I peptidi natriuretici per la gestione dei pazienti
con scompenso cardiaco: un ponte fra Medicina Generale e Cardiologia?

Gaetano D’Ambrosio1, Damiano Parretti1, Renata De Maria2, Iacopo Cricelli1,
con il contributo di Giuseppe Di Tano
3, e Nadia Aspromonte4
1Società Italiana di Medicina Generale, Firenze
2Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis”, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
3U.O. Cardiologia, Azienda Istituti Ospitalieri, Cremona
4U.O. Cardiologia, Ospedale San Filippo Neri, Roma
Background. The increasing prevalence of heart failure (HF) mandates the establishment of shared strategies between primary care physicians (PCP) and cardiologists to offer patients continuity of care. Easily available, low-cost biomarkers hold potential to facilitate this process. Data on the diffusion of natriuretic peptides (NP), a major novelty in the HF field in the last decade, in primary care are scarce.
Methods. The Cardiovascular Area of the Italian General Practice Society led a web survey among its members to investigate knowledge, perceptions and use of NP for HF management among Italian PCP.
Results. Over 700 PCP took part in the survey, three out of four declared they never or only occasionally prescribed NP assays. Among participating PCP, 86% reported that PN values were not regularly mentioned in discharge summaries of their patients hospitalized for acute HF. Conversely, only 4% reported to receive regularly PN prescription by cardiologists for their outpatients with chronic HF. One of five respondents ignored whether the assay was reimbursed by the National Health Service. The high negative predictive value for HF of elevated NP levels, the strongest evidence-based indication of NP, was correctly pointed out only by 13% of PCP.
Conclusions. In our PCP sample, we documented a marginal use of NP in the management of HF patients. This is likely, at least in part, linked to a perceived scarce indication of NP values in discharge summaries and limited prescription in HF outpatients by cardiologists. Overall, PCP knowledge of the evidence on NP assay use for diagnosis, risk stratification and guided therapy of HF was limited. Two expert cardiologists were asked to comment on these findings and on the controversial aspects of the current use of NP in HF patients to better define their role as a tool for shared care between cardiologists and PCP.
Key words. Heart failure; Natriuretic peptides; Primary care; Survey.

INTRODUZIONE
La crescente prevalenza dello scompenso cardiaco (SC) impone l’esigenza di definire adeguate strategie operative condivise tra Cardiologia e Medicina Generale nel realizzare percorsi appropriati di continuità assistenziale. Selezionare precocemente i pazienti che possono beneficiare della consulenza cardiologica e avviarli prontamente alle terapie farmacologiche di documentata efficacia per ridurre mortalità e morbilità sono obiettivi assistenziali cruciali dello SC cronico per la Medicina Generale. Nel contesto delle cure primarie, a fronte di una limitata accessibilità delle metodiche strumentali, l’accuratezza della diagnosi di SC basata sulle manifestazioni cliniche, poco specifiche in pazienti che spesso presentano più comorbilità, varia dal 25% al 50% 1. Pertanto proprio in questo contesto i peptidi natriuretici (PN) sarebbero strategici per escludere lo SC cronico in maniera affidabile e indirizzare appropriatamente alla consulenza cardiologica.
La possibilità di utilizzare biomarcatori di facile accesso e basso costo rappresenta un indubbio ausilio nella gestione di specifici modelli assistenziali ospedale-territorio. L’introduzione in clinica del dosaggio dei PN, il peptide natriuretico cerebrale (BNP) e il suo frammento inattivo NT-proBNP, sintetizzati nei cardiomiociti in seguito ad incrementi dello stress di parete, per sovraccarico di volume o pressione, rappresenta una delle maggiori novità nel campo dello SC nell’ultimo decennio 2. Il dosaggio dei PN è fortemente raccomandato dalle linee guida per la diagnosi, la valutazione di severità e la stratificazione prognostica nel paziente ricoverato per SC acuto e nel paziente ambulatoriale con SC cronico3-6 e come endpoint surrogato nei trial sullo SC acuto7, con una sostanziale equivalenza dei due biomarcatori, mentre meno consolidata è l’indicazione come guida alla gestione terapeutica3-6.
La diffusione dei PN in ambito cardiologico come strumento gestionale nello SC è stata analizzata in una survey della ­Heart Failure Association condotta in 33 paesi membri della Società Europea di Cardiologia8: in Italia, come nelle altre nazioni dell’Europa settentrionale e occidentale, viene riferita una disponibilità dei PN superiore all’80% dei centri cardiologici che trattano pazienti con SC acuto. Poco è noto invece sulla loro diffusione nell’ambito delle cure primarie, sebbene siano trascorsi quasi 20 anni dalle prime segnalazioni della loro utilità in questo specifico contesto9.
MATERIALI E METODI
Allo scopo di analizzare la diffusione dei PN nella gestione territoriale dei pazienti con SC, l’Area Cardiovascolare della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) ha condotto una survey che ha coinvolto 716 medici di medicina generale (MMG) con l’obiettivo di sondare le conoscenze relative ai possibili impieghi del dosaggio dei PN nelle cure primarie ed esplorarne il reale utilizzo nella pratica clinica.
È stato realizzato un questionario online anonimo messo a disposizione di tutti i soci sul sito web della SIMG (www.simg.it) per 60 giorni; inoltre i presidenti di sezione hanno diramato ai soci per e-mail un invito alla compilazione. Il questionario era composto da 9 domande, tutte definite come campi obbligatori, per cui tutti i rispondenti hanno dovuto compilarlo completamente. Cinque domande hanno indagato la percezione della diffusione dei PN nelle cure primarie; 4 erano rivolte a valutare le conoscenze dei MMG sull’utilizzo dei PN a scopo diagnostico, a scopo prognostico, nella gestione della terapia dello SC e nella diagnosi precoce della disfunzione asintomatica del ventricolo sinistro.
RISULTATI
Hanno risposto alla survey online 716 MMG, pari a circa il 15% dei MMG contattati, provenienti da tutte le regioni italiane (Tabella 1).
I dati relativi alla diffusione del dosaggio dei PN sono riportati nella Figura 1. Oltre tre quarti dei MMG hanno dichiarato di non utilizzare mai o al massimo occasionalmente i PN. Ben l’86% degli intervistati ha osservato di non rilevare d’abitudine nelle lettere di dimissione dei propri pazienti ricoverati per SC acuto l’indicazione del valore di PN in dimissione. Per contro, solo il 4% ha riferito di ricevere regolarmente la prescrizione del dosaggio dei PN per il paziente ambulatoriale con SC cronico da parte del cardiologo.
Alla domanda sul regime di dispensazione del dosaggio dei PN nella propria realtà territoriale, le risposte sono state molto varie (Figura 2), coerentemente con una reale e marcata difformità tra le regioni italiane nel regime di rimborsabilità dei PN10,11. In particolare, il 41% dei MMG ha dichiarato che il dosaggio è a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, mentre il 21% ha ammesso di non saperlo.
Le risposte sulle indicazioni all’utilizzo dei PN per le indicazioni raccomandate nelle linee guida sono state molto eterogenee (Figura 3), a testimonianza di una conoscenza limitata da parte dei MMG delle loro potenzialità. In particolare, solo il 13% ha risposto correttamente alla domanda sul ruolo diagnostico, dimostrando di conoscere il prevalente valore predittivo negativo del test.
Infine, dall’analisi dei commenti in formato libero, è emerso un forte interesse dei MMG ad approfondire la conoscenza di questi biomarcatori per utilizzarli nella gestione territoriale dei pazienti con SC; in particolare non sono emerse specifiche carenze su singoli aspetti dell’utilizzo pratico dei PN quanto piuttosto un largo bisogno formativo colmabile mediante corsi di formazione ECM e/o incontri con gli specialisti.












DISCUSSIONE
Utilizzo sistematico dei peptidi natriuretici nella gestione del paziente con scompenso cardiaco: il punto di vista della Medicina Generale
La letteratura recente considera il dosaggio dei PN un valido supporto alla gestione del paziente con SC anche nel contesto delle cure primarie, con livelli di evidenza da elevati a moderati per la diagnosi differenziale nel paziente con sintomi e segni di sospetto SC12-14, particolarmente quando questi sono ambigui, o possono essere confusi con altre patologie15; la valutazione prognostica nei pazienti con diagnosi accertata16; lo screening della disfunzione asintomatica del ventricolo sinistro17,18, con valenza prognostica di valori elevati a lungo termine19; la gestione della terapia farmacologica guidata dai livelli di PN16,20.
Questo approccio ha un particolare interesse per il MMG per varie ragioni:
• la limitata accessibilità sul territorio dell’ecocardiografia e le difficoltà dei MMG nell’interpretazione dei referti strumentali rendono l’impiego di un marcatore bioumorale, di semplice lettura e non operatore-dipendente, decisamente attraente;
• in Medicina Generale lo spettro delle condizioni che possono manifestare sintomi simili a quelli dello SC e porre problemi di diagnosi differenziale è molto più ampio che in ambiente specialistico cardiologico. In questo contesto, pertanto, escludere con certezza la malattia è più rilevante che accertarne la presenza; uno strumento diagnostico dotato di elevato potere predittivo negativo è quindi particolarmente utile;
• l’auspicata riorganizzazione della Medicina Generale in Italia prevede un più elevato livello di complessità organizzativa. La disponibilità di diagnostica di primo livello, come il dosaggio dei PN “point of care” e l’ECG, la presenza di personale infermieristico, l’emergenza di nuove professionalità rappresentate da MMG “with special interest” come definiti nel Regno Unito, dovrebbero facilitare l’attuazione di processi di cura più complessi, evitando in molti casi il ricorso allo specialista.
Un aspetto importante dell’utilizzo dei PN per escludere la diagnosi di SC è la scelta dei cut-off diagnostici. Le linee guida europee3 propongono valori limite definiti arbitrariamente in modo da massimizzare il potere predittivo del test nei diversi contesti clinici. Concentrazioni normali dei PN, con valori soglia validati in diversi studi in dipartimento di emergenza (BNP <100 pg/ml e NT-proBNP <300 pg/ml), consentono di escludere con sicurezza una patologia cardiaca significativa evitando ulteriori indagini. Tuttavia, in pazienti ambulatoriali, specie con esordio insidioso dei sintomi, dove l’accuratezza diagnostica dei PN è minore, sono raccomandati limiti di esclusione più bassi (BNP <35 pg/ml, NT-proBNP <125 pg/ml), per evitare falsi negativi 3. In una recente metanalisi di studi in contesti di cure primarie13, sensibilità e specificità per la diagnosi di SC sintomatico o disfunzione asintomatica, secondo il valore soglia ottimale di ciascuno studio, erano rispettivamente 0.82 e 0.64 per il BNP e 0.88 e 0.58 per l’NT-proBNP.
La proposta di utilizzare soglie crescenti all’aumentare dell’età del paziente, codificata nelle più recenti linee guida canadesi6, mira a ridurre la più comune falsa positività in presenza di valori elevati di PN, in particolare dell’NT-proBNP, per contenere il ricorso ad esami diagnostici di secondo livello.
Le linee guida inglesi NICE5 affrontano specificamente la prospettiva della Medicina Generale, raccomandando l’impiego dei PN nel paziente con sospetto SC, senza storia di infarto miocardico, come strumento di selezione per la consulenza cardiologica, definendone l’urgenza in base ai livelli rilevati: invio urgente (entro 2 settimane) per BNP >400 pg/ml o NT-proBNP >2000 pg/ml o sollecito (entro 6 settimane) per BNP >100 pg/ml o NT-proBNP >400 pg/ml.
È peraltro interessante notare che anche nel Regno Unito, dove l’utilizzo diretto dei PN nelle cure primarie è molto enfatizzato21, in una recente indagine22 i MMG dichiarano di impiegare i PN per la diagnosi in meno del 40% dei casi di disfunzione sistolica e in meno del 20% per lo SC a funzione sistolica conservata, mentre si avvarrebbe dei PN ma non vi ha accesso un ulteriore 50% in caso di disfunzione sistolica e un 25% per lo SC a funzione sistolica conservata.
Se i dati relativi all’uso dei PN per l’esclusione o la conferma della diagnosi di SC sembrano quindi ben consolidati, anche nell’ambito delle cure primarie, e registrano minori dubbi anche nei MMG partecipanti nella nostra indagine, è evidente un utilizzo marginale di questo strumento. Questo comportamento potrebbe, almeno in parte, essere determinato dalla percezione che il risultato del dosaggio dei PN sia raramente indicato nelle relazioni di dimissione dei pazienti ricoverati per SC e che anche gli specialisti sembrerebbero poco propensi all’uso dei PN nei pazienti ambulatoriali. Non siamo a conoscenza di studi che abbiamo sistematicamente rilevato nel nostro Paese il tasso di utilizzo dei PN nella pratica cardiologica generale. Nel registro ANMCO IN-HF Outcome, cui hanno partecipato centri con particolare interesse per lo SC, i valori di PN erano riportati nel 30.6% dei pazienti con SC acuto ospedalizzato e nel 6.3% dei pazienti ambulatoriali con SC cronico 23. Un più diffuso utilizzo da parte dei cardiologi probabilmente indurrebbe i MMG ad acquisire maggiore familiarità con i dosaggi, sfruttando le loro potenzialità.
Dal punto di vista conoscitivo la nostra indagine evidenzia invece molte incertezze sulla potenzialità del dosaggio dei PN come supporto alla stratificazione prognostica o guida alla gestione della terapia farmacologica per la scelta delle classi di farmaci e la titolazione delle dosi.
Abbiamo quindi, chiesto a due cardiologi esperti nella tematica dei PN di analizzare specificamente questi temi ponendo loro alcune domande.
Quali informazioni relative all’andamento dei peptidi natriuretici durante il ricovero possono essere utili nella gestione territoriale?
Come premessa generale è necessario tener sempre presente che nel paziente con SC l’instabilizzazione, il ricovero, le cure della fase acuta intraospedaliera, la dimissione, la gestione domiciliare e territoriale non sono episodi isolati ma rappresentano fasi diverse di una storia clinica articolata, determinata dalla gravità della patologia cardiaca di base, dalla sua progressione, dalle intercorrenti comorbilità. I pazienti con SC cronico sono molto eterogenei e complessi, pertanto la loro gestione è necessariamente legata a un approccio olistico e multiparametrico.
Negli ultimi anni si è evidenziato che il rilascio dei PN è legato non solo allo “stretching” miocardico conseguente al sovraccarico di volume, ma anche ad una serie di anormalità strutturali e funzionali del cuore (ventricolari, valvolari, ischemiche, aritmiche). Per questo i PN sono considerati tra i parametri prognostici più potenti nello SC, in quanto riflesso di un globale “disarray” cardiovascolare, e indici di severità della patologia di base24.
Durante un episodio acuto di SC la concentrazione ematica dei PN dipende oltre che dal tipo di peptide utilizzato, dalla popolazione esaminata e dal contesto clinico, in particolare dalla fase di gravità della malattia, ma in tutti i casi aumenta proporzionalmente alla severità dei sintomi, al grado di disfunzione ventricolare sistolica ed esprime indirettamente lo stato di congestione sistemica e di riempimento ventricolare.
Sia il valore misurato all’ingresso in ospedale o alla dimissione sia le variazioni percentuali tra i due dosaggi (riduzione di almeno il 30%, indifferentemente dal tipo di PN) si sono dimostrati utili nel predire gli outcome24-26. Alcuni studi hanno specificamente confrontato i diversi approcci (valore target o percentuali di variazione) con risultati non univoci, probabilmente legati anche alle differenti popolazioni studiate. Ad esempio un’analisi dello studio SURVIVE27 ha dimostrato che una riduzione del BNP >30% al quinto giorno dopo trattamento con levosimendan era maggiormente predittiva di eventi rispetto al valore assoluto alla dimissione. Nel recente trial RELAX-AHF28, più alti livelli in assoluto di NT-proBNP al secondo giorno di ricovero erano associati ad un incremento di tutte le cause di mortalità a 180 giorni mentre la percentuale di riduzione durante i primi 2 giorni dall’arruolamento prediceva meglio la prognosi a distanza.
Benché non vi sia un definito consenso su quale sia il tipo di valore più utile ai fini prognostici, è opinione diffusa che i valori assoluti dei PN alla dimissione dopo un ricovero per SC acuto rappresentino, al di là delle loro variazioni che riflettono comunque sia la gravità dello scompenso che l’entità della risposta alle terapie intraospedaliere, il parametro di riferimento per il successivo follow-up (Tabella 2). Intuitivamente, un paziente che mostra un’importante riduzione del BNP dall’ingresso alla dimissione, ad esempio da 4000 a 1500 pg/ml, nonostante una riduzione di oltre il 50% è da considerarsi ancora ad alto rischio, oltre ad avere probabilmente una patologia di base più complessa, in quanto dimesso con valori comunque elevati, rispetto ad un paziente che ha avuto una riduzione percentualmente minore, per esempio da 500 a 300 pg/ml. Ciò spiega l’importanza del valore pre-dimissione rispetto all’entità della riduzione: pazienti dimessi con BNP <300 pg/ml 29 o NT-proBNP <1000 pg/ml30 avranno comunque una migliore prognosi a distanza, a conferma dell’assunto secondo il quale “più basso è meglio”2.



Infatti una delle finalità del trattamento in ospedale è il raggiungimento della stabilizzazione clinica con il corrispettivo di valori di BNP in corso di euvolemia. La mancata o minima riduzione dei livelli di PN dopo un trattamento intensivo appropriato o la persistenza di livelli elevati in fase di dimissione, suggeriscono una prognosi sfavorevole e richiederanno approcci più aggressivi e specifici con uno stretto follow-up post-dimissione. Conoscere l’andamento dei valori di PN durante il ricovero, qualora si avessero a disposizione più dati, cosa nella realtà italiana ancora poco diffusa, è comunque utile per migliorare il profilo clinico alla dimissione.
Per rafforzare la comunicazione con il MMG, l’Area Scompenso Cardiaco ANMCO ha predisposto un semplice strumento informativo, scaricabile dal sito dell’Associazione (http://www.anmco.it/pages/entra-in-anmco/aree-anmco/area-scompenso-cardiaco), da allegare alla lettera di dimissione, contenente dettagli sugli indici prognostici più utili dopo uno SC acuto. Per i PN vengono riportati tre diversi livelli di valori assoluti pre-dimissione, cui è associato un corrispettivo livello di rischio (alto-medio-basso) di eventi post-dimissione.
Il valore dei peptidi natriuretici ha anche un significato prognostico. Quali informazioni possono essere desunte dall’andamento dei peptidi natriuretici e dalle sue variazioni in funzione della terapia, con quali risvolti pratici?
Nella gestione territoriale, la prevenzione delle riacutizzazioni anche da parte del MMG, specie in una popolazione cronica stabile, è di importanza cruciale. Infatti, è noto che circa due terzi delle recidive possono essere prevenute se alcuni segni di congestione (sovraccarico di volume, aumento di peso) che precedono i sintomi di circa 7-10 giorni31, fossero precocemente riconosciuti e che il rilascio dei PN aumenta in parallelo con l’elevata pressione di riempimento32. È importante sottolineare che la conoscenza della variabilità biologica di un biomarcatore è un prerequisito per la sua utilizzazione sia come monitoraggio, per definire la stabilità clinica, sia come target di terapia. Sono da considerare significative variazioni almeno del 40% per il BNP, del 25% per l’NT-proBNP33; inoltre, dopo aggiustamenti terapeutici in caso di SC cronico, sono da valutare affidabili valori di NT-proBNP ottenuti non prima di 2-4 settimane33,34. Le variazioni significative dei PN, rispetto ai valori ottenuti in condizioni di euvolemia o peso “secco”, definiti come basali, vengono storicamente considerate segno di sovraccarico e di incombente instabilizzazione35 e impongono modifiche terapeutiche adeguate, in primis l’incremento della dose di diuretico. Recentemente lo studio HABIT36 ha dimostrato come il monitoraggio domiciliare dei PN tramite “self finger-sticking”, associato ad un protocollo di sorveglianza clinica comprendente il peso corporeo, oltre ad essere semplice e gestibile, permetta di riconoscere le fluttuazioni intra-individuali dei PN e svelare quelle legate a reali instabilizzazioni.
Esperienze preliminari sull’integrazione del dosaggio “point of care” dei PN, mensile o in caso di sintomi, in un modello di gestione domiciliare/territoriale infermiere-MMG integrato, sono in corso anche in Italia con buoni risultati preliminari: quelli provenienti dall’esperienza nel distretto fiorentino riportano una riduzione totale delle ospedalizzazioni fino al 60% a 6 mesi rispetto ai dati storici (Milli M., dati non pubblicati).
Ottimizzare la terapia per prevenire le riacutizzazioni e l’ospedalizzazione rappresenta una priorità nella gestione del paziente con scompenso cardiaco. È attualmente ipotizzabile l’utilizzo dei peptidi natriuretici per guidare la terapia e prevenire le riacutizzazioni? Quali indicazioni per la Medicina Generale? 
La possibilità di modulare la terapia per lo SC cronico in accordo ai valori dei PN ha un indubbio fascino teorico. Altre diffuse patologie croniche, ad esempio i distiroidismi e il diabete mellito, sono trattate e monitorate basandosi su specifici biomarker. È noto inoltre che i valori dei PN si riducono parallelamente alla riduzione dei segni e sintomi di congestione determinata dalla terapia diuretica e dopo adeguato incremento del dosaggio di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), betabloccanti e antagonisti dell’aldosterone 2. Ad oggi, però, sulla base delle evidenze di singoli studi e metanalisi, le raccomandazioni delle linee guida sull’adozione routinaria di una terapia PN-mediata sono improntate ad una sostanziale cautela3-6.
Negli ultimi anni sono state pubblicate alcune metanalisi, robuste e statisticamente molto accurate37,38, che hanno quantificato una riduzione di mortalità per tutte le cause intorno al 20-38% ed una riduzione significativa delle ospedalizzazioni per SC del 33-50%, legate al raggiungimento in tutti gli studi esaminati di dosaggi più elevati dei farmaci, specie degli ACE-inibitori o dei bloccanti recettoriali dell’angiotensina II. Tuttavia, le riospedalizzazioni per tutte le cause non sono diminuite, risultato che indirettamente attenua i vantaggi dimostrati sulla riduzione delle ospedalizzazioni per SC, mentre si conferma l’interazione negativa con l’età avanzata. Infatti, come del resto già anticipato nello studio TIME-CHF 39, i benefici in termini di riduzione di mortalità si perdono nei pazienti di età >75 anni, probabilmente a causa della prevedibile complessità di questa numerosa popolazione, per la maggiore fragilità, il maggior numero di comorbilità e politerapie, la maggiore incidenza di funzione sistolica conservata, che limita gli aggiustamenti terapeutici ed espone a maggior rischio di interazioni farmacologiche e di effetti collaterali. I limiti insiti nell’applicazione di questa strategia alla popolazione anziana sono stati evidenziati anche in termini di costi da una recente analisi inglese 40 che ha dimostrato come una gestione specialistica con dosaggi seriali di PN, globalmente rivelatasi costo-efficace, non lo sia nel sottogruppo di pazienti ultrasettantacinquenni in cui appare, tra l’altro, potenzialmente dannosa. Queste considerazioni confermano quindi l’orientamento delle linee guida per cui, soprattutto nella popolazione anziana affetta da SC cronico come patologia prevalente, ma spesso non isolata, senza un supporto di un trial specificatamente disegnato 41, non appare attualmente auspicabile una gestione della terapia farmacologica PN-guidata da parte del MMG.
Conclusioni
L’implementazione dell’uso dei PN per lo SC anche nel contesto delle cure primarie rappresenta un indubbio vantaggio gestionale.
L’analisi delle risposte della survey, in particolare il forte interesse dei MMG ad approfondirne il ruolo e la disponibilità mostrata al loro utilizzo, rappresenta uno stimolo ed un auspicio a strutturare adeguati modelli gestionali, che vedranno sempre prioritari ed imprescindibili, l’educazione dei pazienti e dei familiari, l’appropriatezza delle scelte terapeutiche del medico, la collaborazione tra MMG e specialisti cardiologi. Nella prospettiva di un sempre maggior impegno di queste figure professionali nella gestione dei pazienti con SC sul territorio, appare di importanza strategica la condivisione di criteri di utilizzo appropriato dei PN e la creazione di un movimento di opinione, supportato dalle reciproche società scientifiche, a favore della disponibilità del dosaggio, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, su tutto il territorio nazionale.
RIASSUNTO
Razionale. La crescente prevalenza dello scompenso cardiaco (SC) impone l’esigenza di strategie operative condivise tra Cardiologia e Medicina Generale nel realizzare percorsi appropriati di continuità assistenziale per i quali l’utilizzo di biomarcatori di facile accesso e basso costo rappresenterebbe un indubbio ausilio. Poco è noto sulla diffusione dei peptidi natriuretici (PN), tra le maggiori novità dell’ultimo decennio nel campo dello SC, nell’ambito delle cure primarie.
Materiali e metodi. L’Area Cardiovascolare della Società Italiana di Medicina Generale ha condotto tra i suoi aderenti medici di medicina generale (MMG) una survey online di 9 domande come campi obbligatori, con l’obiettivo di sondare le conoscenze relative ai possibili impieghi del dosaggio dei PN nelle cure primarie ed esplorarne il reale utilizzo nella pratica clinica.
Risultati. Hanno risposto alla survey 716 MMG. Oltre tre quarti hanno dichiarato di non utilizzare mai o al massimo occasionalmente i PN. Ben l’86% degli intervistati ha osservato di non rilevare d’abitudine nelle lettere di dimissione dei propri pazienti ricoverati per SC acuto l’indicazione del valore di PN in dimissione. Per contro, solo il 4% ha riferito di ricevere regolarmente la prescrizione del dosaggio dei PN per il paziente ambulatoriale con SC cronico da parte del cardiologo. Un quinto dei MMG ha dichiarato di non conoscere il regime di dispensazione del dosaggio nel proprio territorio. L’elevato valore predittivo negativo per la diagnosi di SC, valenza principale e indicazione più consolidata dei PN, è stato correttamente rilevato solo dal 13%.
Conclusioni. I MMG intervistati dichiarano un utilizzo marginale dei PN nella gestione dei pazienti con SC, almeno parzialmente legato alla percezione che il risultato del dosaggio dei PN sia raramente indicato nelle relazioni di dimissione e che anche gli specialisti siano poco propensi all’uso dei PN nei pazienti ambulatoriali. Dalle domande volte a valutare le conoscenze sull’utilizzo dei PN a scopo diagnostico, prognostico e gestionale della terapia dello SC, emerge una conoscenza molto limitata da parte dei MMG delle potenzialità dei PN. Un più diffuso utilizzo da parte dei cardiologi probabilmente indurrebbe i MMG ad acquisire maggiore familiarità con questo importante ausilio. Con il contributo di due esperti si analizzano gli aspetti più controversi dell’impiego dei PN nella stratificazione del rischio e come guida al trattamento farmacologico, per meglio definirne il ruolo come strumento nella gestione ospedale-territorio del paziente con SC.
Parole chiave. Medicina Generale; Peptidi natriuretici; Scompenso cardiaco; Survey.
in memoriam
Questo lavoro è dedicato alla memoria di Alessandro Filippi, medico di medicina generale e cardiologo, e al suo indimenticato impegno nel voler essere ponte fra le due discipline nel miglior interesse dei pazienti cardiopatici.
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