La valutazione dell’ostruzione del tratto di efflusso
alla luce delle nuove linee guida europee
sulla cardiomiopatia ipertrofica

Iacopo Olivotto1, Alessandra Rossi2, Pierluigi Stefàno3
1Centro di Riferimento per le Cardiomiopatie, 2S.O.D. Cardioanestesia, 3S.O.D. Cardiochirurgia,
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze

Nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (CMI) l’ostruzione all’efflusso del ventricolo sinistro è l’espressione di una vera cospirazione fisiopatologica, il cui risultato finale è tanto elegante quanto diabolico, un rebus la cui soluzione ha richiesto ai primi investigatori, tra cui Eugene Braunwald, oltre un decennio1-6 (Figura 1). I fattori che contribuiscono alla genesi del movimento sistolico anteriore dei lembi mitralici (SAM) sono estremamente vari e complessi, spaziando da elementi morfologici ad altri puramente funzionali3,6. Tutti questi elementi sono riconducibili alla stessa origine molecolare, una mutazione a carico dei principali geni sarcomerici, anche se le vie che li determinano restano in gran parte un mistero. La CMI ha un fenotipo molto più complesso e variegato della semplice ipertrofia: studi recenti hanno dimostrato che i lembi mitralici (sebbene non esprimano in modo diretto le proteine sarcomeriche mutate) sono quasi sempre anomali, caratterizzati da dimensioni marcatamente aumentate rispetto al normale 7. Questo dato si riscontra in qualunque fascia di età, indipendentemente dal grado di ipertrofia e di ostruzione, e viene considerato una caratteristica primitiva della malattia, forse legata a meccanismi di maladattamento che risalgono all’epoca dello sviluppo8. Questi lembi così ridondanti si trovano ad operare in una cavità ventricolare sinistra che è spesso di piccole dimensioni e ipercontrattile per l’effetto “gain-of-function” di molte mutazioni sarcomeriche9. I muscoli papillari sono spesso posizionati in modo anomalo, sollevando il punto di coaptazione della mitrale; le corde sono lasse, offrendo un sostegno insufficiente durante la sistole6. L’ipertrofia del setto interventricolare determina una riduzione anatomica del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, più marcata nell’anziano per la chiusura dell’angolo tra setto ed aorta, ed altera la direzione del flusso anterogrado in sistole, con l’effetto di “catturare” i lembi mitralici ridondanti e di spingerli verso l’efflusso stesso, causando l’obliterazione del tratto di efflusso del ventricolo sinistro e la genesi del tipico gradiente con picco telesistolico 3,6. Il SAM si associa a perdita di coaptazione dei lembi mitralici e ad insufficienza valvolare funzionale, con jet di rigurgito tipicamente diretto infero-lateralmente in atrio sinistro. A questo quadro si aggiungono elementi accessori, come la fibrosi dei trigoni, che riduce l’escursione sistolica verso il basso della benderella subaortica, o la presenza di calcificazione posteriore dell’anulus mitralico, legata all’età: ambedue queste anomalie portano ad una elevazione del punto di coaptazione dei lembi mitralici, rendendone la cattura da parte del flusso in uscita più probabile e più marcato 3. L’effetto Venturi esercitato dall’accelerazione del flusso nel tratto di efflusso del ventricolo sinistro, a lungo considerato il principale determinante del SAM mediante un’azione di aspirazione sui lembi, è in realtà un elemento secondario ed efficace solo una volta che il SAM si è già largamente verificato6. Infine, essendo l’ostruzione un fenomeno classicamente dinamico, esistono una serie di condizioni che posso provocarla o accentuarla, come l’esercizio fisico, la disidratazione, lo squatting, i pasti, l’alcool e i farmaci vasodilatatori o inotropi positivi3,4,6. Né va dimenticata la possibilità, nei pazienti con CMI, di sedi alternative (ma non mutuamente esclusive) in cui può verificarsi un’ostruzione dinamica: a livello medio-ventricolare, determinata da un contatto anomalo tra setto e papillare anteriore, e a livello dell’efflusso ventricolare destro, in pazienti con ipertrofia massiva, per un meccanismo a sfintere tra la parete libera del ventricolo e la cresta sopraventricolare10. La ricchezza di fattori predisponenti (cui potrebbero aggiungersi ulteriori elementi qui tralasciati per motivi di spazio) giustifica il fatto che l’ostruzione dinamica sia così frequente nei pazienti con CMI: in circa un quarto è presente in condizioni di riposo, ma in una maggioranza degli altri può essere elicitata con lo sforzo fisico o con stimoli farmacologici4. Pertanto, sebbene non sia appannaggio esclusivo di questa malattia (la si ritrova negli ipertesi, dopo interventi cardiochirurgici, nella sindrome tako-tsubo, ecc.), l’ostruzione all’efflusso legata a SAM è divenuta nell’immaginario cardiologico un vero sinonimo di CMI1,2,6.



A lungo considerata solo un importante determinante di sintomi come dispnea, angor e sincope da sforzo, l’ostruzione dinamica presente a riposo si è successivamente rivelata anche un fattore predittivo potente di prognosi sfavorevole per scompenso e morte improvvisa5. Il ruolo prognostico dell’ostruzione inducibile è ancora sub judice: verosimilmente riveste un ruolo anch’esso sfavorevole, anche se di peso minore11. Pertanto, la corretta gestione dell’ostruzione rappresenta uno dei principali problemi terapeutici nei pazienti con CMI. È importante ricordare che i pazienti ostruttivi non trattati, o trattati tardi, presentano gradi estremamente marcati di dilatazione ventricolare sinistra e sviluppano fibrillazione atriale, due elementi prognosticamente sfavorevoli a lungo termine10. Il fatto che nei pazienti sottoposti a miectomia chirurgica con successo, il cui outcome è in genere eccellente, due dei più importanti fattori prognostici sfavorevoli siano proprio la dilatazione atriale e la fibrillazione atriale, suggerisce che un ritardo del timing chirurgico possa privare i pazienti del massimo beneficio terapeutico12,13.
Il trattamento farmacologico dell’ostruzione, basato sull’uso di betabloccanti e della disopiramide, è in genere efficace soprattutto sulle forme inducibili, ma spesso non altrettanto sulle forme presenti a riposo14-16. La disopiramide tende a perdere di efficacia col tempo ed è gravata da effetti collaterali anticolinergici importanti. Nei pazienti con sintomi refrattari a tali terapie, sono indicate opzioni invasive. Fino dai primi anni ’60, i pazienti con CMI ostruttiva sono stati sottoposti a interventi chirurgici prima di miotomia, poi di miectomia classica secondo Morrow, ed infine di miectomia estesa con variazioni sul tema (quali sbrigliamento dei papillari, plicatura dei lembi, applicazioni di patch di pericardio, approccio “edge-to-edge” nei pazienti con minima ipertrofia) 12,13,17. I continui progressi nella comprensione della fisiopatologia dell’ostruzione hanno consentito di raggiungere risultati sempre migliori e più personalizzati al quadro del singolo paziente, a fronte di un rischio operatorio, nei centri ad alto volume, estremamente ridotto. Tuttavia, negli anni ’90, la supremazia della miectomia chirurgica è stata insidiata dapprima dal pacing bicamerale, che ha rapidamente mostrato la sua inefficacia (salvo in un piccolo gruppo di responder, per lo più anziani) in studi randomizzati eseguiti ad hoc, e successivamente dall’alcolizzazione settale percutanea18. Quest’ultima tecnica, introdotta nel 1995, presenta l’indubbio vantaggio di evitare al paziente una sternotomia ed una anestesia generale; a fronte di vari svantaggi tra cui un’efficacia strettamente dipendente dall’anatomia coronarica del paziente, una risoluzione meno radicale dell’ostruzione, un maggior rischio di blocco atrioventricolare completo richiedente impianto di pacemaker, una mortalità periprocedurale non inferiore alla chirurgia ed una cicatrice residua gravata dal sospetto di favorire aritmie ventricolari maligne 19.
Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) recentemente pubblicate rappresentano un documento di ampio respiro che affrontano in modo dettagliato la valutazione e il trattamento dell’ostruzione dinamica20. In un’ottica generale, viene ripreso ed ampliato il concetto già espresso dalle linee guida americane del 2011, di un Heart Team applicato alla CMI. La valutazione multidisciplinare in un ambito specificamente dedicato viene ribadita come un elemento estremamente importante, perché tende a ridurre il rischio di una gestione isolata del paziente da parte dello specialista “innamorato” della propria tecnica (secondo il proverbio americano: “quando hai in mano un martello, tutto assomiglia a un chiodo”). Le conseguenze di un tale approccio distorto, favorito dalla mancanza di evidenze forti in letteratura, erano infatti chiaramente emerse con l’epidemia di alcolizzazioni settali degli anni ’90 e primi anni 2000, che aveva portato in alcune realtà alla annichilazione della miectomia chirurgica, disperdendo un expertise accumulato nel corso di decenni 19,21. Nella stessa ottica, viene definito il concetto di operatore esperto, che appare superfluo se applicato alle patologie cardiovascolari di grande impatto epidemiologico, ma diventa invece cruciale in malattie relativamente rare come la CMI. Per le linee guida europee, un operatore esperto deve espletare un volume minimo di 10 interventi/anno, indipendentemente che si parli di miectomia o di alcolizzazione settale percutanea20. Analogamente, nelle ultime linee guida americane viene invece definito esperto un operatore con almeno 20 casi eseguiti individualmente o che lavora in un programma dedicato alla CMI con almeno 50 casi trattati cumulativamente nel centro18.
Nell’affrontare il trattamento dell’ostruzione dinamica, le linee guida ESC si allineano a quelle americane per quanto riguarda l’uso dei farmaci come i betabloccanti, il verapamil e la disopiramide (Tabella 1), ormai consacrati dall’uso cinquantennale anche se privi di evidenze di classe A16. Nei pazienti con ostruzione associata a sintomi severi e refrattari alla terapia farmacologica, viene data una indicazione di classe I, con livello di evidenza B per le opzioni invasive chirurgica e percutanea. Da notare che, tuttavia, il documento ESC mantiene un atteggiamento “tiepido” nei confronti della chirurgia, alla luce dell’annoso dibattito tra miectomia e alcolizzazione settale. Nelle linee guida americane veniva infatti sancita una superiorità della prima sulla seconda, anche in termini di indicazione (IIa contro IIb, rispettivamente, nei pazienti candidabili ad ambedue le procedure; mentre l’indicazione per l’alcolizzazione sale a IIa nei pazienti non idonei alla chirurgia; vedi Tabella 1). In pratica, veniva ribadito il ruolo della miectomia come “gold standard”, e quello dell’alcolizzazione come tecnica da impiegare nei soggetti ad alto rischio chirurgico, o in caso di una espressa volontà del paziente di optare per la soluzione percutanea dopo adeguata informazione 18. Nel documento europeo viene invece presa una posizione sostanzialmente neutra, esprimendo una (ovvia) preferenza per la chirurgia solo in presenza di indicazioni addizionali quali la necessità di riparare o sostituire la valvola mitrale20. Tale posizione rispecchia la mancanza di dati prospettici e randomizzati di confronto tra miectomia ed alcolizzazione settale; dati che, almeno per quanto riguarda gli ­endpoint legati alla sopravvivenza, non è realistico aspettarsi nemmeno in futuro22. Oggi sappiamo che entrambe le tecniche migliorano i sintomi e la capacità di sforzo dei pazienti con CMI. Tuttavia, i risultati con la chirurgia sono in genere più radicali (mentre con l’alcolizzazione sono frequenti gradienti residui di una certa entità), più mirati allo specifico meccanismo dell’ostruzione nel singolo paziente, ed associati a dati di outcome a lungo termine davvero lusinghieri17. Inoltre, è da tenere presente l’incognita dell’ampia cicatrice che residua dopo l’alcolizzazione, soprattutto nei pazienti più giovani, mentre tale esito è del tutto assente nei cuori sottoposti a chirurgia19. Di fatto, una via preferenziale verso la chirurgia è tacitamente implicita nella raccomandazione di sottoporre il paziente ad una valutazione multidisciplinare in ambito dedicato alla CMI, in quanto i maggiori centri di riferimento optano molto più spesso per tale opzione, che per l’alcolizzazione12,13,19. Tuttavia, sarebbe stato forse condivisibile riconoscere in modo più deciso alla miectomia i meriti raccolti in oltre 50 anni di onorato servizio, e gli oggettivi vantaggi che continua a presentare nei confronti della soluzione percutanea.



Il prossimo futuro vede già un potenziale impiego di tecniche percutanee alternative all’alcolizzazione settale nei pazienti con CMI ostruttiva sintomatica, quali la MitraClip23. La possibilità di risolvere l’ostruzione evitando un intervento cardiochirurgico, ma anche la cicatrice legata all’iniezione di etanolo, sarebbe sicuramente ben accolta. Tuttavia, è probabile che le opzioni percutanee restino comunque destinate ad una nicchia di pazienti con CMI. Sul campo opposto, i notevoli risultati della chirurgia stanno infatti già portando ad una sua probabile espansione in questa patologia. Sebbene le linee guida europee ed americane chiariscano in modo inequivocabile che qualunque opzione invasiva deve essere limitata ai pazienti ostruttivi con sintomi marcati e refrattari alla terapia farmacologica 18,20, da più parti sorge infatti il sospetto che un intervento più precoce ed in casi meno sintomatici possa portare ad un beneficio in termini di prognosi. Trattandosi di pazienti spesso giovani ed attivi sul piano fisico e lavorativo, l’impatto di una miectomia ben eseguita – purché il rischio sia sufficientemente basso da renderla plausibile – è tale da poterla considerare prima che le conseguenze morfostrutturali, prima fra tutte la dilatazione atriale, ne limitino il beneficio 3. Analogamente a quanto osservato per la chirurgia riparativa sulle valvole, è ragionevole pensare di abbassare l’asticella per la miectomia chirurgica nei pazienti con CMI, purché tale processo si collochi nell’ambito di una valutazione multidisciplinare e venga gestito da operatori esperti? L’impressione è che lo sia. Tuttavia, piuttosto che seguire impressioni personali ed “expert opinions”, come troppe volte in passato, la risposta a questa domanda deve basarsi su studi solidi e adeguatamente disegnati.
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