Valutazione dellereditarietà e analisi molecolare
alla luce delle nuove linee guida europee
sulla cardiomiopatia ipertrofica

Francesca Brun1, Luisa Mestroni2, Gianfranco Sinagra1
1Dipartimento Cardiovascolare, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”, Trieste
2Cardiovascular Institute, University of Colorado Denver AMC, Aurora, Colorado, USA

INTRODUZIONE
La cardiomiopatia ipertrofica (CMI) è la più frequente patologia cardiovascolare su base ereditaria. La stratificazione del rischio di morte improvvisa rappresenta un passaggio cruciale e importante per identificare correttamente i pazienti con CMI.
Le nuove linee guida europee sulla CMI1 pongono l’accento sulla necessità per il paziente di una “cura individualizzata nell’arco della vita” e sottolineano come un’attenta valutazione del paziente sia utile al fine di poter formulare una corretta diagnosi e identificare i familiari a rischio. L’attenta analisi della famiglia, con una raccolta delle informazioni riguardanti i familiari, è fondamentale per disegnare un accurato albero genealogico, poter fornire una consulenza genetica e guidare i test genetici e molecolari.
Le tecnologie di ultima generazione, come il high-throughput next generation sequencing (NGS), sono in grado di analizzare l’intero esoma o genoma, con costi e precisione sostanzialmente simili ai metodi di sequenziamento tradizionale, rendendo l’analisi genetica possibile nella pratica clinica. Indipendentemente dalla metodologia di sequenziamento impiegata, la ricerca di mutazioni nella CMI dovrebbe includere i geni delle proteine sarcomeriche più comunemente implicati. Inoltre, nei pazienti con caratteristiche fenotipiche suggestive di specifiche malattie genetiche, dovrebbe essere avviata una ricerca razionale per mutazioni patogene in altri geni.
Il documento della Società Europea di Cardiologia (ESC) ha adottato il sistema di classificazione delle cardiomiopatie proposto nel documento di consenso ESC del 20132. Nello statement le cardiomiopatie sono definite da specifici criteri morfologici e funzionali e vengono suddivise in genetiche/familiari e non genetiche/non familiari, indipendentemente dalla presenza di malattia extracardiaca3. Si stima che la prevalenza sia tra lo 0.2% e lo 0.23%4.
EZIOLOGIA DELLA CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Questa patologia è causata da mutazione dei geni che codificano per proteine del sarcomero in circa il 60% dei casi ed è trasmessa in modo autosomico dominante. Nel 5-10% dei casi l’ipertrofia ventricolare sinistra trova origine in una serie di altre patologie infiltrative (es. amiloidosi), metaboliche (es. malattia di Fabry) o sindromi (es. sindrome di Noonan), che si presentano con un quadro spesso sovrapponibile alla CMI. Nel documento appena presentato, si sottolinea come una valutazione multidisciplinare e l’identificazione di “red flags” (“segnali di allarme” o elementi clinici suggestivi per la diagnosi) siano step indispensabili per la diagnosi differenziale e quindi per la gestione terapeutica 2.
MUTAZIONI A CARICO DEI GENI CHE CODIFICANO PER LE PROTEINE SARCOMERICHE
Le mutazioni a carico dei geni che codificano per la catena pesante della beta-miosina (MYH7) e per la proteina C che lega la miosina (MYBPC3) costituiscono le varianti più frequenti (circa il 70%). Meno comuni sono le mutazioni a carico dei geni che codificano per la troponina cardiaca I e T (TNNI3, TNNT2), la catena alfa-tropomiosina (TPM1) e la catena leggera 3 della miosina (MYL3). Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti con mutazioni a carico delle proteine sarcomeriche manifestano la malattia in età più precoce e hanno una più alta incidenza di storia familiare di CMI e morte improvvisa cardiaca, rispetto a quelli senza una mutazione identificata 5,6. Inoltre tendono a manifestare un’ipertrofia più severa, disfunzione microvascolare e fibrosi miocardica7. I dati pubblicati sul valore prognostico delle mutazioni relative ad alcune proteine sarcomeriche non sono conclusivi: si tratta di studi osservazionali basati su piccoli gruppi di pazienti e spesso con risultati non riproducibili, risentendo della rarità delle mutazioni8-10. I dati che sono emersi recentemente suggeriscono che multiple mutazioni a carico dei geni sarcomerici sono presenti in circa il 5% degli individui, che tendono a manifestare la malattia in età più precoce e con un fenotipo più severo10,11.
La diagnosi differenziale è utile per distinguere la CMI da altre forme di ipertrofia cardiaca e guidare la ricerca genetica. Disordini metabolici (malattia di Anderson-Fabry, sindrome PRKAG2), mitocondriopatie, malattie neuromuscolari (atassia di Friedreich), sindromi malformative (sindrome LEOPARD, Costello) e malattie infiltrative (amiloidosi) sono tutte causa di ipertrofia ventricolare sinistra e vanno considerate in presenza di fenotipi suggestivi.
SCREENING FAMILIARE
La maggior parte dei casi di CMI è trasmessa in modo autosomico dominante, con un rischio di trasmissione ai figli del 50%12. Alcuni casi sono spiegati da mutazioni de novo, ma apparentemente casi sporadici possono essere presenti per la penetranza incompleta. I disordini metabolici hanno frequentemente una trasmissione autosomica recessiva o legata al cromosoma X. Una mutazione patogena viene identificata in circa il 60% dei casi12,13. La probabilità di trovare una mutazione causale è più alta nei pazienti con malattia familiare e più bassa nei pazienti più anziani e negli individui con caratteristiche non classiche.
LA CONSULENZA GENETICA NEI PROBANDI
La consulenza genetica “clinica” nei pazienti con CMI è raccomandata nei casi in cui l’ipertrofia non sia spiegata da sole cause non genetiche. Deve essere fatta da professionisti che lavorano in team multidisciplinari in grado di supportare i pazienti nella comprensione della malattia e nella gestione delle implicazioni psicosociali, professionali, etiche e legali della malattia14-16. La consulenza genetica facilita anche la raccolta di informazioni provenienti da altri membri della famiglia, compresi i sintomi, gli eventuali dati autoptici al fine di costruire gli alberi familiari. L’analisi dei pedigree aiuta a determinare la probabilità di malattia familiare e la verosimile modalità di ereditarietà, fornendo indizi per l’eziologia sottostante2.
Le conseguenze di un eventuale test positivo per il paziente e i suoi familiari devono essere spiegate. Per questo motivo, i test genetici sono raccomandati nei pazienti che soddisfano i criteri diagnostici per CMI17, per consentire lo screening genetico a cascata nei loro familiari. Il test genetico può essere di valore clinico limitato, quando parenti di primo grado non sono disponibili o non sono disposti a prendere in considerazione lo screening per la malattia (Tabella 1).



Il test genetico può contribuire ad individuare soggetti con diagnosi clinica incerta (es. atleti e ipertesi) e deve essere eseguito solo dopo valutazione clinico-anamnestica dettagliata e fatta da team esperto nella diagnosi e nel trattamento delle cardiomiopatie. L’assenza di una mutazione sarcomerica non esclude una CMI familiare e inoltre la presenza di varianti genetiche di significato incerto sono difficili da interpretare18.
L’analisi genetica di campioni di tessuto o di DNA post-mortem può essere utile nella valutazione delle famiglie, ma deve essere attentamente interpretata alla luce di un’accurata ispezione autoptica del cuore ed in conformità con le regole convenzionali per l’assegnazione di patogenicità alle varianti genetiche19. In tutto il mondo è in genere il probando (la prima persona nella famiglia con la diagnosi di malattia), e non il medico, a dover informare i familiari sulla possibilità e utilità dello screening clinico20.
Famiglie con mutazione genetica identificata
Modelli decisionali economici hanno dimostrato che la combinazione di test genetici e lo screening clinico identificano più individui a rischio di sviluppare la malattia e permettono di interrompere il follow-up in un numero maggiore di individui, risultando costo-efficace21.
Per questo motivo, il test genetico a cascata dovrebbe essere offerto a tutti i parenti, in particolare ai consanguinei di familiari affetti, quando una mutazione definitiva è identificata nel probando. Qualora non sia identificata alcuna mutazione nei parenti e il fenotipo sia del tutto negativo, il follow-up non è generalmente indicato; comunque si raccomanda la rivalutazione in caso di comparsa di sintomi o qualora nuovi dati clinicamente rilevanti emergessero nella famiglia (Tabella 2, Figura 1).






Famiglie senza mutazione genetica identificata
Ai parenti adulti di primo grado dovrebbe essere offerto lo screening clinico con ECG ed ecocardiografia quando i test genetici non vengono eseguiti nei probandi, o quando l’analisi genetica non riesce a individuare una mutazione definita o quando rivela una o più varianti genetiche di significato sconosciuto22,23 (Tabella 3). È importante ricordare il fenomeno della penetranza età-correlata: ciò significa che un normale esame clinico-strumentale non esclude la possibilità di sviluppo della malattia nel futuro; pertanto i parenti di primo grado dovrebbero ripetere la valutazione nel tempo.
La frequenza dello screening clinico in assenza di una diagnosi genetica deve essere guidata dall’età di insorgenza e dalla gravità della cardiomiopatia all’interno della famiglia (es. presenza di morti improvvise) e dalla partecipazione ad attività sportive e competitive. Persone che hanno caratteristiche clinico-strumentali non ancora sufficienti per la diagnosi di malattia dovrebbero essere valutate inizialmente a intervalli di 6-12 mesi e poi meno frequentemente, se non vi è progressione del quadro 22.



Lo screening clinico e genetico nei bambini
Un approccio diverso può essere considerato in età pediatrica; infatti in questo caso è necessario tener conto delle implicazioni a lungo termine di un test genetico positivo. Su richiesta dei genitori o del tutore legale, la valutazione clinica può precedere o essere sostituita alla valutazione genetica, quando questa è ritenuta essere la scelta migliore nell’interesse del minore. Vi sono potenziali benefici dello screening in età evolutiva; questi includono la riduzione di incertezza e di ansia, la possibilità di fare progetti di vita realistici e la sorveglianza clinica mirata 24. Dall’altro lato esiste un potenziale danno che include l’aumento dell’ansia, l’alterazione dell’immagine di sé, la distorsione della percezione del bambino da parte dei genitori e di altri adulti responsabili (come gli insegnanti), l’assenza di progettualità futura. Pochi sono i dati in letteratura circa l’outcome nei bambini con mutazione genetica, senza fenotipo.
Il punto di vista espresso in queste linee guida è che lo screening clinico e genetico dovrebbe essere preso in considerazione a partire dall’età di 10 anni. I controlli clinici o la ricerca genetica in giovane età possono essere opportuni in famiglie con disturbi ad esordio precoce (es. disturbi delle proteinchinasi della famiglia MAPK [mitogen-activated protein-kinase], con conseguente difetto di fosforilazione di alcune proteine che si legano al DNA, errori del metabolismo o mutazioni multiple del sarcomero), quando vi è una storia familiare maligna nell’età infantile, quando si manifestano sintomi cardiaci o quando i bambini praticano un’attività sportiva agonistica.
Follow-up dei portatori della mutazione senza fenotipo
In questo gruppo rientrano individui con genotipo positivo e fenotipo negativo. Ci sono pochi dati sulla storia naturale di individui che sono portatori di una mutazione genetica e che non hanno il fenotipo, recenti studi suggeriscono un decorso clinico benigno per la maggior parte dei portatori di mutazione che non hanno la malattia25. La morte cardiaca improvvisa è rara in assenza di ipertrofia cardiaca ed è isolata principalmente in report di pazienti con mutazioni della troponina T26.
Test prenatale
La diagnosi genetica prenatale può essere eseguita all’inizio della gravidanza con un prelievo dei villi coriali o l’amniocentesi, ma la procedura non è legalmente riconosciuta in alcuni paesi europei ed è limitata a malattie gravi e incurabili in altri. Data la considerevole variabilità nell’espressione fenotipica della CMI e della storia naturale, spesso benigna, la diagnosi genetica prenatale di CMI sarà raramente appropriata. L’utilizzo dell’ecocardiografia fetale per individuare la malattia precoce non è raccomandato, perché la probabilità di espressione cardiaca nel feto è estremamente bassa, con l’eccezione di alcuni disturbi sindromici e metabolici.
CONCLUSIONI
Le nuove linee guida ESC sulla CMI appaiono pratiche, innovative e, per le attuali conoscenze, sufficientemente basate sull’evidenza. Il ruolo del test genetico nelle forme familiari a fini di screening è di particolare utilità nei soggetti che non presentino il fenotipo e che, grazie a questa informazione, potranno essere seguiti con follow-up appropriato o, in caso di negatività, rassicurati. L’utilità è provata anche nei quadri sindromici o dubbi. Persiste qualche elemento di contraddittorietà fra i limiti noti delle metodiche di caratterizzazione genetica, la bioinformatività delle famiglie e la raccomandazione di caratterizzare geneticamente sempre anche i casi sporadici lasciando ad uno step successivo la valutazione clinica e strumentale.
Il documento sottolinea come nella gestione di questa patologia sia fondamentale l’accuratezza della diagnosi clinica, senza la quale le informazioni delle indagini sarebbero fuorvianti nel guidare i test genetici. Spetta al clinico riconoscere eventuali “red flags” e fenotipi peculiari per guidare l’analisi genetica. Lo screening genetico ha delle ricadute importanti sui familiari e sui minori, pertanto la gestione dei test genetici deve essere eseguita in laboratori certificati e i risultati comunicati da team esperti.
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