“Acute cardiac care” in Europa: impressioni dall’ACCA White Book in attesa del position paper sulle terapie intensive cardiologiche

Le malattie cardiovascolari rappresentano le patologie acute più frequenti nel mondo occidentale. Fortunatamente gli ultimi decenni hanno visto importanti miglioramenti nel loro trattamento, basti pensare alla riperfusione nell’infarto e alla rivascolarizzazione nelle sindromi coronariche acute. Molti sforzi sono in corso nello scompenso cardiaco acuto e in altri campi. Negli stessi anni anche le unità coronariche, dove si era inizialmente sviluppato il trattamento dell’infarto, hanno subito importanti evoluzioni, ampliando sostanzialmente la propria area di influenza tanto da mutarne il nome in unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC)1. Queste conquiste mediche hanno ridotto la mortalità e la morbilità di molte patologie cardiache acute. Questi avanzamenti dovrebbero essere trasferiti uniformemente nella pratica clinica per permettere a tutti i pazienti di beneficiarne. Purtroppo in ogni nazione, la gestione delle cardiopatie acute è frutto di una complessa relazione tra diversi professionisti con differenti conoscenze, competenze e specializzazioni. A questo si aggiungono le differenze legate ai diversi modelli organizzativi dei sistemi sanitari, che a loro volta prevedono percorsi differenti sul territorio, al momento del primo contatto medico, in pronto soccorso, nel dipartimento di emergenza o nei diversi reparti ospedalieri. A complicare ancor di più la situazione, non vanno sottovalutate le differenze causate dalla diversa disponibilità di risorse economiche e dalle diverse legislazioni.

Questa lunga serie di fattori interferisce con la gestione dei pazienti con cardiopatia acuta e rende ragione dell’enorme complessità del problema. Diventa infatti difficile per le Società Scientifiche sviluppare raccomandazioni universalmente valide in tutti gli ambienti o applicabili nelle nazionalità più disparate, e questo è tanto più vero per la Società Europea di Cardiologia (ESC) quanto più viene vista come la società di riferimento non solo per i paesi europei ma anche per quelli del bacino del Mediterraneo, del Medio Oriente, di Africa, Asia e America Latina. Questo ha indubbie conseguenze, perché le differenze organizzative tra i diversi paesi possono tradursi in variazioni non sempre positive della qualità delle cure e dei risultati attesi per trattamenti già sperimentati nel contesto dei trial clinici randomizzati. In questa panoramica anche la Acute Cardiovascular Care Association (ACCA) che, da Società Scientifica, ha il suo “core business” nello studio e nella gestione delle patologie cardiache acute, riconosce come suo primo obiettivo la volontà di migliorare la qualità delle cure e gli esiti dei pazienti cardiopatici acuti in tutta Europa e potenzialmente nel mondo.




Per sviluppare meglio questa missione, occorre conoscere il campo dove si va a combattere e il Libro Bianco ACCA è il primo tentativo per descriverlo2. Il Prof. Eric Bonnefoy, del Centro Cardiologico di Lione, sostenuto dal Board di ACCA e dal National Cardiac Society Committee, ha analizzato con un ampio gruppo di esperti nazionali le modalità con le quali è strutturata la “acute cardiac care” nella maggior parte dei paesi europei e non europei affiliati ad ACCA. Gli ideatori di questa inchiesta hanno posto ai diversi “campioni” nazionali alcune domande chiavi, quali:

– Come sono gestite le cardiopatie acute nel territorio e in ospedale?

– Quali figure professionali trattano i pazienti con cardiopatia acuta?

– Come sono rimborsati gli ospedali che trattano i pazienti con queste patologie acute?

– Esistono registri nazionali o regionali su questi pazienti?

– Quali linee guida sono seguite per la cura dei soggetti con cardiopatie acute?

– Esistono percorsi educativi specifici per i medici o gli infermieri che trattano i pazienti con cardiopatie acute?

– In quale struttura sono seguiti i pazienti con cardiopatia acuta e quale caratteristica ha il medico che ne è responsabile?

– Quali caratteristiche hanno le terapie intensive dove sono seguiti questi pazienti?

– Quali sono le principali difficoltà incontrate nel trattamento delle cardiopatie acute?

Questa serie di domande ha avuto risposte molto interessanti. Si scopre infatti che mentre i paesi dell’Europa Nord-Occidentale dedicano alla sanità più del 10% del prodotto interno lordo, la gran parte delle nazioni centro-orientali vi attribuisce cifre ben inferiori al 7%. Sorprendentemente un numero centralizzato per l’emergenza, analogo al nostro 118, esiste solo in alcune nazioni (Belgio, Bulgaria, Estonia, Francia, Ungheria, Olanda, Norvegia, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Svizzera). In Bulgaria non esistono ancora network per l’infarto miocardico acuto, presenti invece, seppur con modalità organizzative diverse, nella quasi totalità degli altri stati. In molte nazioni i cardiologi sono disponibili solo negli ospedali di secondo e terzo livello. Un addestramento accademico specifico per la “acute cardiac care” esiste solamente in Austria e in Belgio. Le UTIC in Spagna sono gestite dagli intensivisti, in alcune nazioni come la Germania, in sostanza non esistono, e i pazienti sono seguiti nelle terapie intensive mediche. Inaspettatamente si scopre che alcune nazioni dell’Est Europa chiedono un rimborso ai pazienti per particolari procedure come l’impianto di un contropulsatore o di un defibrillatore. In Macedonia vi è un solo centro in cui sono impiantati i pacemaker temporanei, mentre in alcune nazioni non sono disponibili alcune procedure avanzate. Ad esempio in Bulgaria e Romania non vi è possibilità di sottoporre i pazienti a ipotermia o impiantare un ECMO, in Danimarca il contropulsatore non è più utilizzato in quanto ritenuto inefficace. Come ci si poteva attendere, gran parte delle nazioni, soprattutto dell’Est Europa e del bacino del Mediterraneo, lamentano forti ostacoli economici al trattamento efficace delle cardiopatie acute, al contrario paesi come la Danimarca e l’Estonia soffrono soprattutto l’assenza di personale adeguatamente addestrato.




Queste sono solo alcune delle informazioni che si possono ricavare dalla consultazione del Libro Bianco ACCA e riteniamo che la sua lettura possa essere utile a qualsiasi sanitario coinvolto nella gestione dei pazienti con cardiopatia acuta perché permette uno sguardo oltre i nostri confini, ma soprattutto uno stimolo a migliorare anche a casa nostra.

La pianificazione e la stesura dell’ACCA White Book ha avuto proprio questo effetto. Il Libro Bianco è stato infatti lo stimolo per cercare un comune denominatore per i luoghi dove i pazienti con cardiopatia acuta sono ricoverati, le terapie intensive cardiologiche. Tutti conosciamo il position paper sulle UTIC pubblicato da Hasin et al.3 nel 2005 e che tanto rumore ha fatto anche in Italia, diventando il testo di riferimento per molte delle nostre decisioni organizzative e per i nostri contributi scientifici. Ricordiamo bene come anche sulla scorta di questo documento proprio in quegli anni in Italia si avviarono lunghi dibattiti per la scelta della denominazione (unità di terapia intensiva coronarica o unità di terapia intensiva cardiologica?), ma soprattutto per l’organizzazione di registri e di corsi di competenza clinica che forse hanno fatto scuola. Alla resa dei conti in Italia il nome delle UTIC è sicuramente cambiato, forse non altrettanto la popolazione trattata, ancora prevalentemente “coronarica”, o l’esperienza di chi vi lavora, ancora molto legata alla cardiopatia ischemica acuta nelle sue diverse sfaccettature. Persino in Nord America, mano a mano che andava sviluppandosi la sensibilità verso una migliore organizzazione delle UTIC, si faceva riferimento al testo di Hasin et al. e al lavoro già in atto in Europa4. La realizzazione di UTIC chiuse con personale altamente specializzato veniva proposta anche in quel contesto come un modello organizzativo che avrebbe garantito le cure più appropriate per i pazienti e un decorso clinico più favorevole. Ora, dopo 10 anni di silenzio, a Barcellona durante il congresso ESC 2017, è stato presentato l’“ACCA position paper on intensive cardiovascular care units: an update on their definition, structure, organization and function”. Questo documento si prefigge di delineare i criteri e la struttura delle UTIC e di trovare un comune denominatore all’estrema eterogeneità delle sue varie forme organizzative sia tra le diverse nazioni che all’interno di ogni paese. L’ambizione di ACCA è che questo documento rappresenti il Rinascimento della “acute cardiac care” su cui costruire diversi modelli organizzativi, educazionali e di ricerca.

Oggi la “acute cardiac care” ha raggiunto un bivio dove i cardiologi devono scegliere se concentrare i propri sforzi solo sulle sindromi coronariche acute o ampliare il campo d’interesse a tutta la Cardiologia clinica intensiva (e a molte altre patologie mediche critiche che vi si associano). Questo significa sviluppare, migliorare ed aggiornare le competenze cardiologiche e studiare un nuovo modello di gestione. Una sfida che ACCA raccoglie, ma che deve essere nuovamente accolta anche in Italia per la crescita di tutta la comunità cardiologica!

Gianni Casella1, Maddalena Lettino2

1U.O. Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna

e-mail: gianni.casella@ausl.bologna.it

2Dipartimento Cardiovascolare,
Humanitas Research Hospital, Rozzano (MI)

BIBLIOGRAFIA

1. Lettino M, Vrints C. Acute cardiovascular care IV. Eur Heart J 2013;34:2717-8.

2. Acute Cardiovascular Care Association - European Society of Cardiology. ACCA White Book 2016 - First edition. Available at: https://www.escardio.org/static_file/Escardio/Subspecialty/ACCA/Documents/ACCA WB prefinal ED DC Final.pdf [accessed July 21, 2017].

3. Hasin Y, Danchin N, Filippatos GS, et al.; Working Group on Acute Cardiac Care of the European Society of Cardiology. Recommendations for the structure, organization, and operation of intensive cardiac care units. Eur Heart J 2005;26:1676-82.

4. Katz JN, Shah BR, Volz EM, et al. Evolution of the coronary care unit: clinical characteristics and temporal trends in healthcare delivery and outcomes. Crit Care Med 2010;38:375-81.