In questo numero

processo ai grandi trial




EMBRACE: loop recorder e ictus criptogenetico
Il rischio tromboembolico della fibrillazione atriale (FA) è uno dei problemi più rilevanti della medicina dei paesi occidentali, dove l’ictus rappresenta la terza causa di mortalità e la prima causa di disabilità. L’alta incidenza di FA e l’aumento dell’età media della popolazione stanno trasformando questa aritmia in una vera e propria epidemia. L’identificazione della FA parossistica clinicamente silente rappresenta uno dei principali obiettivi per riuscire a stabilire l’eziologia di molti casi di ictus che rimangono definiti come “criptogenetici”.
Il recente studio EMBRACE, che ha reclutato 572 pazienti senza storia nota di FA e con ictus o TIA di natura da determinare, ha mostrato che il monitoraggio con loop recorder per 30 giorni è in grado di rilevare un numero molto superiore di eventi di FA parossistica rispetto all’Holter delle 24 ore, portando al trattamento con anticoagulanti orali un numero significativamente maggiore di pazienti. Il processo firmato da
Fiorenza Gaita, Matteo Anselmino e Maria Sessa sottolinea l’importanza di questo studio, ma ci aiuta a evidenziarne alcuni lati più deboli. Soprattutto analizzando attentamente le caratteristiche della popolazione di studio e i criteri scelti per la classificazione degli eventi, emergono alcuni spunti molto interessanti per la discussione.




SERAPHIN: una nuova arma contro l’ipertensione arteriosa polmonare?
L’altro grande trial sotto processo questo mese è il SERAPHIN, trial multicentrico di fase III controllato in doppio cieco, che ha valutato gli effetti del macitentan, un nuovo antagonista recettoriale dell’endotelina, nell’ipertensione arteriosa polmonare, malattia rara ma dalla prognosi assolutamente infausta. Questo nuovo farmaco, ottenuto modificando la struttura del bosentan, rispetto al suo predecessore sembra essere dotato di migliore penetrazione tissutale, affinità e durata di legame recettoriale. Michele D’Alto e Patrizio Vitulo ci offrono la loro analisi dello studio, aiutandoci a scrutare oltre i numeri ed i risultati apparenti. I punti di forza dello studio, fra cui la numerosità del campione, la durata, la complessità degli endpoint primari che non si limitano soltanto al miglioramento della distanza percorsa al test del cammino dei 6 minuti (6MWT), vengono evidenziati insieme anche agli aspetti più oscuri, e non sempre facilmente apprezzabili ad una prima lettura. In particolare, è interessante notare che se l’impianto del SERAPHIN fosse stato quello della maggior parte dei trial storici sull’ipertensione arteriosa polmonare, ovvero se l’unico endpoint primario fosse stato il tradizionale 6MWT in monoterapia, i risultati sarebbero stati negativi. D’altra parte la popolazione di studio, rispetto a trial precedenti, includeva soprattutto pazienti con malattia stabile e con andamento meno severo, quindi una popolazione in cui era più difficile dimostrare un beneficio significativo utilizzando un nuovo farmaco, e che spiega almeno in parte lo scarso effetto sulla mortalità. SERAPHIN rimane comunque uno dei trial più solidi sull’ipertensione arteriosa polmonare degli ultimi anni in quanto a disegno sperimentale e numerosità del campione. •

point break




Sincope o pseudosincope?
Tutti sappiamo quanto sia difficile stabilire l’eziologia della sincope, e spesso il cardiologo è coinvolto in prima persona in questa complessa diagnosi differenziale. Sembra che fra le cause di sincope, fino al 12% possano essere attribuite a pseudosincope psicogena, che pure è caratterizzata da perdita del tono posturale e mancata risposta agli stimoli. Nonostante ciò, pochi cardiologi conoscono le caratteristiche della pseudosincope psicogena, in particolare quella senza convulsioni, che come presentazione è molto simile alla sincope vera. Come per ogni diagnosi, anche qui gli aspetti clinici sono fondamentali per un corretto riconoscimento: la costante presenza di audience, la tipica caduta come “frenata” che appare irreale, la lunga durata dell’episodio, gli occhi forzatamente chiusi, possono aiutare a identificare questa condizione. Elisa Favaron e Paolo Alboni discutono il ruolo del tilt test e le caratteristiche della risposta di questi pazienti, caratteristiche che spesso consentono di distinguerli dai pazienti con sincope vasovagale. Viene inoltre approfondita l’altra faccia delle perdite di coscienza transitorie apparenti, ovvero la cataplessia, che è un sintomo di narcolessia, altra patologia sicuramente non fra le più note per noi cardiologi. •




Vitamina D e cuore: una relazione pericolosa
La letteratura scientifica degli ultimi anni ha posto molta attenzione al ruolo della vitamina D in varie patologie croniche, incluse le malattie cardiovascolari. Se per lungo tempo abbiamo considerato soprattutto gli effetti scheletrici della vitamina D, adesso abbiamo iniziato a studiarne gli effetti sui processi cellulari calcio-dipendenti dei cardiomiociti, sulla modulazione del turnover della matrice extracellulare, e il ruolo patogenetico nei processi infiammatori. Forse non sapevamo che la vitamina D catalizza circa il 15% dei miliardi di reazioni biochimiche del nostro organismo; e forse non ricordavamo che solo una piccola percentuale di vitamina D circolante deriva dall’introduzione con la dieta, mentre la maggior parte della sua produzione è determinata dalla sintesi cutanea. L’articolo di Marco Matteo Ciccone et al. riassume per i lettori del Giornale tutti questi aspetti, riprendendo i vari trial che hanno dimostrato una correlazione fra i livelli di questa vitamina con i vari fattori di rischio per coronaropatia, ed infine con la mortalità per cause cardiovascolari. Ancora da definire però è il potenziale beneficio della terapia con supplementi di vitamina D nel migliorare la prognosi nei pazienti che ne presentino bassi livelli, in quanto per il momento non vi è evidenza che tale terapia riduca gli eventi cardiovascolari. •

rassegne




Punteggi di rischio nell’insufficienza cardiaca: luci e ombre
Negli ultimi anni la nostra esigenza di classificare qualsiasi elemento, anche in medicina, ha portato alla creazione di vari punteggi di rischio per le diverse patologie. L’insufficienza cardiaca non si è sottratta a questo processo, e Paolo Fontanive et al. ci riassumono le caratteristiche positive e negative dei principali score clinici proposti per stratificare il rischio nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica. Gli autori sottolineano inoltre i vari limiti dal punto di vista statistico nella creazione della maggior parte dei punteggi esistenti. L’articolo è corredato dall’editoriale di Maria Frigerio e Renata De Maria, che completano in modo approfondito e accattivante l’analisi, cercando di moltiplicare i punti di vista e aprendo la discussione sulle principali problematiche. Fra queste, la necessità di trovare un equilibrio fra un punteggio che sia il più universale possibile – con parametri facilmente acquisibili in tutti i tipi di pazienti e in tutti i contesti clinici – e punteggi che siano invece molto personalizzati e ritagliati su un determinato paziente e in grado di predire eventi specifici e non generalisti. In fondo, chiamiamo insufficienza cardiaca un mondo assai complesso, fatto di tante diverse realtà cliniche, con caratteristiche estremamente diverse fra loro e necessità altrettanto distinte: la discussione su come stratificare questo crogiuolo di condizioni non può che essere molto articolata. •




Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sulla sindrome serotoninergica
Cosa sappiamo della sindrome serotoninergica? Quante volte ci è capitato di sospettarla in un paziente? Si stima che oltre l’85% dei medici non sia in grado di riconoscere e diagnosticare questa condizione. Purtroppo, poiché l’utilizzo dei farmaci serotoninergici è sempre più diffuso, soprattutto in pazienti con comorbilità, la sua incidenza sta aumentando. Molti pazienti con patologie cardiovascolari soffrono di depressione maggiore, spesso proprio legata allo stato di malattia, e fanno uso di farmaci ad azione serotoninergica, per cui è necessario che il cardiologo sia in grado di diagnosticare questa sindrome, che talvolta può risultare letale. La rassegna di Pier Luigi Temporelli et al. ci illustra in modo completo e approfondito tutto ciò che il clinico dovrebbe conoscere su questa condizione e soprattutto quando sospettarla. Inoltre, sono brevemente riportati e discussi alcuni dei più paradigmatici casi clinici di sindrome serotoninergica, a varia eziologia, riportati nella letteratura più recente. Molto didattiche le tabelle, che ci riassumono i dati salienti sui farmaci che possono esserne causa, sui loro meccanismi d’azione e sulle interazioni farmacologiche, nonché sui sintomi e la diagnosi differenziale con l’ipertermia maligna e la sindrome neurolettica maligna. •

Articolo del mese



Inibitori di PCSK9: fatti e speranze nel controllo del profilo lipidico

L’ipercolesterolemia è uno dei principali fattori di rischio per coronaropatia e patologie cerebrovascolari. Sappiamo che l’aumento del rischio è lineare con l’aumento dei valori di LDL nel sangue, come dimostrato da numerosi studi clinici su ampie popolazioni di studio. Sappiamo anche che l’utilizzo di farmaci che riducono questi valori, come le statine, è legato ad una riduzione del rischio cardiovascolare. Le ultime linee guida europee di settore hanno identificato per i pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato un valore target di LDL <70 mg/dl. Vi sono però molte evidenze, grazie agli studi clinici e ai registri, che una larga percentuale di questi pazienti, nonostante assuma statine, non raggiunga i valori consigliati. I motivi di mancato raggiungimento dei target sono molti e riguardano aspetti differenti, purtroppo spesso poco considerati dal medico che prescrive queste terapie. Negli ultimi anni si è quindi intensificata la ricerca su potenziali nuovi farmaci da affiancare o eventualmente sostituire alle statine. Fra questi vi sono gli inibitori della proteina PCSK9, che aumentano l’espressione dei recettori delle LDL sulla superficie cellulare degli epatociti, con conseguente riduzione dei livelli circolanti di LDL. L’ampia rassegna di Pasquale Perrone Filardi et al. prende in esame queste problematiche e analizza la letteratura presente su questi nuovi farmaci, in particolare i vari studi di fase II e i meno numerosi studi di fase III. Saranno davvero questi farmaci protagonisti di una nuova era nel trattamento del profilo di rischio cardiovascolare nei nostri pazienti? L’articolo è offerto alla discussione attraverso la piccola posta (piccolaposta@giornaledicardiologia.it) fino alla fine del mese di febbraio. •

dal particolare al generale




Un paracadute per il cuore infartuato
Alfonso Ielasi et al. descrivono un caso clinico di impianto di dispositivo Parachute – un sistema percutaneo sviluppato molto recentemente per contrastare il rimodellamento ventricolare sinistro dopo infarto transmurale esteso del miocardio.
Il Parachute
(left ventricular partitioning device) viene rilasciato a livello dell’apice del ventricolo sinistro tramite un catetere guida. L’impianto di questo dispositivo ha lo scopo di isolare l’area ventricolare disfunzionante, tipicamente antero-apicale, riducendo quindi il volume del ventricolo sinistro e migliorando di conseguenza la dinamica cardiaca.
Ad impianto avvenuto, la membrana occlusiva del Parachute sviluppa una barriera che esclude la porzione acinetica della parete ventricolare sinistra.

Quello descritto rappresenta uno dei primi casi clinici di impianto di questo dispositivo in Italia. Gli autori, oltre a presentare il caso, revisionano in modo esaustivo tutti i dati clinici disponibili per questo dispositivo e per i più importanti sistemi non farmacologici per contrastare il rimodellamento ventricolare ad oggi noti. •