In questo numero

editoriale





Novità dalle ultime linee guida europee sulle valvulopatie

Giovanni La Canna e Iside Scarfò riassumono le linee guida ESC 2017 sulle valvulopatie riportando le nuove raccomandazioni rispetto alla pregressa edizione affiancate da commenti puntuali e critici. Tra le innovazioni, una importante riguarda il consolidamento della nascita di gruppi di valutazione multidisciplinare quali l’“Heart Team” e l’“Heart Valve Center”, nati per prendere decisioni su pazienti a rischio elevato oppure asintomatici, potendo scegliere oggi tra tecniche chirurgiche convenzionali ed altre emergenti a minore invasività (percutanee o transapicali). Entrando invece nello specifico delle singole valvulopatie, importanti novità riguardano l’aggiornamento della classificazione della stenosi aortica in quattro categorie sulla base della misura del gradiente, del flusso e della frazione di eiezione. La tomografia computerizzata assume un ruolo fondamentale nella decisione all’intervento per i pazienti con stenosi aortica con basso flusso, basso gradiente e ridotta frazione di eiezione grazie alla valutazione dello score di calcio ed è inoltre divenuta una tecnica imprescindibile per la pianificazione dell’intervento di impianto transcatetere di valvola aortica. Tale metodica, associata all’emergere di altre tecniche di imaging quali la risonanza magnetica e l’ecocardiografia tridimensionale, potrà inoltre apportare in futuro nuove conoscenze per una migliore accuratezza diagnostica soprattutto nella stenosi aortica a basso gradiente. In tema di insufficienza mitralica funzionale, alcune importanti novità riguardano l’abolizione dell’indicazione per il trattamento dell’insufficienza moderata in caso di indicazione ad intervento di bypass aortocoronarico; vengono inoltre introdotte importanti raccomandazioni relative alle indicazioni con trattamento percutaneo tramite tecnica “edge-to-edge”. Questi ed altri “cambi di paradigma” proposti dalle ultime linee guida ESC sulle valvulopatie, non resta che leggere l’intero documento per avere un aggiornamento completo. •

dieci quesiti in tema di...





Una diagnosi spesso mancata: la pericardite costrittiva

Attraverso 10 quesiti mirati Massimo Imazio ci conduce nei meandri di una diagnosi spesso difficile od omessa: la pericardite costrittiva. Il problema dell’“underdiagnosis” è strettamente legato alla difficoltà di porre il sospetto diagnostico, sospetto che deriva principalmente da una presentazione clinica caratterizzata da segni di scompenso cardiaco destro in primo piano ed aspetti ecocardiografici suggestivi che il cardiologo clinico, e l’ecocadiografista in particolare, deve conoscere per raggiungere la corretta diagnosi. Le alterazioni fisiopatologiche di questa patologia sono spesso complesse da capire, ma in questo documento attraverso i quesiti, vengono spiegate in modo chiaro e lineare. Il ruolo dell’ecocardiografia è preponderante per porre il sospetto diagnostico come importanti sono l’ausilio della tomografia computerizzata e della risonanza magnetica cardiaca per la conferma diagnostica, mentre il cateterismo cardiaco non è un esame sempre necessario e lo si può riservare ai casi con esiti discordanti. Infine, una breve puntualizzazione sulla terapia medica e chirurgica, dove la pericardiectomia rappresenta l’unica terapia definitiva per questa patologia. •

questioni aperte





La duplice antiaggregazione nell’anziano: trova le differenze

Nel paziente anziano, il rapporto rischio-benefico di varie terapie risulta meno definito rispetto alla popolazione più giovane. Ciò deriva dalla scarsità di evidenze specifiche disponibili ed è particolarmente rilevante per quei provvedimenti terapeutici, quali la duplice antiaggregazione piastrinica, per i quali l’equilibrio tra efficacia nel prevenire gli eventi ischemici ricorrenti e sicurezza nel limitare gli eventi emorragici è determinante per assicurare un favorevole beneficio clinico netto del trattamento. Nel lavoro di Giuseppe Tarantini et al. viene analizzato l’utilizzo della duplice antiaggregazione piastrinica nelle sindromi coronariche acute e vengono proposte delle strategie operative di consenso sulla scelta e sulla durata di questo trattamento nella peculiare e “fragile” popolazione anziana. •

rassegne





Aneurismi dell’aorta toracica: è solo una questione di numeri?

Il riscontro di aneurismi dell’aorta toracica è spesso del tutto casuale, in quanto la patologia è asintomatica e da segno di sé tardivamente con complicanze anche letali, quali la rottura o la dissezione aortica. Dopo la diagnosi la chirurgia sostitutiva profilattica ha un ruolo primario nel ridurre l’incidenza di tali complicanze e migliorare la prognosi. Attualmente il diametro aortico massimo è il principale fattore prognostico negativo: per diametri dell’aorta ascendente >55 mm, o >50 mm nei soggetti con connettivopatie, la probabilità di rottura e/o dissezione aumenta esponenzialmente. Recentemente in letteratura questo parametro è stato messo in discussione, perché è stato osservato che la maggior parte delle dissezioni aortiche si verifica in pazienti con aorta non dilatata. La progressione della patologia aortica e il rischio di complicanze maggiori non sembrano legati quindi solo al diametro aortico iniziale, ma a fattori di tipo ambientale, genetico, biochimico e biomeccanico. Pertanto, secondo Paolo Berretta et al., per il trattamento e la stratificazione del rischio dei pazienti con aneurismi dell’aorta toracica, devono essere valutati altri parametri, anatomici (spessore di parete, lunghezza e curvatura aortica), funzionali (infiammazione, elasticità di parete e caratteristiche dei flussi intraluminali), genici ed umorali (D-dimero, metalloproteasi e marker dell’infiammazione), il cui utilizzo dovrebbe però essere validato in trial clinici randomizzati dedicati. •





Norman J. Holter e il suo ECG

Dal 1962 l’ECG dinamico delle 24 h secondo Holter rappresenta ancora uno strumento diagnostico cardiologico semplice, economico e non invasivo impiegato in molti scenari clinici. Viene prescritto principalmente in pazienti con palpitazioni o sincopi inspiegate e trova quindi impiego in patologie quali ictus ischemico, cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativa, displasia aritmogena, preeccitazione ventricolare, sindrome del QT lungo, sindrome del QT corto, sindrome di Brugada, disfunzione del nodo del seno, disfunzione del nodo atrioventricolare per la ricerca di tachiaritmie o bradiaritmie. Nella presente rassegna Vincenzo Russo et al. ci insegnano a leggere e a refertare correttamente un ECG Holter delle 24 h e ci riassumono le indicazioni a tale indagine, dato che nella pratica clinica quotidiana si assiste frequentemente a prescrizioni inappropriate. Negli anni la tecnologia ha portato allo sviluppo di dispositivi di registrazione sempre più piccoli, facilmente tollerabili dai pazienti, ma con elevata capacità di memoria e durata, a tal punto che il monitoraggio elettrocardiografico può durare mesi, con strumenti chiamati “loop recorder”. La durata del monitoraggio e la scelta del dispositivo per effettuarlo dovrebbero essere determinate sulla base della frequenza e della natura degli episodi clinici. •





Il defibrillatore indossabile: una soluzione alle sfide più ardue

Nell’ambito di una delle sfide più ardue per il cardiologo, rappresentata dalla prevenzione della morte cardiaca improvvisa, il defibrillatore indossabile costituisce un supporto con diffusione ed utilizzo ancora limitati. Laddove non vi è indicazione definita all’impianto di ICD, il defibrillatore indossabile ha dimostrato di poter offrire un’efficace soluzione. Esso può essere considerato in diversi contesti clinici, quali la disfunzione ventricolare nel post-infarto, le cardiomiopatie e situazioni transitorie ad elevato rischio di morte improvvisa come la cardiomiopatia peripartum. In questa rassegna, Massimo Romanò et al. espongono le caratteristiche tecniche del dispositivo, le attuali indicazioni e i casi particolari, riportando inoltre i dati relativi all’esperienza del loro centro. •

studio osservazionale





Lo zucchero fa male, ma... anche senza non si sta bene!

Questa considerazione un po’ ironica ben si applica all’interessante studio osservazionale di Franco Cosmi et al. Questi ricercatori hanno affrontato il problema del controllo glicemico nel paziente critico, argomento delicato perché, a fronte di un chiaro effetto prognostico sfavorevole dell’iperglicemia, gli studi dove è stato utilizzato un trattamento particolarmente aggressivo con insulina endovena o target glicemici ridotti hanno mostrato risultati controversi, spesso sfavorevoli. Parte di questi effetti negativi è stata attribuita alle conseguenze dell’ipoglicemia. I nostri autori hanno analizzato in modo retrospettivo un’ampia casistica di cardiopatici ricoverati in Area Critica Medica con iperglicemia. In questa popolazione, sicuramente diversa per profilo di rischio da quella di una terapia intensiva cardiologica o medica, è stato applicato nell’arco di 12 anni un protocollo a gestione infermieristica con un blando controllo dell’iperglicemia (basal-bolus sottocutaneo corretto con target glicemico <200 mg/dl) che ha quasi azzerato il rischio di ipoglicemie, ma al prezzo di una modesta iperglicemia residua eccedente i target convenzionali (glicemia <180 mg/dl). Sicuramente un’esperienza molto interessante perché, in un contesto diverso dalle terapie intensive, coniuga semplicità e sicurezza. •

caso clinico





Non sempre uno stent è per sempre

Il distacco accidentale di uno stent dal proprio sistema di rilascio e la perdita dello stesso in coronaria è un’evenienza per fortuna alquanto rara ma non abbastanza perché non sia occasionalmente capitata alla gran parte dei cardiologi interventisti. Tale complicanza è sicuramente uno dei rischi che si corrono quando si cerca di far passare uno stent attraverso le maglie di un altro stent precedentemente impiantato, soprattutto quando l’angolo della biforcazione non è tra i più favorevoli. Tuttavia, come è noto, è nel momento della gestione di una prima complicanza che è più alto il rischio di ulteriori complicanze. Il caso di Leonardo Misuraca et al., complicato dal distacco di uno stent mentre veniva ritirato dal ramo circonflesso attraverso le maglie di uno stent impiantato sul tronco comune circa un anno prima, illustra la tecnica del “twisting” di più guide intracoronariche per estrarre materiale perso nell’albero coronarico. Nel complesso caso in questione, l’utilizzo di tale tecnica, per quanto efficace nel recuperare lo stent perduto, è tuttavia complicato dall’avulsione dello stent precedentemente impiantato sul tronco comune che, per verosimile malapposizione, è stato anch’esso “agganciato” dalle guide intrecciate tra loro, rendendo così necessario sia l’impianto di un nuovo stent sul tronco comune che l’estrazione chirurgica in anestesia locale dei due stent accartocciati ritirati fino all’arteria omerale. •