
(Menandro frammento 125)

Risposta. La morte improvvisa nel giovane, e nell’atleta in particolare, ha sempre evocato sin dall’antichità un forte senso di sgomento ed impotenza, al punto da ricercare per essa una causa straordinaria o sovrannaturale.
La lettera di Alberto Roghi solleva importanti spunti di riflessione, alla luce dei recenti casi di morte improvvisa che hanno portato inevitabilmente a porre ancora in discussione l’efficacia, l’utilità e sostenibilità del programma di screening pre-partecipazione italiano. In particolare è stato posto l’accento sull’utilità di uno screening così ampio per prevenire eventi relativamente rari. La morte improvvisa negli atleti è effettivamente un evento raro con una prevalenza che oscilla tra 1 e 3/100 000 all’anno a seconda delle casistiche 1.
Meno corretto è definire rare alcune delle patologie cardiovascolari che possono causare morte improvvisa nell’atleta. Una malattia è definita rara quando ha una prevalenza nella popolazione al di sotto di una determinata soglia (in Europa <0.05% ossia <1/2000, negli Stati Uniti <0.08%). Secondo tale definizione non è sicuramente una patologia rara la cardiomiopatia ipertrofica (1/500), e non lo è probabilmente nemmeno la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Anche la miocardite come causa di morte improvvisa è sicuramente sottodiagnosticata, ma probabilmente non rara. Al di là dei numeri, è tuttavia importante avere consapevolezza che un gruppo di patologie, più o meno rare singolarmente, rappresentino assieme un’importante causa di morte improvvisa nel giovane (e quindi nell’atleta) e che molte di queste patologie siano diagnosticabili o quantomeno sospettabili sin dalla lettura dell’ECG. È sufficiente pensare alla cardiomiopatia ipertrofica, a molti casi di cardiomiopatia aritmogena, alle canalopatie, alla sindrome di Wolff-Parkinson-White. Può essere utile ricordare che in molti dei casi più recenti o più eclatanti di morte improvvisa nello sport, una cardiomiopatia era già stata diagnosticata o sospettata. È il caso dei calciatori Marc Vivien Foe (cardiomiopatia ipertrofica nota) ed Antonio Puerta (episodi sincopali con forte sospetto agli esami di imaging di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) o del cestista statunitense Reggie Lewis (cardiomiopatia ipertrofica nota con episodi sincopali prima della morte). In molti casi, quindi, la morte improvvisa causata da cardiopatia strutturale nell’atleta è prevedibile e/o prevenibile, in quanto evidenziabile dall’ECG, che rappresenta il fulcro del nostro sistema di screening ed il punto che maggiormente divide l’approccio italiano da quello anglosassone.
Su queste premesse è lecito ed importante ricordare che il sistema di screening italiano ha innegabilmente ridotto le morti di atleti per malattie cardiovascolari. Le ricorrenti riletture statistiche dell’esperienza italiana non possono cambiare questa realtà. Il recente lavoro israeliano citato da Roghi ha importanti limiti metodologici, primo tra tutti quello di una casistica derivante dalle morti riportate da due quotidiani e non da uno studio prospettico, così come la mancanza di dati precisi sulla popolazione effettivamente a rischio 2. È invece un dato reale che in Italia siano ormai azzerate o rarissime le morti durante attività agonistica causate da cardiomiopatia ipertrofica, che rimane invece la causa principe nei paesi anglosassoni. Viene spesso contestato che il prezzo pagato dal sistema italiano sia un elevato numero di falsi positivi all’ECG che portano ad un ricorso eccessivo ad esami di secondo livello e in alcuni casi ad errate non idoneità temporanee o definitive. Sicuramente le recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia sull’interpretazione dell’ECG negli atleti rappresentano uno strumento utile per migliorarne ulteriormente sensibilità e specificità 3. D’altro canto l’elevato valore diagnostico aggiuntivo dell’ECG rispetto alla sola valutazione clinico-anamnestica (adottata ad esempio negli Stati Uniti) è stato dimostrato da lavori recenti4, così come è stato dimostrato che il ricorso ad esami diagnostici di secondo livello (ad esempio l’ecocardiogramma) non ingeneri stress nell’atleta, il quale, al contrario, è spesso il primo a voler confermare con ulteriori esami strumentali il proprio stato di salute e la propria idoneità5. Per questi stessi motivi anche le potenziali implicazioni di carattere filosofico ed economico sulla libertà personale e sulla negazione di carriere sportive spesso altamente remunerative, vengono meno se si considera che una non idoneità in età giovanile e pre-professionistica permette ai ragazzi di perseguire altri obiettivi personali ed altri percorsi di studio e professionali. Non dimentichiamo che in Italia, dopo l’abolizione della visita di leva, per molti ragazzi l’inizio di un’attività sportiva è spesso la prima occasione per sottoporsi ad un ECG in età post-pediatrica.
Altra critica mossa al sistema italiano è quella dei costi, soprattutto in periodo di crisi economica globale. Esistono vari studi che hanno valutato e confermato la sostenibilità del sistema italiano, ma piuttosto che riprendere le cifre di questi lavori ci sembra più intuitivo un altro tipo di approccio. Consideriamo, riferendoci ad un’aspettativa di vita normale, che ogni morte improvvisa nello sport prevenuta o scongiurata equivalga a circa 50 anni di vita salvati. Se consideriamo che negli Stati Uniti ogni anno avvengono circa 100 morti improvvise nello sport, prevenirle significherebbe salvare circa 5000 anni di vita. Viene spontaneo pensare a quanti, dei defibrillatori che impiantiamo quotidianamente in pazienti ultrasettantenni, dovrebbero intervenire appropriatamente per avvicinarsi a tale numero di anni-vita salvati. Senza pensare a quanti ECG e visite cardiologiche sarebbe possibile pagare con l’equivalente del costo di un defibrillatore impiantabile, e senza speculare sul “valore” e sulla qualità di vita degli anni-vita eventualmente salvati nei due diversi contesti. A volte il buon senso può essere più utile della statistica, anche in medicina. Ad ulteriore conferma della validità e sostenibilità in termini di costo-efficacia del sistema di screening italiano va tenuta presente anche l’adozione di tale modello non solo da parte della Società Europea di Cardiologia, ma anche da parte di CIO, FIFA e UEFA 6, non proprio delle ONLUS ...
Se quindi accettiamo che il sistema di screening italiano è utile ed efficace, resta da chiarire se e come possa essere migliorato affiancando all’ECG altri esami più sofisticati e più accurati. In realtà, per come è strutturato (Figura 1), è il sistema di screening stesso, con la sua efficacia, ad identificare quei casi che veramente meritino esami di secondo livello da eseguire in centri di riferimento. Tale sistema, pertanto, non sembra al momento migliorabile attraverso il ricorso indiscriminato alla tecnologia. Appare quindi ampiamente legittimo il richiamo di Alberto Roghi a non cadere nella tentazione di un ricorso massivo e sistematico ad esami di secondo e terzo livello. L’esempio desunto dalla sua esperienza personale riguardo alla richiesta di risonanze magnetiche cardiache nel sospetto di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro in soggetti con extrasistolia ventricolare è illuminante. Se si considera che, con i suoi limiti attuali, la risonanza magnetica cardiaca ha una scarsa sensibilità e specificità diagnostica per questa patologia, si comprende appieno come una scarsa conoscenza delle patologie e delle informazioni che un esame può offrire, così come un atteggiamento difensivista, possano portare all’abuso di una metodica ancora costosa e non facilmente accessibile in termini di screening.



Cercare di migliorare la prevenzione della morte improvvisa negli atleti, potenziando in senso tecnologico il sistema di screening, non appare quindi razionale né da un punto di vista scientifico, né da un punto di vista economico. È però vero che ogni sistema di screening può identificare molti, in alcuni casi moltissimi, ma mai tutti i soggetti a rischio. Sono infatti descritti casi nei quali la valutazione pre-partecipazione non aveva evidenziato la cardiomiopatia aritmogena diagnosticata in sede autoptica. Occorre quindi perfezionare le nostre capacità di intervento quando ci troviamo di fronte ai casi “sfuggiti” allo screening pre-partecipazione. È allora pienamente condivisibile l’invito di Roghi a destinare le poche risorse oggi disponibili al miglioramento ed alla diffusione dei protocolli e degli algoritmi di defibrillazione precoce e rianimazione anche tra il personale non sanitario che partecipi a vario titolo agli eventi sportivi. In questo senso una maggior diffusione dei defibrillatori semiautomatici e l’addestramento al loro utilizzo di una più ampia popolazione di addetti sanitari e non, può rappresentare un’arma importante da affiancare allo screening pre-partecipazione nella lotta alla morte improvvisa nello sport e nel giovane in generale. Il recente decreto legge “Balduzzi” sulla Sanità, sembra fortunatamente andare in questa direzione 7.
Il Comitato Editoriale
del Giornale Italiano di Cardiologia
BIBLIOGRAFIA
1. Corrado D, Schmied C, Basso C, et al. Risk of sports: do we need a pre-participation screening for competitive and leisure athletes? Eur Heart J 2011;32:934-44.
2. Steinvil A, Chundadze T, Zeltser D, et al. Mandatory electrocardiographic screening of athletes to reduce their risk for sudden death: proven fact or wishful thinking? J Am Coll Cardiol 2011,57:1291-6.
3. Corrado D, Pelliccia A, Heidbuchel H, et al.; Sections of Sports Cardiology of the European Association of Cardiovascular Prevention and Rehabilitation. Recommendations for interpretation of 12-lead electrocardiogram in the athlete. Eur Heart J 2010;31:243-59.
4. Magalski A, McCoy M, Zabel M, et al. Cardiovascular screening with electrocardiography and echocardiography in collegiate athletes. Am J Med 2011;124:511-8.
5. Solberg EE, Bjornstad TH, Andersen TE, Ekeberg O. Cardiovascular pre-participation screening does not distress professional football players. Eur J Prev Cardiol 2012;19:571-7.
6. Dvorak J, Grimm K, Schmied C, Junge A. Feasibility of precompetition medical assessment at FIFA World Cups for female youth players. Br J Sports Med 2012;46:1132-3.
7. Sanità, via libera al decreto Balduzzi. Distanza ridotta tra scuole e sale giochi. http://www.repubblica.it/politica/2012/09/05/news/ salute_novit_dl_balduzzi-42006511 [ultimo accesso 19 novembre 2012].