Bassa o ridotta?
Semantica delle dosi dei nuovi anticoagulanti orali

Andrea Rubboli

U.O. Cardiologia - Laboratorio di Emodinamica, Ospedale Maggiore, Bologna

The four new oral anticoagulants (NOACs) dabigatran, rivaroxaban, apixaban and edoxaban are marketed in two doses each for the prevention of stroke and/or systemic thromboembolism in non-valvular atrial fibrillation (NVAF). The meaning and indications for use of the lower dose compared with the higher dose are, however, different between the thrombin-inhibitor dabigatran on the one hand and the activated factor X (Xa) inhibitors on the other. These differences stem from the different design of the registration studies where NOACs were compared with warfarin for the prevention of stroke and/or systemic thromboembolism in patients with NVAF. While in the RE-LY study, two different intensities of dabigatran treatment (150 and 110 mg bid) were evaluated in the same population, in the ROCKET AF, ARISTOTLE and ENGAGE AF-TIMI 48 studies two different populations were exposed to the same intensity of treatment, which was obtained however with the selective use of two doses of rivaroxaban (20/15 mg/die), apixaban (5/2.5 mg bid) and edoxaban (60/30 mg/die). With the two doses of dabigatran, efficacy and safety were proportional to treatment intensity. With the two doses of factor Xa inhibitors, the same effect on efficacy and safety was achieved (with the exception of edoxaban, which was further safer with dose reduction). The choice of the dose of dabigatran is therefore discretionary (except for patients aged ≥80 years and/or treated with verapamil in whom only 110 mg bid can be prescribed), whereas that of factor Xa inhibitors is obligated. If dabigatran doses are properly defined as high and low and those of factor Xa inhibitors full and reduced, it is useful to memorize that in this context “low” should be semantically considered an adjective while “reduced” a participle.

Key words. Apixaban; Dabigatran; Edoxaban; New oral anticoagulants; Rivaroxaban.

INTRODUZIONE

I quattro nuovi anticoagulanti orali (NAO) dabigatran, rivaroxaban, apixaban ed edoxaban sono commercializzati in due dosi ciascuno per la prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nella fibrillazione atriale non valvolare (FANV) (Tabella 1). Il significato, e conseguentemente anche le indicazioni all’uso, della dose minore rispetto a quella maggiore sono tuttavia diversi tra i vari NAO, ed in particolare tra l’inibitore della trombina dabigatran da un lato e gli inibitori del fattore X attivato (Xa) rivaroxaban, apixaban ed edoxaban dall’altro. Tali differenze scaturiscono essenzialmente dal diverso disegno degli studi registrativi nei quali i NAO sono stati confrontati con warfarin nella prevenzione del cardioembolismo nei pazienti con FANV (Tabella 2)1-4.







Nello studio RE-LY1, 18 113 pazienti con FANV sono stati randomizzati a tre bracci di trattamento, comprendenti warfarin a dosi aggiustate per mantenere i valori di international normalized ratio (INR) tra 2.0 e 3.0, dabigatran 150 mg bid e dabigatran 110 mg bid. Le tre popolazioni che ricevevano i tre diversi trattamenti erano del tutto simili tra loro, ed in particolare lo erano quelle trattate con le due diverse dosi di dabigatran, relativamente alle loro principali caratteristiche cliniche, quali soprattutto età, peso e funzionalità renale1. Nessun aggiustamento della dose di dabigatran, in particolare nessuna riduzione da quella maggiore a quella minore, era previsto sulla base di caratteristiche individuali dei pazienti, i quali ricevevano quindi il trattamento a cui erano stati inizialmente randomizzati indipendentemente da qualsiasi variabile clinica1 (Tabella 2). Sulla base del suo disegno, lo studio RE-LY1 si proponeva pertanto di confrontare con warfarin l’efficacia su ictus e/o tromboembolia sistemica e la sicurezza su emorragie maggiori di due diverse intensità di trattamento con dabigatran in due popolazioni uguali (e quindi, in ultima istanza in una medesima popolazione).

Negli studi ROCKET AF2, ARISTOTLE3 ed ENGAGE AF-TIMI 484, nei quali sono stati arruolati, rispettivamente, 14 264, 18 201 e 21 105 pazienti con FANV, la randomizzazione prevedeva due bracci di trattamento comprendenti warfarin a dosi aggiustate per mantenere il valore di INR tra 2.0 e 3.0 ed una dose unica di NAO, costituita rispettivamente da rivaroxaban 20 mg/die, apixaban 5 mg bid ed edoxaban 60 mg/die. Tale dose però doveva essere ridotta (a 15 mg/die per rivaroxaban, 2.5 mg bid per apixaban e 30 mg/die per edoxaban) quando fossero presenti specifiche condizioni, quali clearance della creatinina 30-49 ml/min per rivaroxaban, ≥2 fra età ≥80 anni, peso ≤60 kg e creatinina ≥1.5 mg/dl per apixaban, e ≥1 tra clearance della creatinina 30-50 ml/min, peso ≤60 kg e uso concomitante di inibitori della glicoproteina-P per edoxaban (Tabella 2)2-4, che determinano un incremento del rischio emorragico del paziente (generalmente mediante un aumento della concentrazione plasmatica del farmaco). Le popolazioni che negli studi ROCKET AF2, ARISTOTLE3 ed ENGAGE AF-TIMI 484 ricevevano la dose minore di NAO (~21%, 5% e 25% del totale, rispettivamente) erano quindi significativamente diverse dalle popolazioni trattate con la dose maggiore (ed anche con warfarin), per la presenza delle caratteristiche cliniche che avevano condizionato la riduzione della dose. Ne deriva che il disegno degli studi registrativi con gli inibitori del fattore Xa rivaroxaban, apixaban ed edoxaban si proponeva di confrontare con warfarin l’efficacia su ictus e/o tromboembolia sistemica e la sicurezza su emorragie maggiori di un’unica intensità di trattamento con NAO, la quale in una specifica popolazione (clinicamente diversa da quella che riceveva la dose maggiore) poteva (e doveva) essere ottenuta mediante una riduzione della dose.

Nello studio ENGAGE AF-TIMI 484 era previsto in realtà un ulteriore braccio di trattamento rappresentato da edoxaban 30 mg/die da ridurre a 15 mg/die quando fossero presenti una o più delle condizioni sopra menzionate, in modo che potesse essere esplorata in un unico studio sia la strategia RE-LY1 di due diverse intensità di trattamento in una medesima popolazione che quella ROCKET AF2 e ARISTOTLE3 di una sola intensità di trattamento in due popolazioni diverse. I risultati relativi alla prevenzione del cardioembolismo con il regime terapeutico 30/15 mg/die nello studio ENGAGE AF-TIMI 484 sono stati però insoddisfacenti, a fronte peraltro di un beneficio rispetto a warfarin superiore su mortalità (totale e cardiovascolare) ed ulteriormente superiore rispetto al regime 60/30 mg/die su emorragie maggiori, tanto che per tale dose non è stata chiesta l’approvazione per uso clinico.

DATI DI FARMACOLOGIA CLINICA

Analisi su volontari sani e/o pazienti con fibrillazione atriale (FA) hanno evidenziato come la cinetica dei NAO sia lineare (o di primo ordine) ed esista quindi una proporzionalità diretta fra la dose somministrata e la concentrazione plasmatica, la quale a sua volta risulta direttamente correlata all’effetto biologico (anticoagulante) del farmaco (Figura 1).




In un’analisi prespecificata dello studio RE-LY5 sono state misurate le concentrazioni plasmatiche delle due dosi di dabigatran 150 e 110 mg ad 1 mese dall’inizio del trattamento ed è stata effettuata una correlazione tra queste e l’incidenza di ictus e/o tromboembolia sistemica ed emorragie maggiori. Nei 9183 pazienti analizzati è stato evidenziato come la dose di 150 mg (corrispondente ad un incremento di ~35% rispetto a quella di 110 mg) si associ ad un proporzionale incremento (~40%) della concentrazione plasmatica media (di valle) del farmaco5. Applicando un modello a regressione logistica multipla, è stato inoltre evidenziato come, indipendentemente dalla dose, la probabilità di ictus e/o tromboembolia sistemica ed emorragia maggiore sia, rispettivamente, inversamente e direttamente correlata alla concentrazione media (di valle) di dabigatran5. La pendenza della curva di correlazione tra probabilità di ictus e/o tromboembolia sistemica e concentrazione plasmatica media (di valle) di dabigatran è ripida a basse concentrazioni mentre diviene sostanzialmente piatta al crescere di queste, a suggerire l’esistenza di un valore soglia per un’efficace prevenzione del cardioembolismo, al di sopra del quale variazioni anche ampie di concentrazione plasmatica non influenzano sostanzialmente l’effetto del trattamento5 (Figura 2A). Al contrario, la pendenza della curva di correlazione tra concentrazione media (di valle) di dabigatran e probabilità di emorragie maggiori è più ripida e lineare, a suggerire che variazioni, anche piccole, di concentrazione plasmatica del farmaco sono in grado di influenzare proporzionalmente il rischio emorragico5 (Figura 2A).

In 32 soggetti stratificati in 4 gruppi in base alla funzionalità renale (normale, lievemente, moderatamente e severamente ridotta, e cioè con clearance della creatinina, rispettivamente, ≥80, 50-79, 30-49 e <30 ml/min) è stata studiata la correlazione tra questa e la concentrazione plasmatica di rivaroxaban6. Dopo somministrazione in aperto di dose singola di rivaroxaban 10 mg, la concentrazione plasmatica è andata proporzionalmente aumentando al ridursi della funzionalità renale6. In particolare, nel gruppo con clearance della creatinina 30-49 ml/min, che nello studio ROCKET AF2 costituiva il criterio per una riduzione del 25% della dose (cioè da 20 a 15 mg/die), l’incremento della concentrazione plasmatica massima di rivaroxaban è stato di ~20%6. Inoltre, in una popolazione simulata di pazienti con FA ottenuta dall’analisi di 870 pazienti con trombosi venosa profonda arruolati in due studi clinici con rivaroxaban, è stato evidenziato come la concentrazione plasmatica del farmaco ed il suo andamento temporale dopo somministrazione orale siano del tutto sovrapponibili per le due dosi di 20 e 15 mg/die quando la clearance della creatinina sia rispettivamente >50 e 30-50 ml/min7.

In uno studio in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo condotto su 48 soggetti sani, apixaban è stato somministrato in dose singola a dosi crescenti da 0.5 a 50 mg8. Rispetto alla dose standard di 5 mg approvata con posologia bid per la prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nella FANV, la dose dimezzata di 2.5 mg è risultata associata ad una proporzionale riduzione di ~50% della concentrazione plasmatica massima del farmaco8.

Assai dettagliata è stata l’analisi della correlazione tra dose, concentrazione plasmatica ed effetto biologico (anticoagulante) di edoxaban9,10. In 1281 soggetti, in parte sani ed in parte con FANV, arruolati in 15 studi clinici, è stato evidenziato come la disfunzione renale moderata (clearance della creatinina 50 ml/min) si associ ad un incremento di ~50% della concentrazione (di valle) del farmaco somministrato alla dose di 60 mg/die rispetto ad una funzionalità renale normale (clearance della creatinina 80 ml/min)9. Tra i pazienti arruolati nello studio ENGAGE AF-TIMI 484, sia nel braccio 60/30 che in quello 30/15 mg/die, per 6780 era disponibile la concentrazione plasmatica del farmaco e per 2865 la determinazione dell’attività anti-fattore Xa, entrambe misurate a circa 1 mese dall’inizio del trattamento (Tabella 3)10. In condizioni basali, i pazienti randomizzati a 30 mg/die nell’ambito del regime di trattamento 30/15 mg/die (per il quale non è stata chiesta l’approvazione per uso clinico) presentavano una concentrazione plasmatica media/mediana di edoxaban ed un’attività anti-fattore Xa circa dimezzata rispetto a quelli randomizzati a 60 mg/die nell’ambito del regime 60/30 mg/die (Tabella 3)10. Analogamente a quanto osservato con dabigatran, anche con edoxaban un modello basato su analisi di Cox ha evidenziato una correlazione tra concentrazione (di valle) del farmaco diretta per la probabilità di ictus e/o tromboembolia sistemica ed inversa per quella di emorragie maggiori (Figura 2B)10. Anche in questo caso, la pendenza delle curve risulta relativamente piatta per quanto riguarda ictus e/o tromboembolia sistemica e ripida per emorragia maggiore10. Da notare invece, la pendenza assolutamente piatta della curva di correlazione tra concentrazioni plasmatiche di edoxaban e la probabilità di emorragia intracranica (Figura 2B)10, a suggerire la sostanziale indipendenza delle due variabili e quindi l’estrema sicurezza di edoxaban (e dei NAO in generale) relativamente a questo temibile evento clinico.







L’analisi dello studio ENGAGE AF-TIMI 484 ha anche riguardato la popolazione di pazienti che, inizialmente randomizzati alle dosi di 60 e 30 mg/die, hanno richiesto la riduzione di queste rispettivamente a 30 e 15 mg/die per la presenza di ≥1 tra clearance della creatinina 30-50 ml/min, peso ≤60 kg e uso concomitante di inibitori della glicoproteina-P10. Sia con il regime terapeutico 60/30 che 30/15 mg/die, il dimezzamento della dose si è associato ad una riduzione di ~30% della concentrazione plasmatica media/mediana (di valle) del farmaco e dell’attività anti-fattore Xa10.

DALLA FARMACOLOGIA ALL’EFFETTO BIOLOGICO (ANTICOAGULANTE)

Sulla base del diverso disegno dello studio RE-LY1 rispetto agli studi ROCKET AF2, ARISTOTLE3 ed ENGAGE AF-TIMI 484 e delle evidenze di farmacologia clinica, l’effetto biologico (anticoagulante) atteso con le dosi minori di NAO è diverso per dabigatran rispetto agli inibitori del fattore Xa rivaroxaban, apixaban ed edoxaban.

Nello studio RE-LY1, le due diverse dosi di dabigatran 110 e 150 mg bid somministrate a due popolazioni analoghe di pazienti con FA configuravano rispettivamente una minore e una maggiore intensità di trattamento, che effettivamente si è tradotta rispetto a warfarin in una superiore sicurezza su emorragie maggiori ed analoga efficacia su ictus e/o tromboembolia sistemica per la dose minore ed in un’analoga sicurezza su emorragie maggiori e superiore efficacia su ictus e/o tromboembolia sistemica per quella maggiore (Figura 3).




Poiché con gli inibitori del fattore Xa la riduzione della dose si proponeva non tanto di ridurre l’intensità del trattamento quanto piuttosto di non aumentarla, nelle peculiari sottopopolazioni degli studi ROCKET AF2, ARISTOTLE3 ed ENGAGE AF-TIMI 484 trattate con le dosi minori erano attesi gli stessi risultati ottenuti con le dosi maggiori. In termini statistici, quindi, non si sarebbe dovuta osservare un’interazione statisticamente significativa tra le diverse dosi e/o sottogruppi. In effetti, nella sottoanalisi dello studio ROCKET AF11 in cui i 1474 pazienti con clearance della creatinina 30-49 ml/min trattati con rivaroxaban 15 mg/die sono stati confrontati con i 5637 pazienti con clearance della creatinina ≥50 ml/min trattati con rivaroxaban 20 mg/die, non è stata rilevata interazione statisticamente significativa tra funzione renale (e quindi dose di rivaroxaban) ed outcome clinici di efficacia e sicurezza (Figura 4). Analogamente, la sottoanalisi relativa ai 428 pazienti che nello studio ARISTOTLE3 hanno ricevuto la dose minore di apixaban 2.5 mg bid non ha mostrato interazione statisticamente significativa con la dose maggiore 5 mg bid relativamente ad efficacia e sicurezza (Figura 4). Circa gli outcome osservati nello studio ENGAGE AF-TIMI 484 con la dose di edoxaban 30 mg/die (impiegata nel contesto del regime 60/30 mg/die per la presenza di ≥1 tra clearance della creatinina 30-50 ml/min, peso ≤60 kg e uso concomitante di inibitori della glicoproteina-P), non è stata evidenziata interazione statisticamente significativa con la dose di 60 mg/die relativamente all’efficacia, mentre vi è stata per la sicurezza10 (Figure 4 e 5). Quest’ultimo effetto si è tradotto in una riduzione del rischio di emorragia maggiore rispetto a warfarin ulteriormente più accentuato di quanto ottenuto con la dose di 60 mg/die (con la quale peraltro non è stata raggiunta la significatività statistica) (Figura 5). Ne deriva che la diminuzione di ~30% dell’attività anti-Xa, e quindi dell’effetto biologico (anticoagulante), osservata con la riduzione da 60 a 30 mg/die della dose di edoxaban in presenza dei fattori clinici che lo richiedono, non compromette l’efficacia su ictus e/o tromboembolia sistemica incrementando invece ulteriormente la sicurezza10.




CONSIDERAZIONI PER LA PRATICA CLINICA

Da quanto sopra riportato deriva che la scelta della dose maggiore o minore di NAO deve essere guidata da criteri diversi per dabigatran rispetto agli inibitori del fattore Xa.

Per dabigatran, la scelta della dose deve essenzialmente basarsi sull’obiettivo clinico che si persegue, e cioè un’efficacia su ictus e/o embolia sistemica superiore a quanto sia stato possibile ottenere fino ad oggi con warfarin, ritenendosi comunque soddisfatti del profilo di sicurezza su emorragie maggiori di quest’ultimo, o al contrario una sicurezza su emorragie maggiori superiore a warfarin accontentandosi dell’efficacia di questo su ictus e/o tromboembolia sistemica. Nel primo caso andrà scelta la dose di 150 mg bid, mentre nel secondo quella di 110 mg bid. Sostanzialmente quindi, la scelta della dose di dabigatran è una strategia discrezionale, largamente indipendente dalle caratteristiche cliniche del paziente. Tanto nello studio RE-LY1 quanto in esperienze di mondo reale12, la dose maggiore di dabigatran è stata impiegata anche in pazienti a più alto rischio emorragico, quali gli anziani e quelli con clearance della creatinina 30-50 ml/min, senza che i benefici osservati nella popolazione priva di queste caratteristiche venissero meno. Nel regolamentare l’utilizzo di dabigatran in Europa, però, la European Medicines Agency (EMA) ha introdotto la raccomandazione di limitare alla dose di 110 mg bid la prescrivibilità di dabigatran per i pazienti con età ≥80 anni13, basandosi non sul disegno ed i risultati dello studio RE-LY1, ma piuttosto su una sottoanalisi per età di questo nella quale si è evidenziato come il rischio di emorragia extracranica nella popolazione anziana fosse minore con la dose di 110 rispetto a 150 mg bid14. Nel contesto di discrezionalità per la scelta della dose di dabigatran, è stato quindi introdotto un elemento (regolatorio) con carattere di obbligatorietà per la dose di 110 mg bid13 (valido peraltro anche per i pazienti in trattamento concomitante con verapamil che determina un incremento della concentrazione plasmatica di dabigatran15).

Relativamente agli inibitori del fattore Xa, invece, la scelta della dose non può che essere obbligata, in quanto guidata dalla necessità di esporre i (diversi) pazienti alla medesima concentrazione plasmatica e, conseguentemente, all’effetto biologico (anticoagulante) del farmaco2-4 (Tabella 2). La dose di inibitore del fattore Xa da somministrare è pertanto sempre quella maggiore, e quindi rivaroxaban 20 mg/die, apixaban 5 mg bid ed edoxaban 60 mg/die, eccezion fatta per i casi (e soltanto quelli) in cui sono presenti le precise condizioni cliniche per le quali è indicata la riduzione della dose, e cioè clearance della creatinina 30-49 ml/min per rivaroxaban, ≥2 fra età ≥80 anni, peso ≤60 kg e creatinina ≥1.5 mg/dl per apixaban, e ≥1 tra clearance della creatinina 30-50 ml/min, peso ≤60 kg e uso concomitante di inibitori della glicoproteina-P per edoxaban2-4. I risultati del regime di trattamento edoxaban 30/15 mg/die nello studio ENGAGE AF-TIMI 484 e molteplici dati osservazionali di “mondo reale” (dai quali emerge peraltro un uso delle dosi minori degli inibitori del fattore Xa sproporzionato rispetto agli studi registrativi e frequentemente in disaccordo con le indicazioni codificate)16-20 mostrano come l’impiego della dose ridotta in assenza delle condizioni che lo richiedono, pur comportando generalmente un aumento della sicurezza su emorragie maggiori, non fornisca un’adeguata protezione contro gli eventi cardioembolici17-19. Quest’ultimo aspetto appare particolarmente evidente con apixaban che nella pratica clinica risulta essere impiegato più di altri (fino a 4 volte di più rispetto allo studio registrativo, e quindi probabilmente in assenza delle condizioni che lo richiedono) alla dose ridotta 2.5 mg bid16-20.

CONCLUSIONI

La scelta della dose di ciascun NAO per la prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nei pazienti con FANV deve essere rigorosamente basata su quanto scaturito dagli studi registrativi e dalle applicazioni tratte da questi dagli enti regolatori (e cioè EMA per il continente europeo e l’Italia). Solo in questo modo è possibile ottimizzare il beneficio clinico netto di questi farmaci la cui stretta regolamentazione attuale ne richiede l’impiego quanto più appropriato. A tal fine va ricordato che le dosi di dabigatran vanno più correttamente definite alta (150 mg) e bassa (110 mg), mentre quella degli inibitori del fattore Xa piena (20 mg per rivaroxaban, 5 mg per apixaban e 60 mg per edoxaban) e ridotta (rispettivamente 15, 2.5 e 30 mg). A scopo mnemonico può essere utile ricordare come in questo contesto “bassa” vada semanticamente considerata un aggettivo mentre “ridotta” un participio (a sottolineare l’operazione viene effettuata per individualizzare adeguatamente il trattamento).

RIASSUNTO

I quattro nuovi anticoagulanti orali (NAO) dabigatran, rivaroxaban, apixaban ed edoxaban sono commercializzati in due dosi ciascuno per la prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nella fibrillazione atriale non valvolare (FANV). Il significato e le indicazioni all’uso della dose minore rispetto a quella maggiore sono tuttavia diversi tra l’inibitore della trombina dabigatran da un lato e gli inibitori del fattore X attivato (Xa) rivaroxaban, apixaban ed edoxaban dall’altro. Tali differenze scaturiscono dal diverso disegno degli studi registrativi nei quali i NAO sono stati confrontati con warfarin nella prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nei pazienti con FANV. Mentre nello studio RE-LY sono state valutate due diverse intensità di trattamento con dabigatran (150 e 110 mg bid) in una medesima popolazione, negli studi ROCKET AF, ARISTOTLE ed ENGAGE AF-TIMI 48 due popolazioni diverse sono state esposte ad una medesima intensità di trattamento, ottenuta tuttavia con l’uso selettivo delle due dosi di rivaroxaban (20/15 mg/die), apixaban (5/2.5 mg bid) ed edoxaban (60/30 mg/die). Con le due dosi di dabigatran si è ottenuto un effetto su efficacia e sicurezza proporzionale all’intensità del trattamento. Con le due dosi di inibitori del fattore Xa si è ottenuto un medesimo effetto su efficacia e sicurezza (eccezion fatta per edoxaban risultato ancora più sicuro con riduzione della dose). La scelta della dose di dabigatran risulta pertanto discrezionale (eccezion fatta per i pazienti ultraottantenni e/o in trattamento con verapamil in cui è prescrivibile solo 110 mg bid), mentre quella degli inibitori del fattore Xa è obbligata. Se le dosi di dabigatran vanno propriamente definite alta e bassa e quelle degli inibitori del fattore Xa piena e ridotta, è utile memorizzare come in questo contesto “bassa” vada considerato semanticamente un aggettivo mentre “ridotta” un participio.

Parole chiave. Apixaban; Dabigatran; Edoxaban; Nuovi anticoagulanti orali; Rivaroxaban.

RINGRAZIAMENTI

L’autore ringrazia Bernardo Rubboli (9 anni e mezzo) per il forzato coinvolgimento nei suoi compiti scolastici, ed in particolare nel ripasso della grammatica italiana, che si è rivelato determinante per l’ideazione e la stesura del presente articolo.

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