In questo numero

articolo speciale





La genialità della natura umana

Un altro anno è trascorso e alle porte del nuovo anno Andrea Pozzati e Davide Profumo ci invitano ad una interessante riflessione su quanto porti in sé la malattia. Fino al secolo scorso i malati venivano tenuti lontano dalla società. Solo dopo il XX secolo la malattia ha acquisito una dignità, ma aspetto ancora più rilevante la malattia ha rappresentato l’occasione di massima espressione del genio umano. Guardando Giacomo Leopardi, Frida Kahlo, Franz Kafka, Ludwig Van Beethoven o Edgar Allan Poe si comprende come l’intelligenza umana sia stata capace di grandi opere a partire proprio dalla condizione di malattia in cui si trovava. Questo è un messaggio di conforto e incoraggiamento per tutti i malati a superare le criticità della malattia. •

editoriale





Non tutto il male vien per nuocere…

Se qualcuno avesse ancora dubbi sulle applicabilità dei proverbi anche in ambito clinico, la lettura delle lucide e realistiche considerazioni riportate da Andrea Di Lenarda et al. nel loro editoriale, lo indurrà sicuramente a ricredersi. Lo scompenso cardiaco acuto, e la conseguente necessità di ospedalizzazione, rappresentano eventi indubbiamente critici, con implicazioni prognostiche notoriamente negative nella storia naturale del paziente affetto da questa sindrome. Ma, come ci ricordano gli autori (e il proverbio…), il cardiologo deve sfruttare positivamente l’occasione del ricovero ospedaliero, aumentando il suo livello di attenzione e comprensione, sia in termini di rivalutazione clinica e ottimizzazione terapeutica, che di puntualizzazione-personalizzazione dei percorsi di transizione e di presa in carico post-dimissioni. In particolare le evidenze sull’efficacia e tollerabilità degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina, inizialmente riservati al paziente cronico, rappresentano una nuova opportunità a disposizione che, se iniziata precocemente, monitorizzata nella fase ospedaliera e proseguita dopo le dimissioni, appare prognosticamente utile, riducendo il rischio di eventi post-ricovero rispetto alla terapia tradizionale. •

cuore e interazioni





Cuore e sangue

Le interazioni tra cardiologia ed ematologia sono varie, coinvolgendo l’endotelio, il sistema citochinico-infiammatorio e il complemento, ma possono essere ricondotte a tre scenari clinici: 1) anemia e sindrome coronarica acuta, 2) trombocitopenia e sindrome coronarica acuta, 3) neoplasie mieloproliferative croniche e sindrome coronarica acuta o cronica. Nella presente rassegna Nuccia Morici et al. illustrano come eritrociti, leucociti e piastrine subiscano variazioni in corso di patologie sistemiche e possano essere inseriti nella valutazione complessiva del paziente con coronaropatia acuta o cronica. L’anemia grave ha un ruolo diretto sul miocardio ischemico in quanto si associa a recidive ischemiche. Inoltre, essendo espressione di comorbilità nel paziente con sindrome coronarica acuta, limita la terapia antiaggregante con conseguente ricaduta su mortalità a breve e lungo termine. Allo stesso tempo è raccomandato un uso restrittivo delle trasfusioni di globuli rossi concentrati considerando una soglia di emoglobina pari a 8 g/dl per i pazienti emodinamicamente stabili e pari a 10 g/dl in caso di instabilità emodinamica. La trombocitopenia, indipendentemente dall’incremento degli eventi emorragici, comporta un maggior rischio di mortalità a breve e lungo termine dopo una sindrome coronarica acuta anche perché non conferisce alcuna protezione contro gli eventi trombotici. Il rischio trombotico aumenta particolarmente nelle malattie ematologiche con proliferazione clonale di una cellula staminale emopoietica patologica, come la policitemia vera e la trombocitemia essenziale. I pazienti affetti da tutte queste patologie, spesso fragili, devono essere strettamente monitorati, senza preclusione di trattamenti, con una valutazione attenta del rischio di sanguinamento e di trombosi. •

pdta in cardiologia





La consulenza cardiologica preoperatoria

La consulenza cardiologica preoperatoria è una sfida quotidiana che occupa molta parte del nostro tempo. A volte ci tormenta per l’inappropriatezza, altre ci imbarazza per la difficoltà, più spesso genera frotte di richieste di ecocardiogrammi o altri esami non invasivi che soffocano i nostri ambulatori. Una vera chimera da catturare ed ammaestrare. Direi che ci hanno provato con un certo successo Laura Massa et al. i quali, forti della loro esperienza organizzativa, hanno prodotto un documento che ha lo scopo di fornire indicazioni e di standardizzare i comportamenti dei vari medici nella gestione dei pazienti candidati a chirurgia. I punti chiave di questo percorso diagnostico-terapeutico assistenziale sono rappresentati dalle indicazioni per (a) gestire le acuzie cardiologiche con timing e accuratezza adeguati e (b) definire il rischio cardiologico nel singolo paziente con tempi ed indicazioni appropriate, permettendogli di affrontare la procedura chirurgica o invasiva con il rischio più basso correlato alla presenza della cardiopatia. Un compito non semplice perché spesso le gestioni preoperatorie sono molto complesse per comorbilità, politerapie e presenza dispositivi cardiaci impiantabili. •

rassegne





L’ecocardiografia tridimensionale: realtà o illusione?

Grazie alle innovazioni tecnologiche nel campo della miniaturizzazione dei componenti elettronici, della produzione di cristalli piezoelettrici e della elaborazione delle informazioni, l’ecocardiografia tridimensionale sembra finalmente irrompere nella pratica clinica. Oggi, in presenza di una buona qualità tecnica, l’ecocardiografia tridimensionale consente una valutazione dei volumi e della funzione delle camere cardiache con un’accuratezza paragonabile a quella della risonanza magnetica cardiaca e della tomografia computerizzata. Permette inoltre una visualizzazione realistica dell’anatomia funzionale (a cuore battente) delle varie strutture cardiache, cruciale non solo per la diagnosi eziologica delle anomalie cardiache, ma anche per la pianificazione, la guida e la valutazione dei risultati della chirurgia ricostruttiva o delle procedure interventistiche transcatetere percutanee. Luigi Badano et al. ci propongono una rassegna aggiornata su luci ed ombre di una tecnica datata, che finalmente sembra essersi guadagnata un posto di primo piano nella realtà clinica. •





Il ventricolo destro: non solo “di passaggio”

Il cuore destro è stato tradizionalmente considerato un condotto passivo tra il sistema venoso ed i polmoni. Oggi sappiamo che esiste una stretta interdipendenza emodinamica tra ventricolo destro, circolo polmonare e ventricolo sinistro, e che il ventricolo destro gioca un ruolo chiave nella capacità di adattamento a molte condizioni super-fisiologiche e patologiche. L’“unità cuore destro-circolo polmonare” è quindi da considerarsi protagonista soprattutto in condizioni di esercizio fisico, cui risponde con variazioni di contrattilità, output, resistenze, pressioni polmonari. In alcune condizioni patologiche (es. cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, stenosi o insufficienze valvolari severe, sclerosi sistemica, malattie polmonari croniche ostruttive, cardiopatie congenite, ecc.) una risposta anomala all’esercizio dell’unità cuore destro-circolo polmonare può essere un prezioso indizio sul piano sia diagnostico che prognostico. È noto che lo studio ecocardiografico del ventricolo destro pone non poche difficoltà e che la misurazione di molti parametri non ha ancora una standardizzazione riconosciuta. Tuttavia l’eco-stress può, in questo contesto, rivelare variazioni di alcuni parametri utili alla definizione diagnostica e prognostica di molte patologie, offrendo anche strumenti per stabilire il timing di eventuali interventi correttivi. Simona Sperlongano et al. riassumono in modo completo e chiaro le possibilità che l’eco-stress offre al fine di una valutazione funzionale del ventricolo destro e del circolo polmonare, corredando il testo di utili tabelle di facile uso quotidiano. •





Rivisitazione della cardiomiopatia ipertrofica attraverso il ruolo delle tecniche di imaging

Il gruppo dell’Area CardioImaging ANMCO esamina in questa rassegna il ruolo cruciale dell’imaging nella cardiomiopatia ipertrofica. L’ecocardiografia e la risonanza magnetica hanno infatti un ruolo di primo piano nella diagnosi differenziale delle diverse forme eziologiche all’interno del fenotipo ipertrofico o nella diagnosi differenziale con il cuore d’atleta e la cardiopatia ipertensiva. L’ecocardiografia, a riposo o eseguita durante prova da sforzo con lettocicloergometro, rappresenta ad esempio la tecnica di imaging cardine per la valutazione del gradiente all’efflusso ventricolare o medio-apicale, nonché per la definizione del dettaglio anatomico dell’apparato valvolare e sottovalvolare mitralico dei pazienti che vengono inviati a intervento di miectomia. La risonanza magnetica ha invece un ruolo principe nella stratificazione del rischio di morte improvvisa, grazie alla precisa misurazione degli spessori e alla valutazione della fibrosi intramiocardica. In questa rassegna le tecniche di imaging rappresentano il filo conduttore attraverso i principali snodi diagnostici e terapeutici della cardiomiopatia ipertrofica. •