Terapia del tromboembolismo venoso
associato al cancro

Marcello Di Nisio

Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti

Most clinical practice guidelines recommend low molecular weight heparin for the treatment of venous thromboembolism (VTE) in cancer patients. In the Hokusai VTE Cancer study, 1050 patients with cancer and acute VTE were randomized to oral edoxaban or subcutaneous dalteparin for at least 6 months and up to 12 months. Edoxaban was non-inferior to dalteparin with respect to the composite outcome of recurrent VTE and major bleeding. The rate of recurrent VTE was numerically lower, but the rate of major bleeding was significantly higher with edoxaban. The frequency of severe major bleeding was similar with edoxaban and dalteparin. The difference in major bleeding was mainly driven by a higher rate of upper gastrointestinal bleeding with edoxaban, especially in patients with gastrointestinal cancer. The pilot Select-D study randomized 406 patients with cancer and VTE to rivaroxaban or dalteparin for 6 months. Recurrent VTE was reduced, while both major and clinically relevant non major bleeding were significantly increased with rivaroxaban. Bleeding mostly involved the gastrointestinal tract and occurred in patients with gastroesophageal cancer.

While waiting for ongoing studies on direct oral anticoagulants, the results of the Hokusai VTE Cancer suggest that edoxaban may represent a valuable alternative to low molecular weight heparin for the treatment of cancer-associated VTE. In patients with gastrointestinal cancer, the use of edoxaban requires careful benefit-risk weighting, taking into consideration patient’s preferences.

Key words. Cancer; Direct oral anticoagulants; Edoxaban; Venous thromboembolism.

INTRODUZIONE

Il trattamento del tromboembolismo venoso (TEV) è stato costituito per lungo tempo da una fase iniziale di eparina seguita dagli antagonisti della vitamina K con monitoraggio dell’international normalized ratio (INR). Nel paziente oncologico, questa terapia è tuttavia particolarmente complessa a causa delle molteplici interazioni con cibo e terapie concomitanti, della lunga emivita degli antagonisti della vitamina K che ne complica la gestione in occasione delle frequenti interruzioni terapeutiche periprocedurali, ed infine l’imprevedibile biodisponibilità in caso ad esempio di vomito o malnutrizione. Tutti questi fattori rendono difficile il raggiungimento del target terapeutico e favoriscono complicazioni emorragiche e tromboemboliche recidivanti a frequenze superiori a quelle osservate nel paziente non oncologico1. Vari studi randomizzati condotti in pazienti con TEV acuto associato a cancro hanno dimostrato come le eparine a basso peso molecolare riducano del 40-50% il rischio di TEV ricorrente rispetto agli antagonisti della vitamina K, con una simile incidenza di complicazioni emorragiche maggiori2,3. In aggiunta ad una migliore efficacia e simile profilo di sicurezza, le eparine a basso peso molecolare presentano alcuni vantaggi rispetto agli antagonisti della vitamina K, come ad esempio le limitate interazioni farmacologiche, l’assorbimento non influenzato dal cibo o disturbi gastrointestinali, la più breve emivita con rapidi inizio e cessazione dell’effetto anticoagulante e conseguente maggiore maneggevolezza in caso di procedure invasive. Tutto questo ha portato la maggior parte delle linee guida internazionali a raccomandare l’uso dell’eparina a basso peso molecolare come trattamento di prima scelta per il TEV associato a cancro4-6. Le eparine, tuttavia, richiedono una somministrazione sottocutanea giornaliera che, specialmente in caso di trattamenti di lunga durata come quelli previsti per il tromboembolismo associato al cancro, può essere poco tollerata dai pazienti ed influenzare quindi l’aderenza al trattamento. Studi di tipo osservazionale hanno infatti mostrato come nella pratica clinica, nonostante le raccomandazioni delle linee guida, vengano utilizzati in una considerevole proporzione di pazienti oncologici con tromboembolismo gli antagonisti della vitamina K ed in misura crescente gli anticoagulanti orali diretti7-10.

ANTICOAGULANTI ORALI DIRETTI

Il trattamento del TEV per mezzo di anticoagulanti orali diretti inibitori della trombina (dabigatran) o del fattore X attivato (rivaroxaban, apixaban ed edoxaban) rappresenta un’alternativa alle eparine a basso peso molecolare e agli antagonisti della vitamina K. Gli anticoagulanti orali diretti presentano infatti una breve emivita e rapida insorgenza e scomparsa dell’azione anticoagulante, vengono assunti per via orale e a dosi fisse senza necessità di monitoraggio dell’attività anticoagulante con potenziale aumento della maneggevolezza ed impatto positivo sulla qualità di vita dei pazienti.

Nel corso dell’ultima decade, studi randomizzati su un gran numero di pazienti con TEV acuto hanno dimostrato una pari efficacia e maggiore sicurezza degli anticoagulanti orali diretti rispetto agli antagonisti della vitamina K, il che ha portato alla loro approvazione come trattamento di prima linea. Sebbene le analisi condotte nei sottogruppi di pazienti oncologici inclusi in tali studi abbiano suggerito una simile efficacia e sicurezza degli anticoagulanti orali diretti rispetto agli antagonisti della vitamina K, l’interpretazione e generalizzazione di queste osservazioni è tuttavia limitata dall’inclusione di pazienti meno compromessi, con malattia meno estesa e meno esposti ai trattamenti antineoplastici rispetto a quelli degli studi che hanno focalizzato su pazienti oncologici11. In secondo luogo, il trattamento di confronto nelle analisi di sottogruppo era rappresentato dagli antagonisti della vitamina K e non dalle eparine a basso peso molecolare, trattamento di scelta per il TEV associato a cancro.

Simili osservazioni a quelle delle analisi di sottogruppo sono scaturite dagli studi cosiddetti di “real-life” che hanno interessato prevalentemente rivaroxaban, inibitore del fattore X attivato. La maggior parte degli studi “real-life” e degli studi condotti su database amministrativi soffrono di vari limiti aggiuntivi come ad esempio la dubbia consistenza e completezza dei dati raccolti, la variabile e spesso non sistematica valutazione degli endpoint clinici attraverso testi diagnostici obiettivi standardizzati. In considerazione delle limitazioni delle analisi di sottogruppo e degli studi “real-life” è stato dunque importante avere dati da due recenti studi randomizzati, lo studio Hokusai VTE Cancer e lo studio Select-D, sul confronto diretto tra eparine a basso peso molecolare e anticoagulanti orali diretti.

EDOXABAN E LO STUDIO HOKUSAI VTE CANCER

Lo studio Hokusai VTE Cancer è stato il primo studio randomizzato di fase III ad aver confrontato uno degli anticoagulanti orali diretti, edoxaban, all’eparina a basso peso molecolare (Tabella 1)12. Lo studio ha valutato la non-inferiorità di edoxaban rispetto a dalteparina considerando un endpoint primario composito costituito da TEV ricorrente e sanguinamento maggiore. La scelta di un endpoint combinato riflette l’importanza per il medico curante di prevenire entrambi questi eventi che si presentano con elevata frequenza nel paziente oncologico ed hanno un simile impatto sulla mortalità. Sebbene lo studio sia stato condotto in aperto, una commissione indipendente ha valutato “in cieco” sia gli endpoint che la severità alla presentazione e il decorso dei sanguinamenti (Tabella 1).

Nello studio Hokusai VTE Cancer, 1050 pazienti con cancro e TEV acuto sintomatico o diagnosticato incidentalmente sono stati randomizzati ad eparina a basso peso molecolare per almeno 5 giorni seguita da edoxaban al dosaggio di 60 mg/die (gruppo edoxaban) o dalteparina sottocute al dosaggio di 200 UI/kg/die per 1 mese seguita da dalteparina alla dose di 150 UI/kg (gruppo dalteparina). Come nello studio Hokusai VTE e nel paziente fibrillante, la dose giornaliera di edoxaban è stata ridotta in pazienti con una clearance della creatinina compresa tra 30 e 50 ml/min, peso corporeo ≤60 kg e in caso di concomitante uso di potenti inibitori della P-glicoproteina. La durata minima di trattamento era di 6 mesi lasciando al medico, in accordo con la pratica attuale, la decisione di proseguire o meno il trattamento oltre il sesto mese fino a 12 mesi. Lo studio Hokusai VTE Cancer ha incluso un largo spettro di tumori, in gran parte solidi (89.1%), dei quali il 53% presentava metastasi a distanza al momento dell’inclusione e circa il 70% era in trattamento antineoplastico (Tabella 2). Circa il 30% dei pazienti aveva un evento tromboembolico venoso diagnosticato incidentalmente. L’inclusione di forme incidentali rappresenta un elemento di novità rispetto agli studi precedenti che hanno coinvolto invece solo forme sintomatiche ed un aspetto di grande interesse vista l’assenza di dati sulla sicurezza ed efficacia della terapia anticoagulante per tali forme tromboemboliche. Gli eventi tromboembolici venosi incidentali rappresentano infatti oltre la metà dei casi di tromboembolismo diagnosticati nei pazienti oncologici, sembrano avere una prognosi similare agli eventi sintomatici e le linee guida suggeriscono un approccio terapeutico analogo pur in assenza di dati specifici.







I risultati dello studio Hokusai VTE Cancer hanno dimostrato la non-inferiorità di edoxaban rispetto alla dalteparina con un’incidenza dell’endpoint primario rispettivamente di 12.8% e 13.5% (hazard ratio [HR] 0.97; intervallo di confidenza [IC] 95% 0.70-1.36; p=0.006 per la non-inferiorità, p=0.87 per la superiorità). Nel gruppo di pazienti che alla randomizzazione aveva uno o più criteri per la riduzione del dosaggio, non si sono evidenziate differenze statisticamente significative nell’endpoint primario rispetto alla popolazione totale (p=0.16). L’incidenza di TEV è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban (7.9 vs 11.3%, p=0.09) per via di un minor numero di trombosi venose prossimali sintomatiche. L’incidenza di sanguinamento maggiore era invece significativamente più alta rispetto alla dalteparina (6.9 vs 4.0%, p=0.04), differenza quest’ultima legata in gran parte all’aumento di sanguinamenti gastrointestinali superiori nei pazienti con tumori gastrointestinali trattati con edoxaban (3.3 vs 0.6%). I sanguinamenti del tratto gastrointestinale inferiore si sono verificati soprattutto in pazienti con tumori del colon-retto con un’incidenza bassa e sovrapponibile nei due gruppi (0.6% in entrambi)13. L’aumento dei sanguinamenti gastrointestinali osservato con edoxaban è in linea con i risultati degli studi registrativi sugli anticoagulanti orali diretti nella fibrillazione atriale. Nei pazienti con tumori non gastrointestinali il rischio di sanguinamento maggiore è risultato comparabile (Figura 1). Per quanto riguarda la severità della presentazione, il numero di sanguinamenti maggiori con presentazione severa era basso e simile nel gruppo edoxaban ed in quello dalteparina sia nella popolazione totale (10 vs 11) che nei pazienti con tumore gastrointestinale (5 vs 3)13. Sanguinamenti intracranici si sono verificati in soli 2 pazienti del gruppo edoxaban e in 4 pazienti del gruppo dalteparina.

Per quanto riguarda il decorso dei sanguinamenti maggiori, una minor percentuale nel gruppo edoxaban ha richiesto l’ospedalizzazione (62.5 vs 81.3%) o ricovero in unità di terapia intensiva (56.3 vs 75.0%) e la maggior parte dei sanguinamenti è stata gestita con sole trasfusioni di emazie concentrate (71.9% nel gruppo edoxaban e 50.0% nel gruppo dalteparina). Nei pazienti con sanguinamento maggiore la terapia oncologica è stata proseguita ininterrottamente in oltre due terzi dei casi, mentre l’interruzione prolungata o permanente è stata necessaria in 9 su 32 (28.1%) pazienti del gruppo edoxaban e 4 su 16 (25.0%) pazienti del gruppo dalteparina. La valutazione della severità del decorso dei sanguinamenti maggiori, che ha considerato sia le misure messe in atto per gestirli che l’outcome degli stessi, ha mostrato come il numero di quelli a decorso severo fosse pressoché identico nei due gruppi (3 nel gruppo edoxaban e 5 nel gruppo dalteparina).

Lo studio Hokusai VTE Cancer fornisce per la prima volta dati comparativi fino a 12 mesi, a differenza degli studi di confronto tra le eparine a basso peso molecolare e gli antagonisti della vitamina K che hanno avuto durate di terapia anticoagulante comprese tra 3 e 6 mesi. Avere informazioni comparative sul lungo termine risulta particolarmente importante nel paziente oncologico con TEV nel quale la terapia anticoagulante viene spesso proseguita fintantoché il cancro è attivo e dunque frequentemente oltre i primi 3-6 mesi pur in assenza, finora, di dati da studi randomizzati. Va notato come una più alta percentuale di pazienti nel gruppo edoxaban ha proseguito il trattamento in studio fino a 12 mesi (38.3 vs 29.4%) con una durata media rispettivamente di 211 giorni (76-357) per edoxaban e 184 giorni (85-341) per dalteparina, in accordo con dati da studi osservazionali sulla maggiore aderenza alla terapia orale rispetto a quella parenterale sottocutanea. Sebbene la più lunga durata della terapia con edoxaban potrebbe aver influito sulla differenza in TEV ricorrente a 12 mesi, le differenze dopo il sesto mese sono state minime (1.3% nel gruppo edoxaban e 2.5% nel gruppo dalteparina). D’altra parte, uno dei fattori che ha influito sulla più breve durata del trattamento con dalteparina è stata la preferenza del paziente ad interrompere la terapia in studio (15 vs 4%). La minore tolleranza verso un trattamento parenterale di lunga durata rispetto ad una terapia orale potrebbe dimostrarsi ancor più frequente e clinicamente rilevante nella vita reale al di fuori di un contesto controllato come quello di uno studio randomizzato.

Nel corso dello studio, la mortalità totale è stata del 39.5% nel gruppo edoxaban e 36.6% nel gruppo dalteparina con la causa più frequente di decesso rappresentata dalla malattia oncologica stessa. Sei eventi tromboembolici venosi sono risultati fatali nel gruppo edoxaban e 4 nel gruppo dalteparina, mentre i sanguinamenti fatali sono stati 2, entrambi nel gruppo dalteparina.

La qualità metodologica e le dimensioni dello studio Hokusai VTE Cancer, ad oggi la valutazione comparativa più grande disponibile sulla terapia del TEV associato a cancro, rendono tale studio una pietra miliare nel trattamento di tale patologia gettando le basi per l’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti in questi pazienti. I risultati dello studio comporteranno verosimilmente un cambiamento nelle linee guida internazionali, come recentemente avvenuto in quelle del National Comprehensive Cancer Network (NCCN), un network no-profit di centri oncologici statunitensi, identificati dal National Cancer Institute. Le linee guida del NCCN, le prime aggiornate dopo la pubblicazione dello studio Hokusai VTE Cancer, hanno posto la raccomandazione all’uso di edoxaban come alternativa alle eparine a basso peso molecolare per il trattamento del TEV associato a cancro sulla base di un alto grado di evidenza (Tabella 3)14.







RIVAROXABAN E LO STUDIO SELECT-D

Lo studio Select-D (Anticoagulation Therapy in Selected Cancer Patients at Risk of Recurrence of Venous Thromboembolism), studio pilota, in aperto, ha randomizzato pazienti con cancro attivo e trombosi venosa profonda prossimale sintomatica o embolia polmonare (sintomatica o incidentale) a 6 mesi di rivaroxaban (15 mg bid per 3 settimane seguito da rivaroxaban 20 mg/die) o dalteparina con lo stesso schema utilizzato nello studio Hokusai VTE Cancer (Tabella 1)15. Sebbene fosse prevista da protocollo una riduzione della dose o sospensione di rivaroxaban in base ai valori della funzionalità renale, non è chiaro quanti pazienti abbiano ricevuto una dose ridotta e quale sia stata la sicurezza ed efficacia in tale sottogruppo. Obiettivo del Select-D era quello di ottenere in pazienti oncologici trattati con rivaroxaban o dalteparina una stima dell’incidenza di TEV ricorrente che includeva non solo la trombosi venosa profonda prossimale degli arti inferiori e l’embolia polmonare, ma anche la trombosi venosa profonda in altre sedi, quali ad esempio vene epatiche, succlavia e vena cava. Importante sottolineare come, sebbene non inizialmente previsto da protocollo, gli eventi tromboembolici siano stati valutati da una commissione indipendente. Per i pazienti con iniziale embolia polmonare o trombosi venosa residua dopo 6 mesi di trattamento con rivaroxaban o dalteparina, lo studio prevedeva al sesto mese una seconda randomizzazione a ulteriori 6 mesi di rivaroxaban 20 mg/die o placebo. A causa delle basse velocità di reclutamento, la prima fase dello studio è stata terminata anticipatamente una volta inclusi 406 pazienti, a fronte dei 530 previsti, mentre la seconda è stata interrotta dopo inclusione dei primi 92 dei 300 pazienti inizialmente stimati.

Nel corso dello studio, l’incidenza dell’endpoint primario di TEV ricorrente è stata pari a 11% nel gruppo dalteparina e 4% nel gruppo rivaroxaban (HR 0.43, IC 95% 0.19-0.99). Nei pazienti trattati con rivaroxaban, sia l’incidenza dei sanguinamenti maggiori (6 vs 4%; HR 1.83, IC 95% 0.68-4.96) che quella dei sanguinamenti clinicamente rilevanti non maggiori (13 vs 4%; HR 3.76, IC 95% 1.63-8.69) sono state significativamente superiori rispetto a quelle del gruppo trattato con dalteparina. La maggior parte dei sanguinamenti ha interessato il tratto gastrointestinale e ha coinvolto in particolare pazienti con tumori dell’esofago o gastroesofagei. L’alta incidenza di sanguinamenti maggiori osservata in questi ultimi (36% nel gruppo rivaroxaban e 11% nel gruppo dalteparina) ha portato gli autori nel corso dello studio ad interrompere l’ulteriore inclusione di pazienti con queste tipologie tumorali. Non sono stati osservati casi di emorragia intracranica nei due gruppi di trattamento ed in ciascuno dei due bracci si è avuto un caso di embolia polmonare fatale ed un caso di sanguinamento maggiore fatale. Sebbene il Select-D rimanga uno studio pilota con dimensioni campionarie relativamente esigue per poter trarre conclusioni definitive, i risultati appaiono in linea con quelli dello studio Hokusai VTE Cancer.

APIXABAN, DABIGATRAN E GLI STUDI IN CORSO

Vari studi randomizzati in corso stanno valutando l’efficacia e la sicurezza degli anticoagulanti orali diretti quali rivaroxaban (NCT02583191; NCT02746185), dabigatran (NCT03240120) ed apixaban (NCT02585713; NCT03045406) a confronto con eparina a basso peso molecolare nel trattamento del TEV associato a cancro. In attesa dei risultati di questi studi, estrapolare i dati dell’Hokusai VTE Cancer ed in parte quelli del Select-D a tutti gli anticoagulanti orali diretti richiede molta cautela. Importante sarà anche considerare le differenze farmacocinetiche e le potenziali interazioni con agenti antitumorali che risultano inibitori, induttori o substrati della P-glicoproteina o del citocromo CYP3A4. Se da un lato l’influenza della P-glicoproteina appare abbastanza similare sul metabolismo dei vari anticoagulanti orali diretti, il citocromo P3A4 influenza la clearance epatica soprattutto di rivaroxaban e apixaban, con effetti minimi o assenti sull’eliminazione di edoxaban e dabigatran16. Lo studio Hokusai VTE Cancer ha fornito informazioni sull’uso concomitante di chemioterapici al momento della randomizzazione, dati che invece al momento mancano per gli altri anticoagulanti orali diretti. L’interpretazione del potenziale significato clinico di alcune interazioni farmacologiche rimane tuttavia complessa in considerazione del numero relativamente ridotto di pazienti sottoposti ad alcune terapie (es. gli inibitori delle tirosinchinasi, 3.4%), le possibili variazioni nel tempo di queste ultime e le poche informazioni su associazioni di chemioterapici. Nel mentre, l’uso delle eparine a basso peso molecolare dovrebbe essere considerato in preferenza agli anticoagulanti orali diretti in tutti quei casi nei quali le concomitanti terapie antineoplastiche potrebbero interferire in maniera rilevante con la P-glicoproteina e soprattutto con il citocromo P3A4. Nelle sopracitate linee guida del NCCN, l’impiego di rivaroxaban, apixaban e dabigatran è al momento suggerito con un basso livello di evidenza in pazienti che rifiutano o hanno controindicazioni all’uso delle eparine a basso peso molecolare (Tabella 3)14.

CONSIDERAZIONI FINALI

In attesa dei risultati degli studi in corso, edoxaban, sulla base dello studio Hokusai VTE Cancer, può rappresentare una valida e più pratica alternativa all’eparina a basso peso molecolare per il trattamento del TEV in pazienti con cancro. La monosomministrazione orale giornaliera, indipendente dall’assunzione di cibo, ed i semplici criteri per l’aggiustamento posologico potrebbero semplificare il trattamento anticoagulante con un impatto positivo sull’aderenza terapeutica e qualità di vita di questi pazienti.

Nel caso di tumori del tratto gastrointestinale, la scelta tra edoxaban ed eparina a basso peso molecolare andrà valutata paziente per paziente e dovrà attentamente considerare il rischio di sanguinamento gastrointestinale da un lato e dall’altro il rischio di TEV ricorrente particolarmente aumentato in questo tipo di neoplasie, le preferenze del paziente per una terapia orale o parenterale e la severità dei sanguinamenti gastrointestinali. Alla luce di una simile sicurezza e potenziale maggiore efficacia nei pazienti con tumori non gastrointestinali, l’uso di edoxaban e forse degli altri anticoagulanti orali diretti potrebbe essere preferibile a quello dell’eparina.

RIASSUNTO

La maggior parte delle linee guida internazionali raccomanda l’uso delle eparine a basso peso molecolare come trattamento di prima scelta per il tromboembolismo venoso (TEV) associato a cancro. Nello studio Hokusai VTE Cancer 1050 pazienti con cancro e TEV acuto sono stati randomizzati ad edoxaban o dalteparina per una durata di trattamento di almeno 6 mesi fino a 12 mesi. Edoxaban è risultato non inferiore a dalteparina rispetto all’endpoint primario composito costituito da TEV ricorrente e sanguinamento maggiore. L’incidenza di TEV è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban, mentre quella di sanguinamento maggiore era significativamente più alta rispetto al gruppo dalteparina, differenza quest’ultima legata in gran parte all’aumento di sanguinamenti gastrointestinali superiori nei pazienti con tumori gastrointestinali trattati con edoxaban. Il numero dei sanguinamenti maggiori severi è stato tuttavia pressoché identico nei due gruppi. Nello studio pilota Select-D condotto su 406 pazienti con cancro e TEV, l’incidenza di TEV ricorrente era ridotta, mentre quella i sanguinamenti maggiori ed i sanguinamenti clinicamente rilevanti non maggiori erano significativamente aumentati nel gruppo rivaroxaban, interessando in particolare il tratto gastrointestinale e pazienti con tumori dell’esofago o gastroesofagei.

In attesa dei risultati degli studi in corso, i dati dello studio Hokusai VTE Cancer suggeriscono che edoxaban può rappresentare una valida alternativa all’eparina a basso peso molecolare per il trattamento del TEV in pazienti con cancro. Nel caso di pazienti con tumori gastrointestinali, la decisione sull’uso di edoxaban dovrà considerare attentamente il rapporto rischio-beneficio e le preferenze del paziente.

Parole chiave. Anticoagulanti orali diretti; Cancro; Edoxaban; Tromboembolismo venoso.

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