Riserva frazionale di flusso per indicare e guidare
la rivascolarizzazione miocardica

Emanuele Barbato1,2, Bernard De Bruyne2

1Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi “Federico II”, Napoli

2Cardiovascular Research Center, Aalst, Belgio

L’indicazione alla rivascolarizzazione miocardica è stata tradizionalmente posta sulla base dei sintomi, dei segni di ischemia inducibile alla valutazione funzionale non invasiva e sulla base della severità anatomica della malattia aterosclerotica coronarica all’angiografia. L’insufficiente accuratezza diagnostica e la limitata risoluzione spaziale delle metodiche di valutazione funzionale da un lato, e la sempre maggiore consapevolezza da parte del cardiologo interventista dell’incapacità di prevedere la severità emodinamica delle stenosi coronariche dall’altro, ha posto le basi di un’integrazione funzionale alla coronarografia. La misurazione invasiva della riserva frazionale di flusso (fractional flow reserve, FFR) rappresenta, per il cardiologo interventista, quello che la scintigrafia miocardica rappresenta per il cardiologo clinico. Con la FFR, il cardiologo interventista può interrogare ciascuna stenosi coronarica visualizzata all’angiografia e decidere in maniera informata di porre l’indicazione alla rivascolarizzazione per quelle sole stenosi in grado di indurre ischemia reversibile. È importante enfatizzare come la FFR individui quelle stenosi che, se rivascolarizzate, apportano un chiaro beneficio clinico al paziente, distinguendole da quelle che, se sottoposte ad angioplastica coronarica, possono solo esporre il paziente a rischi procedurali inutili senza alcun chiaro beneficio. Se la FFR è utilizzata con questa logica, si riesce allora a rispondere alla domanda ricorrente: “È possibile avere una stenosi critica all’angiografia con una FFR negativa? Sì, è possibile!”. La FFR, in questi casi (se accuratamente misurata), comunica che, laddove il paziente fosse anche sintomatico, non trarrà beneficio dall’impianto di uno stent coronarico. Dal punto di vista fisiopatologico, una FFR negativa in questi casi indica un’area miocardica a rischio di estensione molto limitata oppure una sintomatologia derivante non dalla lesione coronarica epicardica ma probabilmente da alterazioni microcircolatorie.

In questo Supplemento del Giornale Italiano di Cardiologia, Valente et al.1 presentano i numerosi vantaggi clinici derivanti dalla misurazione nella pratica clinica della FFR. In maniera critica, vengono anche segnalati alcuni punti deboli propri di ogni metodica diagnostica e di studio clinico. Va però precisato come l’endpoint combinato di morte ed infarto del miocardio nello studio FAME non sia particolarmente ed inaspettatamente elevato, se lo si paragona a trial clinici con pazienti di simili caratteristiche2. Lo studio FAME ha reclutato pazienti multivasali, spesso con pregresso infarto del miocardio (fino al 36%), un quarto dei quali affetti da diabete mellito, che si presentavano fino al 35% dei casi con una sindrome coronarica acuta tipo angina instabile o senza sopraslivellamento del tratto ST. Caratteristiche molto simili a quelle dei pazienti multivasali inclusi nel trial SYNTAX, nello strato di complessità anatomica minore (SYNTAX score <22)3. L’end-
point combinato di morte ed infarto del miocardio a 5 anni (19%) in quest’ultimo gruppo di pazienti risultava ben paragonabile a quello dei pazienti inclusi nel gruppo angio-guidato sottoposto a procedura coronarica percutanea dello studio FAME (20%)2.

Valente et al.1 fanno anche riferimento ad una discrezionalità da parte dell’operatore nell’effettuare la rivascolarizzazione dei pazienti inclusi nello studio FAME 24,5. Questa critica legittima presuppone che l’operatore avesse un bias a favore della FFR patologica e non della semplice presenza di stenosi coronariche all’angiografia, cosa molto difficile da dimostrare. Quei pazienti che presentavano all’angiografia stenosi coronariche del tutto simili a quelle dei pazienti randomizzati ma con una FFR non patologica sono stati inclusi in un registro. In questi pazienti, la pur chiara consapevolezza della presenza di una malattia aterosclerotica coronarica non si è tradotta in una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari, confermando quanto sia la presenza di un substrato ischemico, piuttosto che il bias del medico di riferimento, ad aver influito sui risultati dello studio.

Gli autori di questo interessante articolo meritano complimenti per il loro sforzo di aumentare la consapevolezza dei limiti della sola angiografia coronarica nel porre indicazione a rivascolarizzazione miocardica e della necessità di un’integrazione funzionale che indirizzi e focalizzi il trattamento di quelle stenosi coronariche effettivamente in grado di indurre ischemia e di causare i sintomi del paziente.

BIBLIOGRAFIA

1. Valente S, Mattesini A, Rossini R, et al. Riserva frazionale di flusso: una breve guida pratica all’utilizzo per l’interventista e il punto di vista del cardiologo clinico. G Ital Cardiol 2017;18(9 Suppl 1):2S-8S.

2. van Nunen LX, Zimmermann FM, Tonino PA, et al.; FAME Study Investigators. Fractional flow reserve versus angiography for guidance of PCI in patients with multivessel coronary artery disease (FAME): 5-year follow-up of a randomised controlled trial. Lancet 2015;386:1853-60.

3. Head SJ, Davierwala PM, Serruys PW, et al. Coronary artery bypass grafting vs. percutaneous coronary intervention for patients with three-vessel disease: final five-year follow-up of the SYNTAX trial. Eur Heart J 2014;35:2821-30.

4. De Bruyne B, Pijls NH, Kalesan B, et al.; FAME 2 Trial Investigators. Fractional flow reserve-guided PCI versus medical therapy in stable coronary disease. N Engl J Med 2012;367:991-1001.

5. De Bruyne B, Fearon WF, Pijls NH, et al.; FAME 2 Trial Investigators. Fractional flow reserve-guided PCI for stable coronary artery disease. N Engl J Med 2014;371:1208-17.