Controllo lipidico in pazienti ad elevato rischio
cardiovascolare: focus sull’inibizione di PCSK9
Pasquale Perrone Filardi, Stefania Paolillo, Bruno Trimarco
Sezione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi “Federico II”, Napoli
Low-density lipoprotein (LDL)-cholesterol levels are strictly related to the risk of major cardiovascular events. Statins have been demonstrated to significantly reduce LDL-cholesterol levels, contributing to cardiovascular risk reduction especially in high-risk patients. However, low adherence to statins, due to adverse effects, is often observed and many patients in secondary prevention exhibit LDL-cholesterol levels >70 mg/dl. As a consequence, there is the need for new therapeutic approaches with different mechanisms of action to reach recommended lipid targets in high-risk patients. One potential approach is to inhibit PCSK9, a serum protein with an active role in controlling the expression of LDL receptors, by reducing their recycling and targeting it for lysosomal destruction. Monoclonal antibodies against PCSK9, in particular alirocumab and evolocumab, have been shown to reduce LDL substantially, either with or without concomitant statin therapy with good tolerability. Ongoing trials will further define the efficacy of these drugs as an emerging approach to the treatment of hypercholesterolemia in primary and secondary prevention of high-risk patients.
Key words. Cardiovascular risk; Hypercholesterolemia; LDL-cholesterol; PCSK9.


CHIAVE DI LETTURA

Ragionevoli certezze. I livelli di colesterolo LDL (C-LDL) presentano una relazione di tipo lineare con il rischio di eventi cardiovascolari maggiori, indipendente dal contesto di prevenzione primaria o secondaria e dalle caratteristiche dei singoli pazienti. La riduzione dei livelli di C-LDL correla linearmente con la riduzione del rischio cardiovascolare, motivo per cui le principali linee guida internazionali hanno sottolineato la necessità di ridurre intensivamente il valore di C-LDL utilizzando statine ad alta efficacia e di ottenere evidenze su trattamenti di riduzione del C-LDL alternativi alle statine.
Aspetti controversi. Il numero di pazienti ad elevato rischio cardiovascolare che raggiunge gli obiettivi terapeutici in termini di controllo lipidico rimane minoritario e l’impiego di statine è largamente sottoutilizzato nei pazienti in prevenzione secondaria. I motivi del mancato raggiungimento dei target riguardano aspetti differenti, che vanno dalla sospensione del farmaco al non corretto impiego delle statine attualmente disponibili. La sospensione dei farmaci è legata a diversi fattori, inclusi la presenza di comorbilità, il sesso femminile, l’età avanzata, la mancata effettuazione di procedure di rivascolarizzazione o la dimissione con dosi elevate di statine ed il conseguente sviluppo di effetti collaterali. Da qui la necessità di trattamenti alternativi che, con meccanismi d’azione differenti dalle statine, possano contribuire a portare ai target raccomandati i pazienti ad elevato rischio.
Prospettive. Gli anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9 rappresentano i farmaci di maggiore interesse ed in fase di sviluppo clinico avanzato per il trattamento dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, potenzialmente utilizzabili in prevenzione secondaria e primaria, in aggiunta alla terapia statinica o in alternativa ad essa nei pazienti intolleranti alle statine. La disponibilità di questa classe di farmaci consentirà alla maggior parte dei pazienti in trattamento ipolipemizzante di raggiungere e superare gli obiettivi di riduzione dei livelli lipidici raccomandati dalle linee guida.


I livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) rimangono ad oggi il miglior descrittore di rischio di eventi cardiovascolari (CV) maggiori (morte, ictus ed infarto miocardico [IM]), secondo una relazione continua di tipo lineare che, in studi epidemiologici, non mostra valori soglia, ovvero al di sotto dei quali il rischio CV non diminuisce ulteriormente1,2. Tale relazione risulta largamente indipendente dal tipo di paziente (pazienti in prevenzione secondaria o soggetti in prevenzione primaria) e da caratteristiche quali età e sesso3,4.
Studi clinici di intervento hanno dimostrato che, indipendentemente dal tipo di paziente ed indipendentemente dal valore basale di C-LDL, la riduzione dei livelli di C-LDL, ottenuti con terapia statinica, correla linearmente con la riduzione del rischio CV, secondo una proporzione costante per la quale ogni riduzione di 1 mmol/l di C-LDL si associa ad una riduzione del rischio di eventi CV maggiori del 21% circa1.
Sulla base di queste evidenze, le linee guida congiunte della Società Europea di Cardiologia e della Società Europea dell’Aterosclerosi hanno identificato, per i pazienti a rischio CV molto elevato (rischio SCORE >10%), un valore target di C-LDL <70 mg/dl3. Più recentemente, le linee guida nord-americane, considerando che nessuno studio clinico di intervento ha mai fissato un valore target da raggiungere e da confrontare, hanno anch’esse raccomandato la riduzione intensiva del C-LDL di oltre il 50% nei soggetti a rischio molto elevato, senza tuttavia fissare un valore target ideale5. In ogni caso, entrambe le principali linee guida internazionali hanno posto l’accento sulla necessità di ridurre intensivamente il valore di C-LDL utilizzando statine ad alta efficacia e sulla necessità di ottenere evidenze, da studi clinici in corso, sulle terapie non statiniche di riduzione di C-LDL riguardo agli effetti sugli eventi CV maggiori.
Tuttavia, a fronte delle crescenti evidenze di beneficio clinico e delle raccomandazioni delle linee guida, il numero di pazienti ad elevato rischio CV che raggiunge gli obiettivi terapeutici rimane largamente minoritario, contribuendo a mantenere elevato il rischio residuo dopo eventi CV acuti6.
Scopo di questa rassegna è quello di esaminare le problematiche legate all’uso delle statine per il controllo lipidico nei pazienti a rischio CV molto elevato ed, in particolare, di focalizzare l’attenzione sugli inibitori di proprotein convertase subtilisin/kexin type 9 (PCSK9), analizzando le caratteristiche innovative di tale classe di farmaci e i dati forniti dalle recenti sperimentazioni cliniche a riguardo.
IL CONTROLLO DEI VALORI LIPIDICI NEI PAZIENTI A RISCHIO CARDIOVASCOLARE MOLTO ELEVATO
Lo studio PURE7 condotto in diversi continenti, con differenti condizioni socio-economiche, ha dimostrato che l’impiego di statine è largamente sottoutilizzato nei pazienti in prevenzione secondaria, ed anche nei paesi ad elevato sviluppo economico raggiunge solo il 71%. I dati europei forniti dall’ultimo registro EUROASPIRE III8 indicano un sostanziale miglioramento della prescrizione di statine in prevenzione secondaria rispetto alla precedente rilevazione, anche se la maggioranza dei pazienti rimane con valori di C-LDL >70 mg/dl. Un recente studio italiano9 condotto su tutta la penisola in circa 900 pazienti con precedenti eventi ischemici CV, valutati ad una mediana di 17 mesi dall’evento indice, ha riportato che il 91% di essi continua ad assumere statine, confermando i dati della coorte italiana dell’EUROASPIRE, ma solo il 37% dei pazienti non diabetici ed il 44% dei pazienti diabetici raggiunge valori di C-LDL <70 mg/dl. I motivi del mancato raggiungimento dei target sono molteplici e riguardano aspetti differenti, che vanno dalla sospensione del farmaco al non corretto impiego delle statine attualmente disponibili. L’interruzione della terapia avviene soprattutto nei primi giorni dopo la dimissione ospedaliera ed è legata a diversi fattori, inclusi la presenza di comorbilità, il sesso femminile, l’età avanzata, la mancata effettuazione di procedure di rivascolarizzazione o la dimissione con dosi elevate di statine ed il conseguente sviluppo di effetti collaterali 10. Questi ultimi conducono spesso il paziente a sospendere o ridurre la dose di statina, essendo noto come il dosaggio delle statine sia strettamente correlato all’insorgenza di effetti collaterali, inclusi le mialgie, l’innalzamento degli enzimi epatici e muscolari e lo sviluppo di diabete, e poco correlato all’efficacia sulla riduzione del C-LDL11. Infatti, il raddoppio delle dosi di statina produce mediamente una riduzione aggiuntiva dei livelli di C-LDL <10%. Lo sviluppo di mialgie può superare il 10% di incidenza in pazienti che ricevono elevati dosaggi, come riportato in uno studio di registro francese su circa 8000 pazienti, con un tempo mediano di insorgenza dei sintomi di circa 1 mese12.
Da questi dati emerge la necessità di terapie diverse da quella statinica che, con meccanismi d’azione differenti, possano contribuire a portare ai target raccomandati i pazienti ad elevato rischio CV. I farmaci attualmente in sviluppo hanno caratteristiche farmacodinamiche completamente differenti dagli inibitori della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi e sono rappresentati dagli oligonucleotidi diretti al blocco della trascrizione dell’mRNA per l’apolipoproteina B (ApoB, mipomersen), dagli inibitori delle proteine microsomiali che trasferiscono i trigliceridi e intervengono nella formazione dell’ApoB a livello epatico ed intestinale (lomitapide) e dagli inibitori di PCSK9 (Tabella 1). Di questi, il mipomersen non è stato approvato per l’uso in Europa, la lomitapide è stata sviluppata ed è approvata solo per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare omozigote, mentre gli anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9 rappresentano i farmaci di maggiore interesse ed in fase di sviluppo clinico avanzato per il trattamento dei pazienti ad alto rischio. Il presente articolo sarà specificamente focalizzato sullo sviluppo clinico di quest’ultima classe di farmaci.



GLI INIBITORI DI PCSK9: MECCANISMO D’AZIONE
Gli inibitori di PCSK9 interferiscono con il ricircolo dei recettori delle LDL (LDLR) aumentando la loro espressione sulla superficie cellulare degli epatociti con conseguente riduzione dei livelli circolanti di C-LDL. In condizioni fisiologiche il LDLR presenta nella sua conformazione un dominio per l’ApoB che consente il legame con il C-LDL e l’internalizzazione del complesso LDL/LDLR il quale viene inglobato in una vescicola rivestita da clatrina che viene ad essere dissociata all’interno degli endosomi per la presenza di un ambiente acido 13,14. La dissociazione lascia libero il LDLR di tornare sulla superficie cellulare con un meccanismo di ricircolo, mentre il C-LDL libero viene trasportato ai lisosomi dove viene degradato a lipidi ed aminoacidi13. PCSK9 è una proteina appartenente alla famiglia delle subtilisine, che agisce mediante legame all’LDLR, accelerandone la degradazione lisosomiale e riducendone, quindi, la densità recettoriale sulla superficie degli epatociti15 (Figura 1). Gli anticorpi monoclonali contro PCSK9 determinano una maggiore espressione genica a livello epatico dell’LDLR, con conseguente pronunciato effetto ipocolesterolemizzante che deriva da un aumento dei processi di internalizzazione delle LDL. Nello studio ARIC16, una popolazione di soggetti afro-americani portatori di una mutazione con perdita di funzione di PCSK9 tale da ridurre di circa 1 mmol/l i livelli di C-LDL rispetto ai soggetti con variante genetica normale, ha dimostrato una riduzione degli eventi CV maggiori tra i 40 e i 55 anni del 90%. Viceversa, mutanti genetici di PCSK9 che determinano un guadagno di funzione si associano ad un aumento dei livelli di C-LDL. I farmaci che riducono il contenuto di colesterolo negli epatociti determinano come meccanismo controregolatorio sia un aumento dell’espressione di LDLR che dei livelli di PCSK9 che tendono a limitare gli effetti di riduzione del C-LDL 17. Questa azione è dovuta all’attivazione di una famiglia di fattori di trascrizione denominata sterol regulatory element-binding proteins17.



STUDI CLINICI DI FASE II SUGLI INIBITORI DI PCSK9
Numerosi anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9 sono in fase di sviluppo, ma attualmente i dati principali provengono dagli studi di fase II su due di essi, l’alirocumab e l’evolocumab.
Alirocumab
Alirocumab è un anticorpo monoclonale anti-PCSK9 di derivazione completamente umana. Sono tre gli studi di fase II che hanno valutato gli effetti ipolipemizzanti di alirocumab. McKenney et al.18 hanno recentemente riportato uno studio in doppio cieco a gruppi paralleli di dose finding in 183 pazienti con ipercolesterolemia primitiva e con livelli di C-LDL >100 mg/dl in terapia stabilizzata con atorvastatina alle dosi di 12, 20 o 40 mg/die, della durata di 12 settimane. L’obiettivo primario era valutare le variazioni di C-LDL al termine dello studio per i vari regimi terapeutici, mentre obiettivo secondario era la valutazione della percentuale di pazienti che raggiungevano livelli di C-LDL >70 e <100 mg/dl, nonché valutare le variazioni degli altri parametri lipidici. I pazienti sono stati trattati con somministrazioni sottocutanee bimensili di 50, 100 o 150 mg, oppure somministrazioni mensili di 200 o 300 mg. Lo studio ha dimostrato un effetto dose-dipendente di entrambi i regimi terapeutici, con riduzioni del C-LDL del 40%, 64% e 72% per le dosi bimensili di 50, 100 e 150 mg, e del 43% e 48% per le dosi crescenti a somministrazione mensile, contro una riduzione media del gruppo placebo del 5%. In aggiunta, si sono significativamente ridotti i livelli di colesterolo non legato alle lipoproteine ad alta densità (HDL), ApoB e lipoproteina(a) [Lp(a)]. Gli effetti collaterali gravi sono stati molto rari ed osservati in un solo paziente cha ha sviluppato una vasculite leucocitoclastica, risoltasi dopo somministrazione di terapia corticosteroidea, e già osservata per altre terapie con anticorpi monoclonali. I dati di questo studio sono risultati rilevanti dal punto di vista clinico, identificando nella somministrazione bimensile di 150 mg la migliore opzione terapeutica, capace di raggiungere l’obiettivo di C-LDL <70 mg/dl nel 100% dei pazienti. Dal punto di vista farmacodinamico, lo studio ha inoltre dimostrato che l’effetto ipolipemizzante è risultato indipendente dalla dose di atorvastatina concomitante, suggerendo un diverso meccanismo d’azione riguardo all’effetto di aumento della densità dei LDLR da parte della statina e di alirocumab. In aggiunta alla riduzione di C-LDL, alirocumab ha ridotto i valori di ApoB del 56% (alla dose di 150 mg ogni 2 settimane), un effetto sostanzialmente maggiore rispetto al 6% osservato aggiungendo ezetimibe o acidi biliari alla terapia statinica, consentendo a tutti i pazienti trattati con 150 mg ogni 2 settimane di raggiungere il target di ApoB <80 mg/dl. Considerando il ruolo predittivo di ApoB nei pazienti ad elevato rischio CV o cardiometabolico 19,20, questi dati lasciano ipotizzare un effetto protettivo sugli eventi CV. In un altro studio multicentrico di fase 2, Roth et al.21 hanno riportato gli effetti di alirocumab somministrato ogni 2 settimane in 92 pazienti con ipercolesterolemia primitiva che rimanevano con livelli di C-LDL >100 mg/dl dopo somministrazione di atorvastatina 10 mg per almeno 7 settimane. I pazienti sono stati randomizzati ad un braccio trattato con atorvastatina 80 mg e placebo, oppure atorvastatina 80 mg ed alirocumab, oppure atorvastatina 10 mg ed alirocumab, e trattati per 8 settimane. Al termine del periodo di trattamento i pazienti randomizzati ad atorvastatina 80 mg ed alirocumab hanno ottenuto una riduzione di C-LDL del 73%, simile a quella dei pazienti randomizzati ad atorvastatina 10 mg ed alirocumab, ma sensibilmente maggiore rispetto ai pazienti trattati con atorvastatina 80 mg e placebo. L’interesse di questi dati risiede nel fatto che essi dimostrano una sostanziale indipendenza dell’effetto dalla dose concomitante di statina e che, come noto, l’aumento del dosaggio di statina comporta solo una modesta riduzione dei livelli di C-LDL. Anche in questo caso, la percentuale di pazienti che raggiungeva livelli di C-LDL<70 mg/dl era del 97% nel gruppo trattato con alirocumab ed atorvastatina 10 mg, in confronto al 17% di quelli trattati con atorvastatina 80 mg da sola. Come nello studio precedente, i pazienti trattati con alirocumab mostravano una significativa riduzione delle ApoB e della Lp(a) (-31%). Infine, un terzo studio multicentrico di fase II 22 ha arruolato 77 pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote (42% dei quali con storia di cardiopatia ischemica) con livelli di C-LDL >100 mg/dl in terapia statinica con o senza ezetimibe, trattati per 12 settimane con dosi di 150, 200 o 300 mg ogni mese o di 150 mg ogni 2 settimane. L’obiettivo primario di riduzione dei livelli di C-LDL ha dimostrato, come negli studi precedenti, che al dosaggio ottimale di 150 mg ogni 2 settimane i livelli di C-LDL si riducono del 67%. Anche in questo studio il profilo di sicurezza è risultato molto soddisfacente, con un solo paziente che ha dovuto interrompere la terapia per reazione al sito di iniezione.
Evolocumab
Evolocumab è stato valutato anch’esso in alcuni studi clinici randomizzati di fase II. Nello studio multicentrico LAPLACE-TIMI 5723 sono stati arruolati 631 pazienti ipercolesterolemici con valori di C-LDL >2.2 mmol/l, nonostante terapia con statine ad alto dosaggio ed ezetimibe in circa il 30% dei pazienti, e randomizzati a vari dosaggi di evolocumab (70, 105 o 140 mg ogni 14 giorni o 280, 350 o 420 mg ogni mese), per 12 settimane. La riduzione dei livelli di C-LDL, endpoint primario dello studio, è stata dose-dipendente, con un massimo di 66.1% al dosaggio di 140 mg ogni 14 giorni. A questo dosaggio, il 94% dei pazienti riusciva a raggiungere l’obiettivo di C-LDL <1.8 mmol/l. Sono risultati inoltre ridotti significativamente i valori del colesterolo non HDL e delle ApoB, mentre è stato osservato un modesto aumento delle HDL verosimilmente secondario alla diminuzione del C-LDL con conseguente ridotta possibilità di trasferimento del colesterolo dalle HDL alle LDL. Il profilo di sicurezza del farmaco è risultato molto soddisfacente, con un numero simile al placebo di eventi collaterali, comprese le reazioni al sito di iniezione. Nello studio MENDEL 24 sono stati arruolati 406 pazienti con ipercolesterolemia e valori di C-LDL >2.6 mmol/l, randomizzati agli stessi dosaggi e frequenza di somministrazione dello studio LAPLACE-TIMI 5723 ed in aggiunta ad ezetimibe. Anche in questo studio la riduzione maggiore di C-LDL si è osservata alla dose di 140 mg ogni 2 settimane ed è stata pari al 50.9%, simile a quella ottenuta con la somministrazione di 420 mg ogni mese, mentre il trattamento con ezetimibe ha ottenuto una riduzione del 14.7%. A differenza dello studio LAPLACE-TIMI 57 e degli studi di fase II con alirocumab, in questo studio evolocumab è stato confrontato contro placebo in pazienti a basso rischio CV che non richiedevano un trattamento con farmaci ipolipemizzanti, fornendo dunque informazioni sugli effetti del trattamento come unico agente ipolipemizzante. Come osservato negli altri studi, si sono ridotti in maniera dose-dipendente anche i livelli di colesterolo non HDL, ApoB e Lp(a).
Nello studio GAUSS25 evolocumab alle dosi di 280, 350 e 420 mg ogni mese è stato paragonato ad evolocumab 420 mg ed ezetimibe 10 mg/die o ezetimibe 10 mg/die e placebo in 160 pazienti intolleranti alle statine con C-LDL medio al basale di 193 mg/dl, con l’obiettivo primario di valutare la riduzione di C-LDL a 12 settimane di trattamento. La riduzione massima di C-LDL è stata di 110 mg/dl (63%) nel gruppo trattato con evolocumab 420 mg ed ezetimibe, mentre l’ezetimibe da solo ha ridotto il C-LDL del 15%. Il 62% dei pazienti in trattamento con evolocumab ed ezetimibe raggiungeva livelli di C-LDL <70 mg/dl ed evolocumab riduceva significativamente i livelli di apoliproteina(a) (-26%). Nel complesso il trattamento è risultato ben tollerato, con una percentuale di pazienti che riportavano mialgie che ha raggiunto il 20% nei pazienti che ricevevano la combinazione di ezetimibe ed evolocumab. Infine, nello studio di fase II RUTHERFORD 26, gli effetti di evolocumab sulla riduzione del C-LDL sono stati valutati in 167 pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote (dei quali 21% con cardiopatia ischemica nota) che avessero valori di C-LDL >100 mg/dl nonostante terapia con statine con o senza ezetimibe. I pazienti sono stati trattati per 12 settimane con dosi di 350 e 420 mg ogni mese. Le riduzioni di C-LDL sono state del 43% e 55% corrispondente ad una riduzione assoluta di 2.2 mmol/l alla dose maggiore di 420 mg in assenza di eventi avversi maggiori correlati alla somministrazione del farmaco. In aggiunta, si è osservata una riduzione significativa dei trigliceridi, dell’ApoB e della Lp(a) del 32% al dosaggio più alto. Gli effetti di evolocumab sono risultati indipendenti dalla dose di statina e dalla contemporanea somministrazione di ezetimibe, ed il 65% dei pazienti trattati con la dose di 420 mg ha raggiunto il target di C-LDL <70 mg/dl.
Gli studi clinici di fase II finora descritti hanno avuto una durata massima di 12 settimane. L’unico studio attualmente disponibile di durata maggiore è lo studio OSLER27, che ha randomizzato l’81% dei pazienti arruolati nei trial di fase II dell’evolocumab, ovvero 1104 pazienti, a proseguire, una volta usciti dai rispettivi studi di fase II, il trattamento in singolo cieco confrontando la terapia con statine ad evolocumab 420 mg ogni 4 settimane, fino a 52 settimane. Dei 1104 pazienti, l’11.4% aveva una documentata intolleranza alle statine ed il 19% una documentata storia di cardiopatia ischemica. I pazienti che negli studi di fase II nei quali erano stati arruolati non avevano ricevuto evolocumab hanno ottenuto una riduzione del 52% dei livelli di C-LDL, mantenutasi stabile durante le 52 settimane di studio. Viceversa, nei pazienti che erano stati randomizzati ad una delle differenti dosi di evolocumab negli studi di fase II da cui provenivano, e che nello studio OSLER non ricevevano evolocumab, hanno mostrato una riduzione dei livelli di C-LDL che passava dal 52% al 17.9% al termine delle 52 settimane. Le variazioni degli altri parametri lipidici ricalcavano quelle osservate nei rispettivi studi di fase II.
Lo studio OSLER27 ha fornito importanti informazioni riguardo alla tollerabilità e alla sicurezza di questa innovativa terapia. Il numero di eventi avversi segnalati non differiva significativamente tra i pazienti che assumevano evolocumab e quelli in terapia statinica. In particolare, alterazioni del profilo enzimatico epatico si sono osservate nell’1.6% dei pazienti in terapia standard e nell’1.8% di quelli in trattamento con evolocumab. In aggiunta, nessuno degli eventi avversi maggiori è stato ritenuto imputabile ad evolocumab, la cui sospensione è avvenuta nel 3.7% dei pazienti. Infine, reazioni al punto di iniezione sono state riportate in 38 pazienti (5.2%) ma solo un paziente ha sospeso per tale motivo la somministrazione del farmaco.
Da notare che nello studio OSLER27 411 pazienti, pressoché tutti in trattamento con evolocumab, hanno raggiunto valori di C-LDL <50 mg/dl e 98 pazienti hanno raggiunto valori <25 mg/dl. In questi pazienti sono stati riportati con maggiore frequenza episodi di nausea, cefalea e vertigine rispetto ai pazienti che mantenevano livelli di C-LDL maggiori. Tuttavia, non sono stati osservati effetti collaterali maggiori, compresi episodi di ictus emorragico o altri disturbi neurologici. Complessivamente, il 72% dei pazienti ha mantenuto livelli di C-LDL <100 mg/dl a tutte le misurazioni previste periodicamente nel corso delle 52 settimane di studio. Dunque i dati dello studio OSLER 27 hanno fornito una importante evidenza riguardo alla prolungata efficacia di questa terapia, alla sua sicurezza, all’assenza di effetti di rebound alla sospensione della somministrazione ed alla tollerabilità da parte dei pazienti.
STUDI CLINICI DI FASE III E PROSPETTIVE DI IMPIEGO CLINICO DEGLI INIBITORI DI PCSK9
Gli studi di fase II sugli inibitori di PCSK9 hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti trattati, in aggiunta al trattamento statinico, raggiungono e mantengono concentrazioni di C-LDL sensibilmente inferiori ai limiti di 70 mg/dl raccomandati dalle linee guida europee3. Analogamente, i risultati degli studi di fase III sino ad ora disponibili hanno confermato una buona efficacia di tali farmaci sull’endpoint surrogato di riduzione percentuale del valore di C-LDL rispetto al basale con buon profilo di sicurezza.
Riguardo all’alirocumab, l’unico studio di fase III completato è lo studio ODYSSEY MONO28, primo report del più ampio programma ODYSSEY, nel quale 103 pazienti a rischio CV moderato sono stati randomizzati a ricevere alirocumab o ezetimibe per un periodo di 24 settimane. Il protocollo prevedeva una dose di partenza di 75 mg ed eventuale successivo switch a 150 mg alla dodicesima settimana di trattamento in caso di mancato raggiungimento del valore di C-LDL ≤70 mg/dl. I recenti risultati dello studio hanno dimostrato una maggiore efficacia di alirocumab in monoterapia in confronto ad ezetimibe con una riduzione del valore basale di C-LDL del 47% con alirocumab rispetto al 16% ottenuta con ezetimibe (p<0.001). Inoltre nel braccio alirocumab si è ottenuta una riduzione di C-LDL >50% rispetto al valore basale già alla dose di 75 mg nella maggior parte dei pazienti, con un profilo di sicurezza e tollerabilità sovrapponibile all’ezetimibe.
Riguardo invece all’evolocumab, abbiamo al momento a disposizione la recente pubblicazione dei risultati di 4 studi di fase III. In particolare, nello studio LAPLACE-229 sono stati arruolati 1899 pazienti con ipercolesterolemia primitiva o dislipidemia mista e randomizzati a 12 settimane di trattamento con evolocumab (140 mg ogni 2 settimane o 420 mg al mese) o placebo/ezetimibe dopo 4 settimane di stabilizzazione di terapia ipolipemizzante statinica di moderata o elevata intensità. Nel gruppo in terapia statinica di moderata intensità (atorvastatina 10 mg, simvastatina 40 mg o rosuvastatina 5 mg), l’aggiunta di evolocumab ha determinato una riduzione di C-LDL da un valore basale compreso tra 115-124 mg/dl ad un valore di 39-49 mg/dl nella somministrazione ogni 2 settimane e da 123-126 a 43-48 mg/dl nel gruppo a somministrazione mensile. Nel gruppo in trattamento statinico ad elevata intensità (atorvastatina 80 mg o rosuvastatina 40 mg) il valore di C-LDL è passato da 89-94 mg/dl a 35-38 mg/dl per il protocollo ogni 2 settimane e da 89-94 mg/dl a 33-35 mg/dl per la somministrazione mensile. Il tasso di eventi avversi è stato di 36%, 40% e 39% per pazienti trattati, rispettivamente, con evolocumab, ezetimibe e placebo.
Lo studio DESCARTES30 ha confermato l’efficacia e la tollerabilità di evolocumab in un follow-up a 52 settimane. In tale studio sono stati inclusi 901 pazienti, di età compresa tra 18 e 75 anni con valori di C-LDL ≥75 mg/dl e valori di trigliceridi ≤400 mg/dl. I pazienti arruolati sono stati randomizzati ad aggiungere in trattamento evolocumab o placebo in caso di valore di C-LDL ≥75 mg/dl dopo un periodo di 4-12 settimane di terapia dietetica o statinica stabilita in base al valore basale di C-LDL, al precedente uso di statine e alla classe di rischio CV (sola dieta, dieta più atorvastatina 10 mg, sola atorvastatina 80 mg o atorvastatina 80 mg più ezetimibe 10 mg). I risultati dello studio hanno dimostrato la maggiore efficacia di evolocumab rispetto al placebo a 52 settimane in tutte le categorie di trattamento di partenza con una riduzione media di 57 ± 2.1% al termine dello studio e di 57.5 ± 1.6% alla dodicesima settimana. Il valore di C-LDL è stato portato ad un valore <70 mg/dl nell’82.3% dei pazienti del gruppo evolocumab rispetto al 6.4% del gruppo placebo. Lo studio MENDEL-2 31, recentemente pubblicato, ha arruolato pazienti con valori di C-LDL compresi tra 100 e 190 mg/dl con un rischio CV ≤10% per valutare l’efficacia della doppia posologia di evolocumab (n=306) rispetto a placebo (n=155) o ezetimibe (n=144). A 12 settimane, si è osservata una riduzione media rispetto al basale nel valore di C-LDL del 57% con evolocumab ogni 2 settimane rispetto allo 0.1% con placebo e al 17.8% con ezetimibe (p<0.001). Analogamente per la somministrazione mensile, la riduzione media con evolocumab è stata del 56.1% vs 1.3% del gruppo placebo e 18.6% di ezetimibe (p<0.001), con tasso di eventi avversi ed alterazioni di laboratorio sovrapponibili tra i differenti trattamenti. Infine, nello studio GAUSS-2 32 è stata, invece, valutata l’efficacia di evolocumab in pazienti intolleranti a dosi adeguate di statine per l’insorgenza di effetti collaterali a livello muscolare. In particolare, 307 pazienti sono stati randomizzati a ricevere evolocumab 140 mg ogni 2 settimane o 420 mg 1 volta al mese in aggiunta a placebo o a placebo in aggiunta ad ezetimibe 10 mg. Il valore di C-LDL è stato ridotto in maniera significativamente maggiore nel gruppo evolocumab con una differenza del 36.9% tra evolocumab 140 mg ogni 2 settimane ed ezetimibe e del 38.7% tra evolocumab 420 mg mensili ed ezetimibe, sovrapponibili a 10 e 12 settimane. Inoltre, nel gruppo evolocumab si è osservata una significativa riduzione rispetto ad ezetimibe anche di ApoB, Lp(a), colesterolo non HDL e dei rapporti ApoB/apolipoproteina A-I e colesterolo totale/colesterolo HDL (p<0.001), con una insorgenza di disturbi muscolari nell’8% dei pazienti trattati con evolocumab.
Gli ulteriori studi in corso di fase III, che valuteranno gli effetti di questa classe di farmaci sugli eventi CV, contribuiranno a chiarire un aspetto tuttora irrisolto della terapia ipolipemizzante, ovvero se esista un valore soglia di C-LDL al di sotto del quale l’ulteriore riduzione dei livelli plasmatici non conferisce benefici clinici addizionali o risulti dannosa. Si tratta di uno degli aspetti più intriganti e potenzialmente gravidi di ricadute cliniche in quanto una serie di evidenze, tra le quali gli studi genetici su pazienti portatori di varianti associate a livelli estremamente bassi di C-LDL 33,34 hanno riportato una percentuale di eventi CV estremamente ridotta senza effetti sfavorevoli o problemi di sicurezza. Altrettanta evidenza proviene dai sottogruppi di pazienti arruolati negli studi clinici con statine che hanno raggiunto livelli di C-LDL <50 mg/dl, nei quali si è osservata un’ulteriore riduzione di eventi CV rispetto ai pazienti con livelli >50 mg/dl35,36.
Sono attualmente in corso 4 studi di fase III che arruoleranno complessivamente oltre 50 000 pazienti ad alto rischio CV, le cui caratteristiche sono riassunte nella Tabella 2. In particolare, lo studio ODYSSEY Outcomes (www.clinicaltrials.gov: NCT01663402) randomizzerà 18 000 pazienti con pregresso episodio di sindrome coronarica acuta tra le 4 e le 52 settimane precedenti, che abbiano livelli di C-LDL >70 mg/dl in terapia con statine ad alta efficacia (atorvastatina, rosuvastatina), al trattamento con alirocumab o placebo e valuterà un endpoint primario composito rappresentato da morte cardiaca ischemica, infarto non fatale, ictus non fatale ed angina instabile che richieda ospedalizzazione. Lo studio dovrebbe completarsi per il 2018.



Nello studio FOURIER (www.clinicaltrials.gov: NCT01764633) saranno invece arruolati 22 500 pazienti con pregressi eventi CV ed ad alto rischio residuo, con livelli di C-LDL >70 mg/dl in terapia con statine ad alta efficacia, i quali saranno randomizzati al trattamento con evolocumab o placebo, valutando un endpoint composito costituito da morte cardiaca, infarto non fatale ed ospedalizzazione per angina instabile, ictus o rivascolarizzazione coronarica. Lo studio dovrebbe completarsi per la fine del 2017.
Infine, il bococizumab sarà confrontato al placebo in due studi di fase III. Nello SPIRE-1 (www.clinicaltrials.gov: NCT01975376) saranno arruolati 12 000 pazienti con livelli di C-LDL tra 70 e 100 mg/dl in trattamento con dosi massime di statine, che, a differenza dei precedenti studi, potranno avere già subito un evento CV oppure essere in prevenzione primaria ma ad alto rischio CV per la presenza di diabete mellito più due fattori di rischio aggiuntivi, oppure perché affetti da malattia renale cronica o da vasculopatia arteriosa degli arti inferiori. Lo studio avrà come endpoint primario l’occorrenza di morte CV, infarto o ictus non fatali oppure angina instabile che richieda ospedalizzazione urgente, e dovrebbe essere completato nel 2017. Lo studio SPIRE-2 (www.clinicaltrials.gov: NCT01975389) avrà lo stesso protocollo dello SPIRE-1 con la differenza che i 6300 pazienti da arruolare dovranno avere livelli di C-LDL >100 mg/dl in trattamento con dosi massime di statine o, se intolleranti ad esse, altri farmaci ipolipemizzanti.
CONCLUSIONI
Alla luce dello scarso controllo lipidico e delle problematiche legate all’utilizzo delle statine in pazienti ad elevato rischio CV, diviene rilevante la valutazione di nuove classi di farmaci ipolipemizzanti che contribuiscano alla riduzione di eventi avversi. Gli inibitori di PCSK9 appaiono, in considerazione dei risultati degli studi di fase II, una delle più importanti innovazioni farmacologiche per la riduzione del rischio CV. Tali farmaci, potenzialmente utilizzabili in prevenzione secondaria e primaria, nei soggetti a rischio CV elevato, in aggiunta alla terapia statinica o in alternativa ad essa nei pazienti intolleranti alle statine, hanno dimostrato un buon profilo di tollerabilità e sicurezza e, soprattutto, una buona efficacia nel raggiungimento di concentrazioni di C-LDL inferiori ai limiti di 70 mg/dl raccomandati dalle linee guida europee. Gli studi di fase III, attualmente a disposizione, hanno confermato tale dato su un numero elevato di pazienti arruolati ed i protocolli in corso consentiranno di sancire la sicurezza, la tollerabilità e l’aderenza al trattamento di questa nuova classe di farmaci. In particolare, obiettivo futuro, sarà di verificare se e quanto l’aggiunta di tali farmaci alla terapia in corso o il loro ingresso in sostituzione della terapia statinica possa, tramite la riduzione dei livelli lipidici, contribuire a ridurre ulteriormente l’occorrenza di eventi avversi in pazienti ad elevato rischio.
RIASSUNTO
I livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL) sono strettamente associati al rischio di eventi cardiovascolari, secondo una relazione di tipo lineare, e la loro riduzione, ottenuta con terapia statinica, correla con la riduzione di tale rischio. Nonostante ciò, l’impiego di statine è sottoutilizzato a causa degli effetti collaterali e della scarsa aderenza alla terapia e molti pazienti in prevenzione secondaria rimangono con valori di colesterolo LDL >70 mg/dl. Da qui l’esigenza di terapie alternative che, con meccanismi d’azione differenti, possano contribuire a portare ai target raccomandati i pazienti ad elevato rischio. In questo contesto si inseriscono gli inibitori di PCSK9, una proteina che accelera la degradazione lisosomiale del recettore delle LDL, riducendo quindi la densità recettoriale sulla superficie degli epatociti. Numerosi anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9 sono in fase di sviluppo, ma attualmente i dati principali provengono dagli studi di fase II e fase III su alirocumab ed evolocumab, che hanno dimostrato un buon profilo di tollerabilità con buon controllo dei livelli lipidici. Tali farmaci appaiono come una delle più importanti innovazioni farmacologiche per la riduzione del rischio cardiovascolare, utilizzabili in prevenzione secondaria e primaria, nei soggetti a rischio elevato, in aggiunta alle statine o in alternativa ad esse nei pazienti intolleranti.
Parole chiave. Colesterolo LDL; Ipercolesterolemia; PCSK9; Rischio cardiovascolare.
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