In questo numero

processo ai grandi trial




La pericardite acuta idiopatica.
Una patologia benigna ma sottovalutata
La pericardite acuta è una malattia comune con la quale ogni cardiologo, prima o poi, si trova a dover fare i conti. Nella maggior parte dei casi, questa è una patologia benigna. Proprio per questo motivo è spesso sottovalutata: i pazienti vengono trattati ancora in maniera inadeguata o empirica e risulta poi difficile da gestire per la sua spiccata tendenza a recidivare dopo il primo approccio terapeutico. Lo studio ICAP è il primo trial randomizzato, multicentrico, a doppio cieco, sull’efficacia della colchicina nel trattamento di prima linea della pericardite acuta idiopatica e non idiopatica e nella prevenzione delle sue recidive. Come sottolineano Giuseppe Cacciatore, Renzo Marcolongo e Marco Gazzola, sebbene rimangano ancora molti punti aperti, tra cui il dosaggio ottimale del farmaco, la durata del trattamento, le controindicazioni del suo utilizzo in pazienti con insufficienza renale o epatica o con malattie muscolari ed intestinali, lo studio ICAP rappresenta la più forte evidenza sino ad oggi acquisita nel trattamento di questa patologia. •




Attenzione ai reni!

Lo studio POSEIDON pone l’attenzione del cardiologo (sia clinico che interventista) sul problema spesso sottovalutato del deterioramento della funzione renale indotto dal mezzo di contrasto iodato, utilizzato durante le procedure cardiologiche diagnostiche e/o interventistiche. Garantire un’adeguata idratazione periprocedurale è fondamentale per prevenire la nefropatia da mezzo di contrasto, ma è purtroppo ancora irrisolto il problema di quale sia l’idratazione “ottimale”. Lo studio POSEIDON si inserisce in questo contesto e tenta di rispondere alla domanda se sia possibile idratare con maggior intensità rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida e, quindi, proteggere di più, i pazienti ad alto rischio. Come ci spiegano Carlo Briguori, Giovanni Napolitano e Giancarlo Marenzi, lo studio conferma il concetto, già noto in letteratura, che il grado di idratazione di un paziente deve essere proporzionato al suo rischio di base e che l’incremento della volemia riduce l’incidenza di nefropatia da contrasto e migliora l’outcome clinico a distanza. Purtroppo non esiste un parametro clinico o bioumorale che ci consenta di personalizzare il grado di idratazione per ogni singolo paziente in modo da poter garantire a ciascuno, in condizioni di sicurezza, la miglior protezione renale possibile.  •

point break




Fare di più vuol dire fare meglio?
La gestione del dolore toracico in Pronto Soccorso rappresenta ancora una sfida per la medicina moderna sia in termini organizzativi sia economici. Durante la valutazione iniziale, il medico utilizza le metodiche diagnostiche, e in particolare quelle di imaging, non solo secondo la propria expertise o le linee guida ma anche secondo la disponibilità offerta dalla struttura sanitaria in cui opera. Tutto ciò determina grande variabilità sia tra gli operatori della stessa struttura sanitaria che tra diverse strutture con vari livelli di inappropriatezza e spreco di risorse sia umane che economiche. Safavi et al., in un lavoro da poco pubblicato su JAMA, si sono posti l’obiettivo di studiare le differenze tra gli ospedali nell’utilizzo di imaging non invasivo nella valutazione iniziale di pazienti con sospetta ischemia miocardica. La ricerca mostra che nelle strutture che più utilizzano l’imaging non invasivo (eco-stress o scintigrafia miocardica) questo è spesso associato ad una successiva coronarografia che però poi determina solo un piccolo numero di rivascolarizzazioni e non riduce il numero di riammissioni per infarto miocardico acuto nel follow-up. I risultati non forniscono quindi una risposta definitiva, ma, come dicono Marco Bobbio e Paolo Trambaiolo, vanno comunque presi in considerazione come un segnale della futilità di troppi accertamenti e come stimolo per non lasciarsi trascinare dal desiderio di fare di più, convinti che sia sempre meglio, mentre in molti casi non serve a nulla (a parte uno spreco di risorse). •

al fondo del cuore




I meccanismi molecolari nella sindrome di Marfan
In questa rassegna Cinzia Perrino et al. ci presentano i modelli animali maggiormente utilizzati per studiare i meccanismi molecolari coinvolti nella sindrome di Marfan ed i principali interventi farmacologici efficaci nel rallentamento della progressione della dilatazione aortica in questi pazienti. In effetti, benché sia noto da lungo tempo ai cardiologi che la mutazione responsabile della patologia coinvolge il gene FBN1 e causa di alterazioni della fibrillina-1, solo recentemente è stata riconosciuta l’importanza fondamentale del segnale mediato dal fattore di crescita trasformante-β (transforming growth factor-β, TGFβ) e dei suoi recettori nella regolazione delle cellule della parete vascolare e la capacità degli antagonisti del recettore di tipo 1 dell’angiotensina II (AT1) nel prevenire l’attivazione di tale via di segnalazione molecolare, ritardando la dilatazione aortica. L’identificazione di alterate vie di segnalazione intracellulare in modelli sperimentali di sindrome di Marfan ci consente non solo di ampliare le conoscenze fisiopatologiche su tale malattia e di spiegare, almeno in parte, la sua grande variabilità clinica, ma anche di utilizzare in modo appropriato farmaci già noti in campo cardiovascolare, in attesa di una eventuale terapia genica o cellulare.  •

rassegne




Un po’ più di attenzione alla tricuspide
In questa rassegna Diego Bellavia et al. ci ricordano che l’insufficienza tricuspidale, pur essendo un reperto tutt’altro che raro, è stata per diversi anni poco studiata ed ha rappresentato in un certo senso la Cenerentola delle valvulopatie. Solo recentemente, grazie alle nuove metodiche di imaging (soprattutto l’ecocardiografia tridimensionale), ne sono stati approfonditi gli aspetti fisiopatologici e clinici. L’insufficienza tricuspidale funzionale, causata da un aumento del postcarico ventricolare destro, si associa a differenti condizioni patologiche quali le fasi avanzate delle valvulopatie delle cardiomiopatie del cuore sinistro, l’ipertensione polmonare e diverse malattie polmonari. L’insufficienza tricuspidale funzionale è un predittore prognostico negativo indipendente sia nella popolazione generale che nello scompenso cardiaco. In diverse forme di insufficienza tricuspidale, soprattutto quelle associate a valvulopatie sinistre, il trattamento chirurgico di riparazione valvolare è l’unica terapia efficace ed è una strategia praticabile con rischi accettabili. In accordo con questi dati, le più recenti linee guida europee e statunitensi hanno notevolmente esteso le indicazioni alla chirurgia della valvola tricuspide, rivalutando l’anuloplastica tricuspidale e ribaltando le precedenti convinzioni che le procedure chirurgiche sulla tricuspide sono ad alto rischio e che il difetto tricuspidale regredisce dopo aver corretto la valvulopatia sinistra. •




Un po’ più di attenzione anche al ventricolo destro

Manlio Cipriani et al. hanno preparato una esaustiva rassegna sul ventricolo destro, camera trascurata dal punto di vista diagnostico per lunghi periodi della storia clinica e dell’iter terapeutico dell’insufficienza cardiaca, ed ancora oggi troppo spesso considerato il fratello minore nella valutazione della funzione cardiaca. L’efficacia di un trattamento si misura spesso solo con dati di funzione ventricolare sinistra, dimenticando gli stretti rapporti tra le due camere cardiache e la loro interdipendenza. Gran parte del rinnovato interesse per il ventricolo destro deriva dallo sviluppo delle assistenze meccaniche al circolo per il trattamento dei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata. Questi dispositivi sono in grado di vicariare la disfunzione sinistra, ma in alcuni pazienti può persistere e/o riemergere un quadro di insufficienza cardiaca secondario alla concomitante disfunzione del cuore destro. Il danno d’organo epato-renale, che può talvolta essere presente nell’insufficienza cardiaca avanzata, rappresenta un elemento di criticità che, se non trattato precocemente e adeguatamente, può rendere vano qualsiasi indirizzo terapeutico. Una valutazione multiparametrica, che valorizzi non solo i dati strumentali ricavabili dall’ecocardiografia e/o dall’emodinamica, ma anche quelli clinici e di funzione d’organo, appare oggi la chiave migliore per interpretare una malattia complessa come la disfunzione della camera cardiaca di destra.  •

documento di consenso
Articolo del mese




La terapia con aspirina nella prevenzione cardiovascolare primaria

Massimo Volpe et al. ci presentano un documento che rivede e discute le evidenze più recenti circa l’uso di aspirina in prevenzione cardiovascolare primaria sul modello di una proposta del Working Group on Thrombosis della Società Europea di Cardiologia, con lo scopo principale di dare raccomandazioni pratiche per il suo uso in questo contesto in Italia. Il documento è stato redatto da rappresentanti delle principali società scientifiche nazionali coinvolte nella prevenzione cardiovascolare. Esiste infatti una notevole incertezza circa l’opportunità di raccomandare l’uso dell’aspirina in prevenzione primaria. In questo contesto, gli studi disponibili hanno sistematicamente valutato solo popolazioni a basso rischio cardiovascolare, non sono stati conclusivi, e le linee guida internazionali divergono ampiamente. In attesa dei risultati dei trial in corso (ce ne sono in corso cinque, che coinvolgono oltre 60 000 uomini e donne ad un livello di rischio cardiovascolare intermedio/alto), il documento supporta un approccio pragmatico, proponendo l’uso dell’aspirina a basse dosi nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari in soggetti di entrambi i sessi ad un livello di rischio di eventi cardiovascolari maggiori (morte, infarto del miocardio e ictus) >2 per 100 soggetti per anno, a condizione che non sussista una chiara evidenza dell’aumentato rischio di sanguinamento (emorragia gastrointestinale o ulcera peptica, uso concomitante di altri farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento) (grado di raccomandazione IIa, livello di evidenza B). L’articolo è offerto alla discussione attraverso la piccola posta (piccolaposta@giornaledicardiologia.it) fino alla fine del mese di settembre. •