Il Giornale, l’Editor e Don Chisciotte
È stato un privilegio poter servire il Giornale Italiano di Cardiologia per 6 anni. Mi ha concesso la grande opportunità di interagire con una comunità di persone speciali: i membri del comitato editoriale, gli autori, i lettori, i revisori, lo staff della casa editrice. Un’esperienza che ha ripagato ampiamente l’impegno profuso e che costituisce dal punto di vista umano e professionale una ricchezza che custodirò gelosamente per il resto della vita.
Il Giornale ritorna nell’alveo di una delle più importanti e storiche cardiologie italiane, quella del Niguarda. A dirigerlo sarà Maria Frigerio, persona alla quale unanimemente viene riconosciuta la capacità di integrare con grande efficacia e competenza l’attività assistenziale con quella gestionale e di ricerca. Saprà certamente portare il Giornale verso nuovi ed entusiasmanti traguardi.
Nell’accommiatarmi da un’esperienza così ricca e stimolante desidero condividere con i lettori, soprattutto con coloro che hanno saputo usufruire in modo critico ed interattivo dell’informazione scientifica fornita, alcune considerazioni che si sono progressivamente maturate durante la mia attività di direzione del Giornale. In questi anni ho avuto, infatti, l’opportunità di osservare la dinamicità del contesto dell’editoria medica da una prospettiva privilegiata, che mi ha consentito di guardare ai suoi rapporti con la comunità cardiologica, le case editrici e la proprietà del Giornale da un’angolazione mai esplorata.
Già nel lontano 1906 J.H. Salisbury sottolineava come l’influenza delle riviste scientifiche sulla vita professionale e sociale dei medici fosse incomparabile: “L’università si frequenta una volta nella vita, i congressi qualche volta l’anno, ma l’influenza e il supporto dato dalle riviste scientifiche sono un amico sempre presente nel bene e nel male”1. Da quei tempi ad oggi il contesto della comunicazione scientifica si è radicalmente evoluto e soprattutto è diventato altamente competitivo: il numero di riviste mediche aumenta in modo esponenziale ogni anno. Ancor prima che la ricerca medica si espandesse dopo la Seconda Guerra Mondiale Lancet si riferiva al proliferare delle riviste mediche come ad un “journalistic blastoma”. Parallelamente, la frequentazione della letteratura scientifica da parte del medico si è andata progressivamente affievolendo: si scrive molto di più rispetto al passato e si legge molto di meno. Non è sorprendente che molte riviste siano scomparse e che molte lottino per riaffermare o conservare un proprio ruolo. D’altra parte le nuove tecnologie della comunicazione scientifica rendono sempre più indeterminato il ruolo delle riviste scientifiche. Basti pensare alle riviste open access che deliberatamente contrastano la programmazione editoriale tradizionale, riducono l’impegno economico della rivista caricando i costi di produzione sugli autori, con l’obiettivo di rendere i risultati della ricerca più facilmente condivisibili. Rimane il problema del controllo di qualità dei dati pubblicati. Aspetto non secondario, come evidenziato da una recente provocatoria iniziativa di un redattore di Science che ha sottomesso un articolo, del tutto falso ed improbabile sulle proprietà antitumorali di una fantomatica sostanza chimica estratta dal lichene, in 304 versioni ad altrettante riviste open access. È stato accettato in oltre la metà di esse! Vale la pena leggere l’intera storia dall’inizio alla fine2.



In questo contesto così competitivo quale può essere il ruolo di una rivista scientifica a carattere nazionale? Questa problematica mi era ben presente quando assunsi la responsabilità del Giornale Italiano di Cardiologia. L’esplosione della conoscenza scientifica insieme alla travolgente diffusione delle sottospecialità in medicina cardiovascolare rendeva criticamente importante la scelta di quali dati ed in che forma dovessero essere presentati ad uno specialista sempre più impegnato ed affaccendato nel proprio ambito professionale e soprattutto come questi dati potessero essere adattati al contesto nazionale. La forza principale del Giornale è la sua diffusione: 6000 cardiologi e cultori della medicina cardiovascolare ricevono la rivista. Questo dato poneva da solo molte sfide ed opportunità. Insieme al comitato editoriale ho tentato di esplorare nuove modalità di comunicazione per soddisfare le necessità dei lettori e degli autori, in modo da dar loro il massimo ritorno per il tempo investito nella rivista, cercando di fare del Giornale uno strumento nuovo e migliore al servizio della comunità cardiologica italiana: un umile, ambizioso catalizzatore di formazione, educazione ed esperienze scientifiche. Abbiamo soddisfatto queste aspettative? Ovviamente non spetta a noi la risposta. Generalmente la forza di una rivista si esprime utilizzando numerosi indici bibliometrici inevitabilmente non applicabili ad una rivista in lingua italiana priva di impact factor. Tuttavia vi sono alcuni grossolani indici quantitativi che quantomeno possono rappresentare un momento di riflessione. Gli accessi al sito web del Giornale sono passati da 3925 nel 2008 a 43 211 nel gennaio 2013, a testimoniare almeno un rinnovato interesse nei confronti della rivista.
L’editoria scientifica non è solo e semplicemente uno strumento di disseminazione di nuove conoscenze nei confini, sempre mal delimitabili, fra teoria e pratica medica. Essa esercita un ruolo più nascosto, ma non meno cruciale: delinea l’appropriato dominio della conoscenza medica e della pratica clinica. Nel selezionare i manoscritti e le tematiche da pubblicare, gli editor esercitano un potere di discernimento di ciò che i medici e gli amministratori della sanità pubblica dovrebbero conoscere. Inoltre, mediando fra la scienza biomedica e il contesto socio-sanitario, le riviste mediche affermano un altro ruolo non sempre ben compreso: delineano la professione medica come un contesto sociale ed etico al tempo stesso. Una grande responsabilità di cui ci siamo resi progressivamente conto e che ha costantemente pesato sulle nostre scelte editoriali.
Infine il problema dell’indipendenza editoriale. “Indipendenza”, come “libertà”, è una parola profondamente radicata nella storia dell’umanità. Sebbene entrambe evochino emozioni e azioni, le parole di per se stesse sono solo sostantivi intangibili e astratti. La nostra comprensione di queste parole proviene dall’esperienza. Pertanto è altamente probabile che ogni editor, amministratore di casa editrice e proprietario della rivista abbiano diverse prospettive sull’indipendenza editoriale. I proprietari sono attenti ai diritti e responsabilità in ambito legale e a obiettivi corporativi, mentre gli editor sono concentrati sugli autori, i revisori, i comitati editoriali e soprattutto sui lettori interessati. Per un editor la rivista è molto di più di un diritto di proprietà, è un concentrato di idee. La caratteristica peculiare per definire un editor è l’idealismo donchisciottesco, una caratteristica che rende molto nervosi i proprietari delle riviste scientifiche. John ­Hoey, editor del Canadian Medical Association Journal, ben prima che fosse licenziato nel 2006 dalla medesima associazione scientifica che serviva da 10 anni, scriveva “The dissemination of medical science is, or should be, ultimately a humanitarian project, and not merely the special preserve of professional associations3. Sono diventate un numero sparuto le riviste la cui proprietà è un’associazione scientifica. A questa ristretta cerchia appartiene anche il Giornale Italiano di Cardiologia. È una relazione speciale quella fra un’associazione e una rivista scientifica. Produrre un giornale da parte di una società scientifica rappresenta la più nobile attività educazionale che essa possa fornire ai propri membri. Cionondimeno, negli ultimi 15 anni non sono state infrequenti le tensioni fra editor e società scientifiche e hanno portato ad un traumatico ricambio editoriale nel JAMA4, nel New England Journal of Medicine5 e nel Canadian Medical Association Journal6.
Anche noi abbiamo cercato di rendere nella quotidiana esperienza meno astratta la parola “indipendenza”. La trasparenza, l’obiettività e l’indipendenza del processo editoriale sono state la priorità del Giornale cui quotidianamente abbiamo aspirato ben consapevoli di essere stati ben lontani dalla perfezione. Al momento del rinnovo della mia carica di Editor del Giornale insieme al comitato editoriale dedicai il frontespizio del fascicolo alla copertina di Camera Work. Camera Work è stato un movimento ed una rivista fondata negli Stati Uniti da Alfred Stieglitz. Il primo numero della rivista Camera Work esce nel 1903 a New York e nell’arco dei quattordici anni di attività pubblica 50 numeri ricchi di saggi filosofici e poesie, di opere pittoriche e fotografiche. Nel primo numero della pubblicazione trimestrale del 1903 compare la frase che chiarisce al pubblico le intenzioni del suo fondatore: “Rivista senza ‘Se’, coraggiosa, indipendente, imparziale”. A questo motto abbiamo voluto ispirarci, con rispetto e pervicacia, non senza aver pagato un prezzo a livello personale, ma con la speranza che la comunità cardiologica ci abbia seguito con passione in questo viaggio.
Non posso terminare queste brevi considerazioni senza alcuni sinceri e per nulla rituali ringraziamenti. Vi sono molte persone, infatti, verso le quali sono debitore per l’aiuto ed il supporto concessomi in tutti questi anni. Innanzitutto i membri del comitato editoriale che indefessamente, con grande competenza hanno dedicato molta parte del loro tempo prezioso alla rivista, rappresentando il vero motore di tutto quello di buono che il Giornale ha saputo esprimere in questi anni. Non potrò mai dimenticare il clima e la tensione intellettuale che hanno contraddistinto le nostre riunioni mensili. Tutto il nostro lavoro non avrebbe preso forma senza la disponibilità, lo spirito di servizio e la competenza della dr.ssa Paola Luciolli che ha saputo in ogni momento integrare al meglio le esigenze redazionali con quelle scientifiche contribuendo in modo esemplare al processo editoriale di ogni singolo manoscritto. Ringrazio, infine, il dr. Luca De Fiore, Direttore Generale del Pensiero Scientifico Editore, che con il suo caratteristico approccio, insieme passionale e competente, alla programmazione editoriale ha cercato di mantenere inalterata la rotta nonostante i radicali cambiamenti che hanno sconvolto l’editoria specialistica, garantendo sempre l’interesse del lettore rispetto alle attese economiche, nobilitando con la sua visione il Giornale e fornendo un prodotto ben disegnato, dalla grafica elegante e fruibile. Lavorare con tutte queste persone è stato per me un onore. Mi mancheranno!
Leonardo Bolognese
Past Editor
BIBLIOGRAFIA
1.?Salisbury JH. The subordination of medical journals to proprietary interests. JAMA 1906;46:1337-8.
2.?Bohannon J. Who’s afraid of peer review? Science 2013;342:60-5.
3.?Hoey J, Caplan CE, Elmslie T, et al. Science, sex and semantics: the firing of George Lundberg. CMAJ 1999;160: 507-8.
4.?Kassirer JP. Editorial independence. N Engl J Med 1999;340:1671-2.
5.?Angell M. The Journal and its owner - resolving the crisis. N Engl J Med 1999;341:752.
6.?Hoey J. Editorial independence and the Canadian Medical Association Journal. N Engl J Med 2006;354:1982-3.