In questo numero

questioni aperte





Confrontando i nuovi anticoagulanti orali…

L’anno 2009 è stato un anno di svolta per la cardiologia con la pubblicazione dei primi trial clinici randomizzati sull’impiego dei nuovi anticoagulanti orali non antagonisti della vitamina K per la prevenzione e trattamento dei soggetti affetti da trombosi venosa profonda/embolia polmonare e per la prevenzione del tromboembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale. Dopo la pubblicazione dei dati del dabigatran, inibitore diretto orale della trombina, sono stati pubblicati i risultati ottenuti con tre farmaci inibitori diretti orali del fattore X attivato, rispettivamente rivaroxaban, apixaban ed edoxaban, e ad oggi vi può essere imbarazzo nella scelta in quanto tutti si sono dimostrati almeno non inferiori al warfarin per efficacia, ma soprattutto più sicuri. In realtà confronti diretti tra le quattro molecole non possono essere fatti. Giuseppe Patti et al. sottolineano profonde differenze negli studi registrativi, in termini di eterogeneità del profilo di rischio tromboembolico ed emorragico delle popolazioni arruolate, di variabilità delle definizioni degli endpoint primari di sicurezza e di disomogeneità dei criteri di riduzione del dosaggio in presenza di insufficienza renale. Si ritiene più corretta la scelta di un trattamento individualizzato per il singolo paziente, dato che ogni nuovo anticoagulante orale ha caratteristiche specifiche e punti di forza. •





Nuovi anticoagulanti orali e fragilità: siamo tutti d’accordo?

Con l’aumento della vita media i pazienti con cui abbiamo a che fare e trattiamo quotidianamente sono quelli anziani e fragili. I nuovi anticoagulanti orali, in virtù della loro capacità di ridurre significativamente il rischio emorragico, in particolare le emorragie intracraniche, sembrano farmaci ampiamente sicuri. Ma ancora una volta ci viene dato un alert. Nei trial registrativi gli anziani ultrasettantacinquenni rappresentano circa il 30% degli arruolati e sicuramente non sono gli anziani con plurime comorbilità del mondo reale. Per contro occorre comprendere bene il concetto di fragilità, recentemente definita come “condizione clinica caratterizzata da un’aumentata vulnerabilità agli agenti patogeni e ai vari tipi di stress, che può portare alla dipendenza e/o alla morte e che può essere in rapporto a innumerevoli cause”. Come sottolineano Paolo Alboni et al., sono pertanto necessari studi prospettici che analizzino l’impiego dei nuovi anticoagulanti orali in questa specifica categoria di pazienti, che essendo più vulnerabili potrebbero presentare un rischio emorragico elevato, attualmente non calcolato e quantificato neppure dagli score a disposizione. •

rassegne





Fibrillazione atriale e nuovi anticoagulanti orali: finalmente il real world

I ben noti limiti della terapia anticoagulante orale con antagonisti della vitamina K sono stati ampiamente superati con i nuovi farmaci anticoagulanti orali diretti. Ma se tanto sono stati attesi, ad oggi stentano ancora a decollare, forse per timori diffusi da parte dei clinici e per vincoli burocratici nella prescrizione. Al contempo però cominciamo a disporre di numerosi dati di impiego di questi farmaci nel mondo reale, che ne confermano efficacia e sicurezza su grandi numeri di pazienti, non selezionati come nei trial clinici randomizzati e con plurime comorbilità. I dati osservazionali e prospettici, provenienti per lo più da registri di soggetti nord-americani e danesi naïve alla terapia anticoagulante orale, dimostrano anche nel real world un’efficacia sovrapponibile a quella del warfarin associata ad una significativa riduzione dei sanguinamenti, con tassi di aderenza e persistenza in terapia molto elevati. Letizia Riva e Giuseppe Di Pasquale si augurano pertanto che un sempre maggiore numero di pazienti affetti da fibrillazione atriale venga trattato, andando almeno a colmare l’ampio undertreatment cui abbiamo assistito fino ad ora. •





Fibrillazione atriale e diabete mellito: who is the nasty and the guilty?

La correlazione tra diabete mellito e malattia cardiovascolare è una certezza acquisita e consolidata della cultura cardiologica e medica in generale. Meno chiara è invece la correlazione esistente tra diabete mellito e fibrillazione atriale, se si eccettua l’influenza sul rischio tromboembolico. In questa interessante revisione della letteratura di Riccardo Proietti et al. si analizza il ruolo del diabete mellito nella determinazione dell’insorgenza di fibrillazione atriale. Estremamente lodevole sotto il profilo culturale è il tentativo di speculare riguardo ai meccanismi di correlazione inversa tra fibrillazione atriale e insorgenza di diabete mellito. È solo una fantasia culturale o le evidenze suggeriscono che ci può essere qualcosa di più? E sul piano più pragmatico, dobbiamo valutare diversamente le indicazione all’ablazione della fibrillazione atriale nel paziente diabetico? A questi ed altri interrogativi la revisione fornisce risposte sulla base della letteratura disponibile che ovviamente per certi ambiti necessita di maggiori e più approfonditi studi. •





Nuovi anticoagulanti orali nella fibrillazione atriale: una risorsa sottoutilizzata nella pratica clinica in Italia

Le evidenze scientifiche a supporto dell’efficacia e della sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) nella fibrillazione atriale oggi, 8 anni dopo la pubblicazione dello studio RE-LY, sono numerose e tutte le linee guida ne raccomandano il loro utilizzo. Tuttavia, nonostante i potenziali vantaggi dei NAO rispetto agli antagonisti della vitamina K, la penetrazione di questi farmaci nella pratica clinica in Italia è limitata e comunque più lenta di quanto prevedibile sulla base dell’analisi dell’accaduto in altri paesi europei. Giovanni Luca Botto et al. ci offrono una interessante rassegna che analizza le principali motivazioni che a loro avviso hanno determinato questo andamento nell’utilizzo clinico dei NAO in Italia e identificano alcuni aspetti clinici e/o organizzativi inerenti all’impiego dei NAO meritevoli di approfondimento al fine di implementarne l’utilizzo. Alcuni punti fondamentali risultano essere l’organizzazione dei percorsi di follow-up e l’ampliamento della prescrivibilità anche a medici di base o ad altre branche specialistiche oggi ancora escluse. Questa rassegna è uno spunto di riflessione da cui partire per vincere eventuali “remore” che ci possono condizionare nella pratica quotidiana e per sviluppare percorsi logistico-organizzativi nella nostra rete ospedaliera che possano consentire di sfruttare maggiormente questa risorsa terapeutica. •





Cuore e tiroide: le patologie della tiroide provocate dall’amiodarone

L’amiodarone è un antiaritmico frequentemente utilizzato nella pratica clinica per il trattamento delle aritmie sopraventricolari e ventricolari, che può determinare, quale effetto indesiderato, l’insorgenza di disfunzione tiroidea. Le malattie tiroidee si manifestano nel 15-20% dei pazienti in terapia con amiodarone. Fausto Bogazzi et al. analizzano i diversi quadri clinici di patologia tiroidea che possono conseguire alla somministrazione di amiodarone, vale a dire ipotiroidismo, tireotossicosi di tipo 1 e di tipo 2, e ne analizzano l’epidemiologia, il meccanismo patogenetico, la relazione temporale tra somministrazione di amiodarone e sviluppo della patologia tiroidea, la presenza di condizioni predisponenti e i principi di trattamento. Questa rassegna si focalizza su un tema importante della pratica clinica quotidiana e sottolinea la necessità di un’interazione tra cardiologo ed endocrinologo quando si decide di utilizzare l’amiodarone. La valutazione integrata del quadro cardiologico ed endocrinologico deve iniziare sin dal momento iniziale in cui si ipotizza l’impiego dell’amiodarone al fine di valutare il rischio di sviluppo di disfunzione tiroidea e pianificare quindi un adeguato follow-up per il paziente. Vengono analizzate le motivazioni della necessità di un continuo bilanciamento del quadro endocrinologico e cardiologico per tutta la durata della terapia con amiodarone al fine di trovare il migliore punto di equilibrio fra cuore e tiroide. •

studi osservazionali





Fibrillazione atriale in Italia: epidemiologia e trattamento

La fibrillazione atriale è un’aritmia estremamente frequente e la gestione del suo trattamento è un problema quotidiano nella pratica clinica di tutti i cardiologi. Felicita Andreotti et al. forniscono una stima dell’epidemiologia della fibrillazione atriale in Italia e della popolazione candidata a profilassi tromboembolica con anticoagulanti orali. L’analisi della situazione in Italia documenta chiaramente che una proporzione consistente di pazienti con fibrillazione atriale risulta ancora sottotrattata in quanto, nonostante le raccomandazioni delle linee guida, non riceve terapia anticoagulante orale, né con inibitori della vitamina K, né con nuovi anticoagulanti orali (NAO). Inoltre l’analisi della situazione documenta una diffusione disomogenea del trattamento con NAO, con differenze estremamente significative fra le realtà italiane. Questo studio è una fotografia molto interessante della situazione italiana e può essere il punto di partenza per una riflessione della comunità cardiologica italiana finalizzata a sviluppare percorsi per l’implementazione e l’ottimizzazione della profilassi tromboembolica nei pazienti con fibrillazione atriale. •





L’utilizzo di rivaroxaban nella reale pratica clinica italiana con una visuale importante del giudizio dei pazienti

I dati inerenti all’utilizzo di rivaroxaban nel tromboembolismo venoso sono solidi e l’efficacia e la sicurezza del farmaco sono state dimostrate nel trial clinico randomizzato EINSTEIN. Questa survey italiana condotta da Raffaele Pesavento e Ido Iori, a nome del Gruppo Italiano Survey TEV, ha valutato 345 pazienti che nei 6 mesi precedenti sono stati in terapia con rivaroxaban. Nel 90% dei pazienti era stata diagnosticata una trombosi venosa profonda e nel 47% un’embolia polmonare. Dato estremamente interessante: solo il 48% dei pazienti veniva ricoverato. L’aderenza alla terapia è stata ottima e più del 90% dei pazienti non ha necessitato di adeguamento terapeutico. Inoltre, quando intervistati, i pazienti si sono dichiarati molto sodisfatti della terapia. Lo studio descrive un ambito, sicuramente limitato numericamente, ma fortemente aderente alla realtà clinica quotidiana in cui l’utilizzo di rivaroxaban è non solo sicuro, ma semplice e fortemente apprezzato dai pazienti. •

caso clinico





Quando la chiusura dell’auricola sinistra non è sufficiente...

Un eccezionale caso clinico di una rara trombosi atriale destra scoperta occasionalmente in un paziente che accede al Pronto Soccorso per un episodio sincopale. Il dato saliente è rappresentato dall’intervento di chiusura dell’auricola sinistra occorso 2 anni prima, per la presenza di fibrillazione atriale e l’impossibilità di poter eseguire terapia anticoagulante orale. Il caso clinico di Giovanni Barbati et al., oltre a porre una bella revisione della poca letteratura in merito, pone un quesito interessante: possiamo dichiararci soddisfatti dalla chiusura dell’auricola sinistra nei pazienti con fibrillazione atriale nell’impossibilità di eseguire terapia anticoagulante orale? Probabilmente le opportunità terapeutiche disponibili non sono molte, ma pensare che ancora qualcosa da fare c’è in questi pazienti, ci rende meno autoreferenziali. •