Dettagli Dicembre 2018, Vol. 19, N. 12 doi 10.1714/3027.30246 Scarica il PDF(925,7 kb) In questo numero titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo In questo numero testo - art_testo articolo speciale La Medicina ed il cuore nel Cinema La strenna di Natale per l’anno 2018 è offerta da Andrea Pozzati, cardiologo colto e grande esperto della storia del cinema che in un viaggio ideale di circa un secolo ripercorre il ruolo del cinema nel rappresentare la figura del medico nella percezione, evoluta nel tempo, da parte della società: dal medico figura caricaturale allo scienziato, al medico empatico, fino a giungere al medico ipertecnologico. Contemporaneamente si evolve progressivamente nel tempo la percezione della malattia passando dal tabù delle malattie incurabili alla divulgazione scientifica e per finire all’ironia. In questo scenario filmografico la Cardiologia ha un ruolo importante nella scena, in particolare attraverso la rappresentazione di due eventi topici quali l’infarto miocardico e l’arresto cardiaco, entrambi associati ad una forte tensione drammatica, ma nello stesso tempo diventati nel tempo possibili eventi a lieto fine grazie ai progressi legati alla rete dell’emergenza coronarica insieme all’angioplastica primaria e la rianimazione cardiopolmonare iniziata sul territorio. L’articolo di Pozzati lancia infine un messaggio originale, che qualcuno ha già iniziato a raccogliere: la magia del cinema non solo come letteratura, immagini e musica ma anche come possibile terapia per migliorare l’umore, l’equilibrio del sistema nervoso autonomo e la risposta allo stress nel paziente cardiopatico. • editoriali Novità in tema di diagnosi e trattamento della sincope In questo editoriale Roberto Maggi et al. riassumono le principali novità contenute nelle ultime linee guida prodotte dalla Società Europea di Cardiologia in tema di diagnosi e gestione della sincope. Tra queste vi è l’introduzione della suddivisione in categorie di rischio dei pazienti che arrivano in Pronto Soccorso, che ha importanti implicazioni pratiche, quali ad esempio poter dimettere nell’immediato i pazienti a basso rischio. Per quanto riguarda gli aspetti diagnostici, il ruolo del tilt test viene rivisto e l’esame assume un ruolo nell’identificazione del paziente con suscettibilità ipotensiva indipendentemente dall’eziologia della sincope, elemento che può entrare nel decision-making di un eventuale impianto di pacemaker. Assume sempre più importanza il ruolo della videoregistrazione come strumento per la diagnosi differenziale tra sincope, epilessia e pseudosincope psicogena e il ruolo del monitoraggio elettrocardiografico prolungato incluso il loop recorder. Gli autori ci descrivono inoltre le nuove entità cliniche quali blocco atrioventricolare idiopatico, sincope a bassa adenosina e sincope ictale. Infine, le novità in tema di terapia con la proposta di un algoritmo per distinguere le forme severe che possono necessitare dell’impianto di pacemaker o di farmaci specifici (in casi molto selezionati). • Angioplastica primaria nello shock: vaso colpevole o rivascolarizzazione completa? Lo shock cardiogeno in corso di infarto miocardico acuto è una delle condizioni cliniche maggiormente associate ad incremento di mortalità, seconda soltanto alle complicanze meccaniche. La strategia di rivascolarizzazione multivasale in corso di angioplastica primaria, cioè il trattamento nella medesima procedura anche delle ostruzioni coronariche situate in altre coronarie rispetto a quella responsabile dell’infarto, è stata considerata per anni una strategia potenzialmente utile a migliorare l’outcome di questi pazienti, e peraltro da riservarsi prevalentemente a costoro dato l’inevitabile rischio procedurale ad essa legato. Tale evidenza, che deriva da uno studio di ormai 20 anni fa, è stata recentemente contraddetta dai risultati dello studio CULPRIT-SHOCK, che viene analizzato e commentato da Filippo Ottani et al. I risultati del trial hanno infatti dimostrato che l’angioplastica primaria multivasale non solo non migliora la prognosi dei pazienti con STEMI con malattia coronarica multivasale complicato da shock cardiogeno, ma anzi, tale strategia (rispetto a quella limitata al trattamento della sola arteria colpevole) è associata ad un incremento della mortalità. Peraltro, si osserva come la mortalità di questi pazienti non si sia significativamente ridotta negli ultimi 20 anni e come quindi per migliorare la gestione, e quindi la possibilità di sopravvivenza, di questi pazienti sia verosimilmente necessaria l’implementazione tempestiva di un’efficace assistenza meccanica al circolo che consenta di superare l’insufficienza cardiaca acuta che rappresenta il fattore decisivo nel determinare una prognosi infausta. • Quando il medico dovrebbe rinunciare… L’editoriale di Marco Bobbio si pone un dubbio importante: fino a che punto il medico deve insistere nel consigliare, a volte quasi imporre, un trattamento di cui è convinto, e quando deve invece accettare di aspettare, di non scegliere, accondiscendere ai dubbi del paziente, fino addirittura ad acconsentire alla sua scelta di non essere curato, anche se questa può portare a conseguenze molto gravi. Bobbio scrive come sempre in modo pacato, eppure è estremamente provocatorio, è “politicamente corretto”, ma scuote le nostre coscienze ponendoci di fronte ad alcuni dei dilemmi più profondi della professione medica, quelli etici, che investono non solo la professionalità, ma anche la nostra coscienza e la natura stessa della Medicina. • rassegne “È nata una stella” La risonanza magnetica cardiaca è uno degli argomenti più caldi e attuali del momento in quanto, spaziando in tutti i campi della patologia cardiaca, sta emergendo come strumento indispensabile nel work-up diagnostico, nella stratificazione prognostica e persino nel monitoraggio della risposta terapeutica in specifiche malattie cardiache. Il suo valore aggiunto risiede nella miglior accuratezza rispetto ad altre tecniche di imaging per quanto riguarda il calcolo dei volumi e della frazione di eiezione delle camere cardiache ma soprattutto nella caratterizzazione tissutale in vivo, in particolare nel rilievo e quantificazione (non ancora completamente parametrica) della fibrosi interstiziale che ha un ruolo sempre più cruciale in moltissime patologie cardiovascolari, da quella ischemica alle cardiomiopatie, alle valvulopatie. È inoltre una tecnica di imaging entrata ormai appieno nel percorso diagnostico di importanti patologie, quali la miocardite o le malattie del pericardio o cardiomiopatie specifiche come l’amiloidosi e la malattia di Anderson-Fabry. Patrizia Pedrotti et al. propongono una rassegna aggiornata e dettagliatissima sulle potenzialità della metodica che oggi si avvale di nuove sequenze in grado di fornire una caratterizzazione tissutale quantitativa, facendo così breccia nel muro della quantificazione parametrica e aprendo nuovi orizzonti ormai sempre più a portata di mano. • Stress test post-rivascolarizzazione: sì, no? Se sì, quale e a chi? L’esecuzione del test da sforzo dopo rivascolarizzazione miocardica rimane ancora oggi un argomento dibattuto sul quale le ombre e i dubbi superano le certezze. Non solo infatti non vi è chiarezza se e quando utilizzare il test da sforzo, ma è anche non completamente chiaro quale tipologia di stress test utilizzare. Per questi motivi la rassegna di Cristiano Massacesi et al. appare particolarmente interessante per l’ampia trattazione su tempi, modalità e tipologia di stress test. La presenza di ischemia inducibile dopo rivascolarizzazione percutanea o chirurgica non è infrequente e come sappiamo impatta sfavorevolmente sulla prognosi. Risulta pertanto fondamentale individuare quale stress test debba essere utilizzato per identificare la presenza di ischemia inducibile. È indubbio inoltre che le metodiche di imaging abbiano oscurato il ruolo del test ergometrico tradizionale, per la possibilità di valutare la contrattilità regionale, la vitalità miocardica e la vascolarizzazione. Di contro, tali metodiche non sono facilmente riproducibili e i costi, estesi su larga scala, non sono trascurabili. Inoltre, non vi è attualmente chiarezza riguardo al timing in cui eseguire lo stress test ed i criteri per porre indicazione allo stress test. L’utilizzo troppo precoce dello stress test rispetto all’intervento di rivascolarizzazione potrebbe dar luogo a risultati fuorvianti. Il solo utilizzo di stress test per immagini nel follow-up di tali pazienti sembra non mostrare benefici prognostici e potrebbe associarsi a costi eccessivi. Sono in corso importanti trial randomizzati che chiariranno questi aspetti controversi. Al momento appare opportuno porre indicazione a rivascolarizzazione in presenza di un’area di ischemia miocardica stress-inducibile >10%. In questo contesto lo stress test elettrocardiografico fornisce importanti dati sulla prognosi e sulla capacità funzionale e va inteso come test di primo livello per le caratteristiche di buona specificità, basso costo e facile esecuzione. • Una valida soluzione per l’angina refrattaria L’angina refrattaria è una condizione cronica che risulta sempre più frequente visto l’allungamento dell’aspettativa di vita dei pazienti coronaropatici. Tale condizione è di difficile controllo mediante la combinazione di terapia medica ottimale e rivascolarizzazione coronarica, con conseguente incremento delle riospedalizzazioni e netto peggioramento della qualità di vita. Il Reducer rappresenta una valida opzione terapeutica. Si tratta di un dispositivo a clessidra, impiantabile per via percutanea, che restringe il seno coronarico. L’impianto di tale dispositivo si è dimostrato essere correlato ad un miglioramento dei sintomi anginosi e ad una riduzione dell’ischemia. Diversi studi ed esperienze “real world” hanno dimostrato la sua efficacia a fronte di un basso tasso di complicanze. Matteo Tebaldi et al. ci illustrano i dettagli dell’impianto, i meccanismi di funzionamento, i dati dei principali studi e le esperienze italiane sull’utilizzo di questo dispositivo. • studio osservazionale Il registro VENERE 2 Le reti interospedaliere per il trattamento dell’infarto miocardico acuto hanno rappresentato un’espressione di forza per la Cardiologia italiana agli inizi degli anni 2000, hanno trainato esperienze analoghe internazionali ed hanno determinato un sostanziale miglioramento della gestione di questi pazienti e della loro prognosi. Tutti ricordano l’entusiasmo per la telemedicina, il diffondersi dapprima a macchia di leopardo, poi in modo più omogeneo dell’angioplastica primaria, i termini “ritardo evitabile”, “door-to-balloon” diventare quasi un Mantra. E 18 anni dopo, dove ci troviamo? La rete acchiappa ancora tanti pesci o è diventata permeabile perché i buchi comparsi negli anni non sono stati aggiustati? A 15 anni di distanza dal primo registro VENERE, ci vengono forniti nuovi risultati. Sinceramente era ora... erano anni che non si sentiva più parlare di Rete dell’infarto. Forse perché tutto va bene? Forse, ci dice il registro VENERE 2; la riperfusione grazie all’angioplastica primaria è dilagante, eventi e tempi di trattamento sono in riduzione. Il lavoro però non è finito. I percorsi “fast” non sono ottimali, troppe persone si recano in ospedale con i propri mezzi, l’ECG preospedaliero non è molto diffuso. Il registro VENERE 2 ha l’indubbio merito di fornirci nuovi dati, nuovi spunti di lavoro. Come ricordano Camillo Pavesi et al. nel loro commento editoriale, se vogliamo un buon raccolto ad ogni calata, la Rete – come quella dei pescatori – ha bisogno di un continuo ritorno di dati e di una costante manutenzione... non dimentichiamocelo! • caso clinico L’IVUS nel trattamento delle CTO difficili In questo interessante caso clinico, Massimo Di Marco et al. ci descrivono in maniera precisa e dettagliata l’efficace utilizzo dell’ecografia intravascolare (IVUS) per la ricanalizzazione anterograda di un’occlusione totale cronica (CTO) del ramo discendente anteriore. Nel caso presentato, in presenza di una lunga CTO del ramo discendente anteriore, è stato utilizzato il catetere IVUS, posizionato in un ramo secondario cioè l’adiacente ramo intermedio, per identificare con precisione il “cap” prossimale della lesione e quindi identificare al meglio il punto di ingresso ottimale del filo guida nella CTO e verificarne la posizione all’interno del vaso. Infatti, con il catetere IVUS è possibile visualizzare la guida e il suo percorso, orientandone la punta per pungere il cappuccio prossimale dell’occlusione e penetrare nel vero lume del vaso occluso. L’IVUS è inoltre utile per selezionare il calibro e la lunghezza dello stent, per assicurare la copertura della lesione e l’ottimizzazione dello stent, e per rilevare complicanze correlate. I recenti progressi nei materiali, nei dispositivi, negli approcci e nelle tecniche degli interventi coronarici percutanei hanno permesso agli operatori di affrontare con successo casi di CTO che fino a pochi anni fa sarebbero stati trattati con ben poche probabilità di successo: l’IVUS è uno di questi. •