In questo numero

processo ai grandi trial




Lo studio ARCTIC: freddo polare per il monitoraggio dell’inibizione piastrinica?
La variabilità di risposta interindividuale alla terapia antiaggregante piastrinica orale è un dato ormai acquisito. Numerosi studi hanno documentato che la presenza di un’elevata reattività piastrinica durante il trattamento con clopidogrel (high on-treatment platelet reactivity, HTPR) è foriera di un’incidenza significativamente maggiore di eventi avversi cardiovascolari durante il follow-up. Ne è scaturita l’ipotesi che il monitoraggio dell’inibizione piastrinica, con l’eventuale conseguente adeguamento della terapia per ottenere un’inibizione piastrinica maggiormente efficace, possa rappresentare un mezzo per migliorare la prognosi dei pazienti con malattia coronarica, in particolar modo in coloro con sindrome coronarica acuta e/o avviati ad angioplastica con impianto di stent. Il mezzo è fornito dalla disponibilità di test ambulatoriali/ bedside di misurazione dell’inibizione piastrinica.
Lo studio ARCTIC si inserisce in questo filone di ricerca ma sembra portare una (ennesima) ventata di freddo polare sui fautori della terapia antipiastrinica personalizzata. Il monitoraggio della terapia antipiastrinica prima della procedura, a 14 e 30 giorni e le conseguenti variazioni farmacologiche ottenevano certamente un miglioramento significativo dell’inibizione piastrinica nei pazienti con HTPR, ma questo non si associava ad alcun vantaggio prognostico. Abbiamo chiesto a due autorevoli esperti di terapia antitrombotica, Carlo Cattaneo e Filippo Ottani, un’interpretazione dei risultati di questo studio anche alla luce delle informazioni ottenute dagli studi precedenti. Due analisi lucide, lineari, molto interessanti e sostanzialmente concordanti ... con alcuni piccole differenze. •




Lo studio WOEST: come finisce una partita dispari?

Storicamente l’aspirina è sempre stata considerata una pietra miliare della terapia antitrombotica e gli studi in questo ambito sono quindi stati disegnati aggiungendo altri farmaci ad essa. Ma cosa succede se si toglie l’aspirina, come si comportano i nuovi farmaci antitrombotici senza? Un terreno ignoto è rappresentato dal trattamento di pazienti con indicazioni alla terapia anticoagulante orale (TAO) sottoposti ad angioplastica coronarica (PTCA), situazione di difficile gestione clinica in quanto al giorno d’oggi le linee guida di fatto impongono una triplice terapia antitrombotica (aspirina-clopidogrel-warfarin) non esistendo studi prospettici focalizzati su questo tipo di popolazione.
Gli sperimentatori del WOEST per primi hanno esplorato questo campo, randomizzando 573 pazienti con indicazione alla TAO e sottoposti a PTCA a triplice o duplice terapia (warfarin e clopidogrel). L’ipotesi dello studio era che la triplice terapia antitrombotica sarebbe stata associata ad un alto tasso di complicanze emorragiche e che forse, riducendo uno di questi tre farmaci, si sarebbero ridotti i sanguinamenti senza pagare un prezzo dal punto di vista dell’ischemia. L’endpoint primario dello studio, la sicurezza, ovvero i sanguinamenti secondo la classificazione TIMI ad 1 anno sono stati drammaticamente ridotti a favore della duplice terapia con una riduzione maggiore del 50% del rischio relativo. Ma la vera sorpresa dello studio è rappresentata dagli eventi ischemici, che costituivano l’endpoint secondario, perché anch’essi sono stati ridotti dalla duplice terapia antitrombotica invece che la triplice e la cosa che ha sorpreso è che la mortalità si è ridotta più del 50%. Si tratta quindi di uno studio che può davvero indicare una nuova strada di trattamento per questi pazienti: lasciar stare l’aspirina e usare un inibitore del recettore piastrinico P2Y 12 associato al warfarin. Lo studio WOEST non fornisce però informazioni circa l’efficacia della duplice terapia sull’incidenza di altri eventi cardiaci avversi, soprattutto la trombosi di stent. Il WOEST apre comunque la strada ad una serie di studi che si pongono il quesito se davvero l’aspirina sia un farmaco contemporaneo e utile nell’ambito delle numerose scelte farmacologiche che abbiamo oggi a disposizione. La partita giocata nello studio WOEST viene commentata da Andrea Rubboli e Ugo Limbruno. •

editoriale




Antialdosteronici e scompenso cardiaco oggi

Incidenza e prevalenza dello scompenso cardiaco sono in continuo aumento. Tra le molte cause di questa “pandemia” si annoverano l’invecchiamento della popolazione e l’aumentata sopravvivenza dopo eventi cardiaci acuti. L’attivazione neurormonale è ormai da anni un importante bersaglio terapeutico, con il risultato di miglioramenti prognostici e della qualità di vita. In questo interessante editoriale, Alessandro Boccanelli et al. delineano il ruolo terapeutico degli antialdosteronici nello scompenso cardiaco, riassumendo razionale, proprietà farmacologiche, risultati clinici, raccomandazioni attuali e prospettive future di impiego di tali farmaci. Un utile compendio per tutti i medici e cardiologi impegnati nell’assistenza di pazienti con scompenso cardiaco. •

rassegne




Interazione farmacologica fra statine e clopidogrel:  
la dura competizione per il citocromo P450
La documentata variabilità nella risposta individuale al clopidogrel è determinata da fattori clinici, cellulari e genetici che ne influenzano il metabolismo. Il clopidogrel è, infatti, un profarmaco reso attivo attraverso un doppio processo di ossidazione epatico che utilizza le vie metaboliche del citocromo P450 e dei suoi isoenzimi. Come sottolineato in questa approfondita rassegna di Mario Leoncini et al., “molti farmaci ad impiego cardiovascolare sono substrati metabolici di questi citocromi e possono ridurre, per inibizione competitiva, l’attivazione del clopidogrel”. Poiché è noto che i pazienti con un’elevata reattività piastrinica durante il trattamento con clopidogrel hanno una prognosi peggiore rispetto a coloro con inibizione piastrinica ottimale, è opportuno identificare questi farmaci ed analizzarne l’interazione farmacodinamica con il clopidogrel ed i possibili risvolti clinici. Molta attenzione è stata finora rivolta all’interazione del clopidogrel con gli inibitori della pompa protonica, in particolare sull’isoenzima CYP2C19, fino ad influenzare pesantemente la pratica clinica anche a fronte di dati scientifici conflittuali. L’interazione con le statine è meno nota e sostanzialmente ancora ignorata sul piano clinico. Gli autori di questa rassegna hanno analizzato dettagliatamente i dati farmacodinamici e clinici disponibili sull’interazione clopidogrel-statine, anch’essa a livello del citocromo P450, illustrando gli effetti potenzialmente differenti di statine lipofiliche, come l’atorvastatina e la simvastatina, o idrofiliche, come la rosuvastatina e la pravastatina, senza trascurare alcune considerazioni pratiche per il cardiologo.  •




Aggiornamenti e prospettive future in tema di cardiopatia reumatica.
Torna una vecchia malattia

Massimo Troisi, affetto da malattia reumatica dall’età di 12 anni, scomparve prematuramente, a 41 anni, il 4 giugno 1994, 12 ore dopo avere terminato le riprese de “Il Postino” che ne rappresenta il testamento morale. A causa dello stato avanzato della malattia cardiaca, Troisi era riuscito a terminare le riprese del film con enorme fatica, facendosi sostituire in alcune scene da una controfigura. Racconta di lui Mario Scarpa (Vite straordinarie del 9 gennaio 2008) «... lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti i costi: tutti gli dicevano ‘ma dai, fai il trapianto e poi lo farai’, e lui diceva ‘No, questo film lo voglio fare con il mio cuore’».
La tematica della cardiopatia reumatica sta tornando all’attenzione della comunità cardiologica italiana. La cardiopatia reumatica era una tra le malattia cardiache più diffuse fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poi in diminuzione, fino agli anni ’80, grazie alla diffusione degli antibiotici e al miglioramento delle condizioni socio-sanitarie. Dal 1980 in poi di nuovo in aumento sia negli Stati Uniti che nei paesi in via di sviluppo (Asia, Africa e Sud-America), dove attualmente rappresenta una delle maggiori cause di mortalità e morbilità in età scolare. Nel mondo intero sono oggi colpiti da cardiopatia reumatica circa 20 milioni di soggetti, con tassi di mortalità di circa 200 000 morti per anno. In molti paesi in via di sviluppo la cardiopatia reumatica rappresenta la principale causa di scompenso cardiaco in età adulta. Nel nostro Paese una fonte di recrudescenza della malattia è rappresentata dalla forte ondata immigratoria. Antonio Grimaldi et al. ci regalano un aggiornamento particolarmente utile sulle problematiche attuali di sanità pubblica che la cardiopatia reumatica comporta e sulle prospettive terapeutiche come quelle della terapia vaccinale su cui attualmente è concentrata la ricerca scientifica. Le forme subcliniche della malattia aprono al tema particolarmente rilevante dello screening ecocardiografico, mediante la standardizzazione dei criteri ecocardiografici oggi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se di difficile praticabilità. Massimo Troisi diceva in “Ricomincio da tre”, suo film del 1981: «Quando c’è l’amore c’è tutto. No ti sbagli, chell’è ‘a salute». •




Le tachicardie sopraventricolari in età pediatrica: da Kent a Kant
“Se c’è un posto dove ci si sente vecchi e inadeguati, spaventati e soli, quello è il pronto soccorso dove giunge un bambino o un ragazzo col cuore che va in fretta. Se c’è una cosa tra le tante che i genitori ricordano dell’esperienza, con sconcerto, è la paura negli occhi dei dottori. La presente rassegna vuole fornire elementi utili alla gestione delle tachicardie sopraventricolari, le aritmie dominanti dell’età pediatrica e giovanile”. Difficile trovare parole migliori di quelle utilizzate dagli stessi autori per introdurre questo articolo. Le aritmie sopraventricolari in età pediatrica sono una realtà di impatto cospicuo, relativamente frequenti e potenzialmente pericolose. Percepita spesso come una terra nullius tra cardiologo e pediatra, certamente non contesa, deve necessariamente essere conosciuta meglio anche dai cardiologi dell’adulto, ai quali compete la gestione nella maggior parte dei casi. Gabriele Bronzetti veste i panni di Cicerone per accompagnarci nel viaggio attraverso un dedalo di vie accessorie, meccanismi elettrofisiologici, sigle esotiche (TRAV, TRNAV, TAE, TAM, JET, WPW e così via), soluzioni terapeutiche. Con il suo inconfondibile stile. •

studio osservazionale




Il consenso informato in Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica: il bambino competente

È attualmente riconosciuto che il consenso del paziente sia l’unico presupposto legittimante l’attività medica. Il declino del paternalismo medico è al tempo stesso causa ed effetto dell’affermarsi del consenso informato in medicina. Punti fondamentali dell’informazione al paziente sono la chiarezza, la necessità di fornire informazioni su ogni possibile alternativa e la quantificazione del rischio. Data la particolare natura del diritto alla salute e del suo esercizio, recentemente la questione del consenso informato è stata estesa ai pazienti considerati incapaci di agire, tra cui i pazienti minorenni. Il problema viene generalmente affrontato ricorrendo all’istituto della rappresentanza legale, il cui titolare è il genitore nel caso del minore. Tale soluzione appare discutibile anche da un punto di vista legale per la recente affermazione della soggettività del minore rispetto al genitore accompagnata dall’attribuzione di diritti fondamentali propri. In base ai principi sanciti dalle più importanti convenzioni internazionali (Convenzione di New York, Convenzione di Strasburgo, Convenzione di Oviedo e Carta di Nizza), i minori non possono più essere considerati solo soggetti totalmente incapaci, individui da proteggere e al posto dei quali prendere tutte le decisioni. Sotto questa prospettiva, il paziente minorenne, in maniera adeguata all’età e alla capacità di comprensione, va informato e accompagnato nella scelta medica come un paziente “capace” di capire e scegliere, senza paternalismi di sorta. Sonia Albanese et al. illustrano il lavoro di ricodifica e l’omologazione del consenso informato in Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica compiuto da un gruppo multidisciplinare, con l’aiuto del Consent Committee Italiano e della supervisione della Società Italiana di Cardiologia Pediatrica e della Sezione Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca. Il lettore del Giornale troverà particolarmente utili le schede tecniche informative elaborate con linguaggio adeguato all’utenza e, in appendice, i modelli di consenso/dissenso informato alle procedure emodinamiche e chirurgiche pediatriche.  •

casi clinici




Un enigma color porpora

Il colore porpora, dal latino “purpura”, è un rosso cupo, dalle origini antiche, estratto da un mollusco, il murice comune (Haustellum brandaris). Spesso il porpora è confuso con il viola, per la traduzione impropria di “purple”, mentre il colore che in lingua inglese corrisponde al vero rosso porpora è il “Tyrian purple” dalla città di Tiro famosa nell’antichità per l’estrazione di questo preziosissimo pigmento.
La sindrome descritta per la prima volta nel 1800 dai medici tedeschi, Eduard Henoch e Johann Schönlein, è una malattia vascolare caratterizzata da depositi di immunocomplessi di IgA nei piccoli vasi a eziologia ancor oggi non nota, che colpisce generalmente bambini di età <10 anni, le cui manifestazioni cardiache sono molto rare. Antonella Bellantoni et al. descrivono il caso di un bambino di 11 anni ricoverato in reparto di pediatria per dolori addominali e articolari, febbre, porpora cutanea delle estremità, segni di flogosi sistemica e di coinvolgimento intestinale. Due settimane prima il bambino aveva presentato un episodio acuto di faringite trattato con amoxicillina. Un leggero aumento del titolo antistreptolisinico suggeriva la presenza di una infezione streptococcica. Non vi era nessun elemento di interessamento cardiaco. Veniva iniziata terapia cortisonica con miglioramento lento ma progressivo della sintomatologia per cui il bambino veniva dimesso dopo pochi giorni. Il bambino però tornava precocemente in ospedale per la comparsa di febbre e dolore toracico irradiato al braccio sinistro con anomalie ECG a sede inferiore non presenti nel precedente ricovero e con ecocardiogramma normale. Il dato clinico di sospetto danno cardiaco veniva confermato da una curva enzimatica con andamento specifico e dalla evoluzione ECG. L’interessamento cardiaco in corso di porpora di Schönlein-Henoch è evenienza molto rara e riconducibile a vasculite coronarica con possibile interessamento microvascolare. Gli autori sollevano anche il dubbio su un possibile ruolo concausale della terapia corticosteroidea. La rarità del caso pone problemi importanti dal punto di vista prognostico: un enigma color porpora! •




Quando l’assistenza meccanica è in rete

Isidoro Di Bella et al. descrivono il caso di un paziente maschio di 59 anni, con quadro di shock cardiogeno secondario ad infarto miocardico anteriore esteso trattato con angioplastica coronarica (PTCA) e stent dell’arteria interventricolare anteriore in malattia coronarica multivasale con occlusione di ramo marginale e della coronaria destra. Dato il deterioramento emodinamico irreversibile nonostante supporto inotropo e contropulsazione intraortica, viene impiantato, in terapia intensiva, un sistema di ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO) veno-arterioso femoro-femorale che permette di effettuare, successivamente, una rivascolarizzazione percutanea completa mediante PTCA/stent sugli altri due vasi. Nonostante questo però il quadro emodinamico del paziente non recupera e si pone indicazione al trapianto cardiaco e al trasferimento urgente ad un centro trapiantologico, procedura notevolmente complessa per le problematiche di gestione dell’ECMO durante il trasporto. Prima del trasferimento il paziente viene pertanto stabilizzato mediante passaggio da ECMO a dispositivo di assistenza ventricolare sinistra (LVAD) paracorporeo impiegando la stessa pompa e lo stesso ossigenatore. Con questo supporto il paziente è stato quindi agevolmente trasferito presso il centro trapiantologico di riferimento. Presso il centro Hub dopo alcuni giorni, per l’impossibilità di reperire un organo e, dato il recupero della funzionalità ventricolare destra, veniva impiantato un LVAD intratoracico in attesa di trapianto cardiaco. Si tratta di una esperienza unica che apre diversi spunti di riflessione circa la gestione di pazienti con shock cardiogeno refrattario in centri cardiochirurgici non trapiantologici. •