In questo numero
processo ai grandi trial
 
Alleviare il lato amaro del diabete: lo studio TERISA
Il paziente con diabete mellito di tipo 2 è notoriamente a rischio di sviluppare una coronaropatia che è spesso più aggressiva e diffusa di quella dei pazienti euglicemici. Purtroppo, la necessità di una terapia farmacologica dell’angina cronica stabile nei diabetici si scontra con lo sfavorevole profilo glicometabolico associato ad alcuni degli agenti più utilizzati, quali betabloccanti, calcioantagonisti e forse perfino le statine. Per questo è stata accolta con molto favore, pur restando misteriosa nei meccanismi, l’osservazione che la ranolazina è in grado di ridurre la glicemia a digiuno e la concentrazione di emoglobina glicata nei diabetici di tipo 2. Nell’ampio spettro funzionale di questo farmaco dalle capacità antischemiche, antiaritmiche e lusitrope, un’azione favorevole sul diabete era un dato troppo ghiotto per non essere sfruttato in clinica testandone l’efficacia in un sottogruppo di pazienti così difficile da trattare, e spesso non passibile di rivascolarizzazione percutanea o chirurgica. Da qui nasce il TERISA (Type 2 diabetes Evaluation of Ranolazine In Subjects with chronic stable Angina), il primo studio a valutare prospetticamente l’utilizzo della ranolazina in una coorte di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 ed angina cronica stabile. Di fatto, il farmaco ha mantenuto la promessa di ridurre il numero di episodi anginosi e l’uso dei nitrati, con efficacia tanto maggiore quanto più erano elevati i livelli basali di emoglobina glicata (anch’essa significativamente ridotta nel braccio in trattamento). Maurizio Galderisi e Antonio Mafrici ci guidano attraverso i risvolti metodologici, i presupposti fisiopatologici e i risultati clinici di questo importante studio dal sapore dolceamaro. •
 
Lo studio PRATO-ACS: può la rosuvastatina ad alte dosi ridurre l’incidenza di CIN?
La recente pubblicazione dello studio PRATO-ACS rinnova l’interesse per la prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto (CIN) nel corso di procedure diagnostiche e/o interventistiche con impiego di mezzi di contrasto iodati. In questo studio su pazienti con sindrome coronarica acuta avviati ad una strategia precocemente invasiva, è stato infatti valutato l’effetto di alte dosi di rosuvastatina somministrate durante l’ospedalizzazione sulla prevenzione della CIN. In confronto ai pazienti che nel corso del ricovero non venivano trattati con statine, i pazienti trattati con alte dosi di rosuvastatina presentavano un’incidenza significativamente minore di CIN, affiancata da un’interessante riduzione, ai limiti della significatività statistica, degli eventi ischemici a breve termine. In questo numero del Giornale i risultati dello studio PRATO-ACS sono commentati da Giancarlo Marenzi e Carlo Briguori. Il primo offre una disamina puntuale degli studi che hanno indagato l’effetto delle statine nella prevenzione del danno renale da contrasto, di ciò che questo studio aggiunge alle nostre conoscenze in materia e fornisce una chiave di lettura per interpretare i risultati apparentemente incongruenti dei diversi studi. Carlo Briguori richiama l’attenzione sulla prevenzione del danno renale da contrasto nel suo complesso, riassumendo i principali presidi a disposizione e contestualizzando l’impiego di statine in generale ed i risultati di questo studio in particolare, nel panorama complessivo della prevenzione della CIN. •
rassegne
 
Dalla teoria umorale ai biomarcatori umorali nello scompenso cardiaco: la cardiologia moderna nel solco Ippocratico
Nel V secolo a.C. Ippocrate elaborava la teoria umorale secondo la quale il buon funzionamento dell’organismo umano dipenderebbe dall’equilibrio dei quattro umori base in esso presenti: bile nera corrispondente alla terra e localizzata nella milza, bile gialla corrispondente al fuoco e localizzata nel fegato, flegma corrispondente all’acqua e localizzata nella testa, sangue corrispondente all’aria e localizzato nel cuore. La prevalenza di uno dei quattro umori determinava non solo il temperamento della persona ma era anche alla base dei diversi stati di malattia. Dopo circa 2500 anni di progresso scientifico e tecnologico, la scienza medica, iniziata proprio con Ippocrate, è ancora in un certo senso concentrata a studiare gli umori, intesi oggi come marker bioumorali, ossia sostanze la cui concentrazione nel sangue è indicativa di presenza e severità di malattia, risposta alla terapia e prognosi. In ambito cardiologico, negli ultimi decenni alcuni biomarcatori umorali hanno assunto un ruolo importante nella diagnosi e nella gestione clinica del paziente con scompenso cardiaco. Nella loro dettagliata rassegna, Michele Emdin et al. descrivono le caratteristiche del biomarcatore ideale ed offrono una visione precisa e completa delle principali molecole oggi utilizzate nella gestione del paziente con scompenso cardiaco, evidenziandone presupposti fisiopatologici ed evidenze cliniche. L’articolo si chiude con un cenno ai nuovi potenziali biomarcatori rappresentati principalmente da molecole coinvolte nella regolazione neuroumorale e nella risposta immune ed infiammatoria. E pensare che in origine erano quattro umori ...  •
 
E pur si muove! Quando la troponina aumenta, il tratto ST sale ma le coronarie sono normali ...
Se non siete cardiologi interventisti, avrete ben presente l’espressione con cui il vostro collega reperibile chiamato in piena notte per una sindrome coronarica acuta, pronuncia le parole “coronarie normali”. Un misto di disappunto, di mani che prudono per non aver gonfiato il pallone, di sensazione di essere stato un po’ fregato da quel paziente che eppure ha avuto dolore e da quel tratto ST che in effetti è sopraslivellato. In effetti, l’infarto miocardico acuto a coronarie normali, anche in virtù delle più recenti definizioni di infarto e dell’estrema sensibilità dei nuovi marcatori di danno miocardico, rappresenta un importante sottogruppo di pazienti con infarto la cui prevalenza varia dal 5% al 25%. Numeri e soprattutto pazienti con i quali dovranno confrontarsi nei prossimi anni i cardiologi sia nelle terapie intensive che nelle sale di emodinamica. È quindi proprio un cardiologo interventista, Giampaolo Niccoli, che in questa elegante rassegna ci illustra le sfaccettature fisiopatologiche, l’approccio diagnostico e le importanti implicazioni terapeutiche e prognostiche di quella che rappresenta più propriamente una sindrome, cui appartengono entità cliniche eterogenee con differenti meccanismi patogenetici ad eziologia coronarica epicardica, microvascolare, miocardica. •
casi clinici
 
Ruolo decisionale della diagnostica per immagini: un caso di sindrome aortica acuta ed uno di endocardite murale del ventricolo destro
Per la sezione dedicata ai Casi Clinici, questo numero presenta due ottimi esempi di come la diagnostica strumentale possa e debba rappresentare un naturale completamento del ragionamento clinico, invece di sostituirlo. Nel primo, Andrea Sonaglioni et al. ci presentano una donna con dolore toracico retrosternale acuto e un ECG suggestivo per pericardite. La presenza di slargamento mediastinico alla radiografia del torace e di un D-dimero elevato suggeriscono tuttavia una diagnosi diversa. Un ecocardiogramma transtotoracico in Pronto Soccorso evidenzia una iniziale dissecazione di un’aorta ascendente aneurismatica, a partenza da un’ulcera penetrante della parete con ematoma intramurale. Il completamento dell’esame con approccio transesofageo consente inoltre di stabilire con sicurezza la sede e il meccanismo della dissezione e di indirizzare la terapia chirurgica senza bisogno di ulteriori accertamenti.
Nel secondo caso, Maria Cristina Baratella et al. ci propongono un giovane uomo con quadro di sepsi, una storia di abuso di stupefacenti e una inquietante massa nel ventricolo destro. La presenza di emocolture positive per Staphylococcus hominis indirizza fortemente il sospetto clinico verso una vegetazione. Tuttavia, l’assenza di un chiaro coinvolgimento valvolare pone un problema di diagnosi differenziale con una genesi neoplastica o trombotica, per la quale l’esame ecocardiografico non è dirimente. Sarà la risonanza magnetica, sulla base delle caratteristiche tissutali e di perfusione della massa, ad indirizzare verso una diagnosi di endocardite murale, confermata dal successivo decorso clinico.  •
position paper
 
Documento ANMCO/SICI-GISE sulla terapia antiaggregante nelle SCA
Negli ultimi anni nuove terapie antiaggreganti innovative ed efficaci, supportate da forti evidenze, hanno contribuito a ridurre progressivamente gli eventi ischemici avversi a breve e lungo termine dei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta (SCA). Tuttavia, questo nuovo patrimonio farmacologico, anche alla luce dei dati di sicurezza in alcuni sottogruppi ed alla valutazione dei costi, può indurre un disorientamento sul corretto impiego di questi agenti nei pazienti con molteplici comorbilità e differenti profili di rischio ischemico ed emorragico che comunemente trattiamo nella pratica clinica. Basti pensare che in base alla tempistica, al dosaggio e all’associazione degli agenti antitrombotici disponibili si stimano migliaia di possibili combinazioni farmacologiche la cui sicurezza ed efficacia sono per lo più basate sul buon senso clinico e sulla plausibilità biologica, spesso in assenza di dati scientifici dedicati.
Il presente documento intersocietario è frutto di un incontro tenutosi a Firenze il 12 e 13 marzo 2013, ove sono stati invitati circa 80 esperti sulla terapia antiaggregante nelle SCA. Dopo aver selezionato 10 sottogruppi di pazienti, sono state ampiamente discusse le evidenze disponibili per ogni antiaggregante (endovenoso o orale) ed attribuito un punteggio (da 0 a 3) sulla qualità scientifica dei dati presentati per ogni singola molecola. La finalità di questo documento è quindi di riassumere e mettere ordine alla messe di dati recentemente pubblicata sulla terapia antiaggregante attualmente in commercio ed impiegata nella fase intraospedaliera delle SCA, cercando di evidenziare per ogni singola molecola o classe di farmaci e per ogni sottogruppo di pazienti selezionato, le chiare evidenze che rasserenano nella scelta o le ombrose incertezze ove ulteriori studi sono auspicabili.  •
 
La cardiologia del futuro sarà digitale anche in Italia? Documento dell’Area “e-cardio” dell’ANMCO
La progressiva informatizzazione e tecnologicizzazione della società moderna non può non coinvolgere anche gli aspetti che riguardano la salute dei cittadini e quindi la gestione della Sanità. Nel mese di luglio 2012 è stato pubblicato il Progetto “InFSE” per sostenere la costruzione e diffusione di una infrastruttura federata di fascicolo sanitario elettronico (FSE) condivisa a livello nazionale ed allineata allo scenario internazionale. Nella bozza della relazione sullo stato sanitario del Paese del biennio 2011-2013 compare, per la prima volta, l’ Information and Communication Technology (ICT), identificata come strumento per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.
Il documento dell’Area “e-cardio” dell’ANMCO analizza le criticità connesse con l’implementazione dell’ICT in Cardiologia, rendendo pubbliche le esigenze e le proposte in tale ambito della comunità cardiologica. Il documento sottolinea come alcune delle criticità più rilevanti siano riconducibili ad uno scarso coinvolgimento dei clinici rispetto alle figure amministrative, nella selezione e nel processo di creazione e/o miglioramento dei supporti informatici e tecnologici da utilizzare in abito sanitario. Lo sviluppo di supporti tecnologici utili e fruibili da parte del medico e del paziente nell’ambito della Cardiologia italiana rappresenta una sfida dei prossimi anni che necessiterà anche della preparazione in senso tecnologico-informatico delle nuove generazioni di medici.  •