In questo numero

editoriale





Cinque domande per il clinico post-COMPASS

La trombina ha non solo un ruolo centrale nella cascata coagulativa ma è anche uno dei più potenti attivatori piastrinici. Per questo motivo, diversi farmaci anticoagulanti inibitori della trombina sono stati testati nella prevenzione degli eventi ischemici ricorrenti in aggiunta alla terapia antitrombotica standard in pazienti con sindrome coronarica acuta, anche se per lo più con scarsa fortuna in relazione all’eccesso di sanguinamenti maggiori. Rivaroxaban è l’unico per cui sia stato concluso uno studio di fase 3 in pazienti con recente sindrome coronarica acuta al fine di valutare l’efficacia clinica del cosiddetto “dosaggio vascolare” (2.5 e 5 mg bid). Più recentemente, questo dosaggio è stato studiato nell’ambito della prevenzione secondaria in pazienti cronici con coronaropatia stabile o vasculopatia periferica nel trial COMPASS, un grande studio randomizzato di oltre 27 000 pazienti. In particolare, l’aggiunta di rivaroxaban 2.5 mg bid all’aspirina ha ridotto del 24% l’incidenza dell’endpoint primario dello studio (il composito di morte cardiovascolare, ictus ed infarto) grazie in particolare alla riduzione di ictus ma anche della mortalità cardiovascolare, al prezzo di un incremento dei sanguinamenti maggiori (ma non di quelli fatali né delle emorragie intracraniche). In questo numero del Giornale, Leonardo De Luca risponde a “Cinque domande per il clinico dopo la pubblicazione del trial COMPASS” illustrando in modo dettagliato ed approfondito i principali quesiti a cui il cardiologo si trova di fronte durante l’interpretazione dei risultati di questo studio: partendo dai presupposti fisiopatologici e dai risultati dei precedenti studi con la bassa dose di rivaroxaban, esaminando quindi le caratteristiche dello studio ed i suoi risultati, e infine evidenziando i potenziali risvolti clinici per il cardiologo e la loro relativa applicazione nella pratica quotidiana. •

rassegne





Conoscere il cuore... senza paura!

Il sogno di tutti, clinici e non clinici, è conoscere ogni piccolo particolare del cuore. Capirne il battito, la forza, i pericoli delle malattie, anche le più nascoste, rapidamente e senza inserire fastidiosi cateteri, sonde, o iniziare una lunga serie di indagini che ricordano un’Odissea attorno al cuore. Oggi la risonanza magnetica cardiaca (RMC) rende reale questo sogno. Ci fa conoscere tutto, quasi tutto! Patrizia Pedrotti et al. in questa pregevole e completa revisione ce lo insegnano. La RMC è diventata uno strumento accurato e versatile per lo studio anatomico e funzionale del cuore e dei grossi vasi, con un vasto campo di applicazioni cliniche. Spazia infatti dallo studio della cardiopatia ischemica acuta e cronica, alla ricerca del substrato aritmico nei pazienti con aritmie ventricolari complesse, al follow-up delle valvulopatie e delle cardiopatie congenite. L’accuratezza nella stima dei volumi e della frazione di eiezione di entrambi i ventricoli, la caratterizzazione dei tessuti cardiaci, la corretta quantizzazione dei rigurgiti valvolari e degli shunt cardiaci, lo studio della perfusione miocardica durante stress farmacologico e la ricostruzione tridimensionale dei grossi vasi sono caratteristiche difficilmente possedute da una singola metodica, ma che ritroviamo tutte nella RMC. Oggi quest’indagine è indispensabile per il corretto inquadramento e follow-up del paziente affetto da varie forme di cardiopatia. Difficile farne a meno. Dobbiamo solo trovare il modo di non aver paura a farla...•





Cuore, neoplasie e le correlazioni che non ti aspetti…

La prevenzione delle malattie cardiovascolari e delle neoplasie hanno molti punti in comune. In questa originale rassegna, nata dalla collaborazione tra Area Prevenzione Cardiovascolare e Task Force Cardioncologia dell’ANMCO, Maurizio Abrignani et al. hanno effettuato un’analisi delle evidenze disponibili su come alcuni fattori di rischio tradizionali per le malattie cardiovascolari, quali ipertensione arteriosa, fumo, dislipidemia, stress, diabete e infiammazione cronica, siano fattori di rischio anche per il cancro. Gli autori presentano i dati disponibili in letteratura riguardo la possibilità che riducendo questi fattori di rischio attraverso lo stile di vita, promuovendo una corretta alimentazione, l’attività fisica e l’astensione dal fumo, o con i farmaci, si possano prevenire non solo nuovi eventi cardiovascolari, ma anche nuovi casi di neoplasie. •





Pacemaker con e senza fili a confronto

Nell’ambito dell’elettrostimolazione cardiaca, l’introduzione dei pacemaker leadless rappresenta una delle principali innovazioni degli ultimi anni. Si tratta di dispositivi di stimolazione cardiaca monocamerale privi di elettrocateteri che permettono, pertanto, di evitare le complicanze legate ai device transvenosi quali, ad esempio, l’endocardite e l’ematoma della tasca. Pertanto, i pacemaker leadless risultano ad oggi indicati in quei pazienti in cui il rischio infettivo è elevato o che presentano ad esempio occlusione della vena cava superiore o trombosi bilaterale della succlavia che impediscono l’introduzione di cateteri tradizionali. Agostino Piro et al. descrivono nel dettaglio i pacemaker leadless confrontandoli tra loro e con quelli transvenosi: dopo una chiara descrizione dei dispositivi, vengono esposti aspetti ingegneristici nonché dati di efficacia e sicurezza. Inoltre questa rassegna guarda al futuro, ossia all’utilizzo dei dispositivi leadless anche nella stimolazione bicamerale e nella terapia di resincronizzazione cardiaca.•

studio osservazionale





Il blocco del serrato come analgesico nell’impianto di defibrillatore sottocutaneo

Il blocco del muscolo serrato è una tecnica che è stata utilizzata per l’analgesia dell’emitorace ipsilaterale in alcuni tipi di chirurgia, toracoscopie, analgesia delle fratture costali. L’effetto analgesico appare mediato dal blocco delle branche cutanee laterali dei nervi intercostali. Considerate le caratteristiche della procedura di impianto di defibrillatore sottocutaneo (S-ICD), Carlo Uran et al. hanno utilizzato il blocco del serrato mediante guida ecografica per ridurre il dolore intra e post-procedurale. Su sette S-ICD impiantati, tre con tecnica anestesiologica standard e quattro con il blocco del serrato, questi ultimi hanno dimostrato migliori risultati in termini di miglioramento del “discomfort” del paziente sia durante la procedura che durante la fase postoperatoria. Inoltre, viene descritta una tecnica di impianto a due incisioni che ha permesso di evitare possibili complicanze legate al decubito, infezione, deiscenza, effetti antiestetici, senza inficiare il corretto posizionamento dell’elettrocatetere.•

documento di consenso





Quando l’intensività delle cure diventa futile

Il concetto di cure palliative è stato per lungo tempo estraneo alla cultura cardiologica, confinato alla gestione dei pazienti oncologici in fase avanzata. La nuova epidemiologia dei pazienti cardiopatici cronici ed in particolare di quelli con scompenso cardiaco ha portato negli ultimi anni a livello internazionale ad una crescente attenzione per le cure palliative anche in ambito cardiologico. Il Giornale Italiano di Cardiologia ha già ospitato negli ultimi anni significativi contributi sul tema ed in questo numero Raffaella Antonione et al. fanno il punto della situazione in un utile documento di consenso sulle cure palliative in ambito cardiologico realizzato a cura di un gruppo di lavoro congiunto della Società Italiana di Cardiologia (SIC) e della Società Italiana di Cure Palliative (SICP). Il modello più moderno prevede l’avvio precoce delle cure palliative mantenendo contestualmente anche la terapia attiva (cure simultanee) che andrà sospesa gradualmente in relazione alla progressione della malattia di base. Un altro aspetto importante trattato nel documento è quello della possibile disattivazione dei defibrillatori impiantabili nella fase terminale della vita. Il messaggio chiave del documento è quello della necessità di un coordinamento tra specialisti cardiologi e palliativisti per l’identificazione e la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco avanzato con bisogni di cure palliative. È auspicabile che attraverso questa “contaminazione” di saperi si riescano a sviluppare la cultura e le competenze palliative anche all’interno del mondo cardiologico. •