In questo numero

editoriale




p<0.05... Che vuol dire esattamente?

Dovremmo pensare di abbandonare il tradizionale “p-value” in favore del cosiddetto “intervallo di confidenza”? Tutto ciò che è p<0.05 è “sacro” e tutto ciò che va oltre lo 0.05 è da buttare nel cestino? L’American Statistical Association ha iniziato una seria riflessione sull’argomento, ripresa da autorevoli commentatori, anche cardiologi, in tutto il mondo. Le implicazioni cliniche sono enormi. Non poteva mancare l’autorevole interpretazione di Luigi Tavazzi, che bene sintetizza i termini del problema. Anzitutto, cerchiamo di capire cosa vuol dire esattamente “p<0.05”, cosa vuol dire “intervallo di confidenza” e, ancora di più, cerchiamo di capire qual è l’uso che intendiamo fare di questo modo di esprimere i risultati di una ricerca scientifica. Non dimentichiamo che se i dubbi che uno studio scientifico può generare in noi sono una sorta di “variabile continua”, le implicazioni di questi dubbi (ad esempio somministrare o non somministrare un trattamento, eseguire o non eseguire un test diagnostico, registrare o non registrare un certo farmaco per l’immissione in commercio con una certa indicazione, ecc.) sono variabili assolutamente categoriche che ammettono due sole risposte: sì oppure no. •

rassegne




Fibrillazione atriale e malattia renale cronica: a che punto siamo per la prevenzione dell’ictus?

Nonostante gli anticoagulanti orali diretti abbiano quasi rubato la scena al warfarin per la prevenzione dell’ictus e delle embolie sistemiche nei pazienti con fibrillazione atriale, rimane non definito il trattamento dei soggetti con malattia renale cronica allo stadio 4 o in fase dialitica (stadio 5). In Europa il farmaco più impiegato in questa popolazione è il warfarin, pur comportando un significativo rischio emorragico. Negli Stati Uniti invece vengono usati off-label gli anticoagulanti orali diretti. In attesa di studi clinici ad hoc, Serena Petricciuolo et al. hanno revisionato la letteratura, analizzando tutte le informazioni provenienti dai trial clinici randomizzati, studi retrospettivi, metanalisi e rassegne. Gli antagonisti della vitamina K risultano efficaci nel ridurre gli eventi ischemici nei soggetti con fibrillazione atriale e severa malattia renale cronica, ma non impattano sulla mortalità di questi pazienti, che a causa della severa disfunzione renale vanno incontro a sanguinamenti. Il dabigatran, data la consistente quota di escrezione renale, non viene raccomandato nei soggetti con clearance della creatinina <30 ml/min. Per rivaroxaban è stato dimostrato che l’emivita plasmatica non si modifica al calare della velocità di filtrazione glomerulare, differentemente dagli altri anticoagulanti orali diretti. Apixaban è escreto in piccola percentuale a livello renale (27%) ed è stato dichiarato dalla Food and Drug Administration utilizzabile anche per i pazienti con malattia renale cronica allo stadio 4 o 5. Edoxaban sembra avere lo stesso profilo di efficacia e sicurezza del warfarin nei pazienti con fibrillazione atriale e malattia renale cronica grave. Si attendono i risultati di due trial clinici randomizzati. •




Una vera svolta nell’ambito della cardiologia interventistica

Dopo la grande svolta rappresentata dall’angioplastica primaria, un altro importante cambiamento si è fatto strada negli ultimi anni nell’ambito della cardiologia interventistica: la riserva frazionale di flusso coronarico (FFR). Si tratta della valutazione funzionale delle stenosi coronariche che consente di capire il potere ischemizzante di ogni singola stenosi. L’utilizzo di tale metodica ci permette di valutare se e come trattare le lesioni coronariche. Diversi studi in letteratura hanno dimostrato l’elevata riproducibilità e l’accuratezza diagnostica di questa metodica, tanto da renderla una tappa fondamentale nel percorso diagnostico-terapeutico del paziente con cardiopatia ischemica. Luigi Di Serafino ed Emanuele Barbato ci illustrano in questa rassegna la fisiopatologia alla base della FFR, gli aspetti procedurali, i dati di letteratura a supporto del suo utilizzo in diversi scenari clinici e le principali innovazioni della metodica. •

studio osservazionale




Impariamo ad utilizzare i “big data” italiani per la valutazione della terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale

La valutazione dell’impatto di molte terapie, farmacologiche e non, nella cosiddetta “vita reale”, è molto facilitato dall’utilizzo di grossi archivi (big data) contenenti dati relativi allE prescrizioni di questi farmaci e all’insorgenza di complicanze nei pazienti “reali” sottoposti al trattamento. Luca Degli Esposti et al. hanno utilizzato un database amministrativo dell’Azienda Sanitaria Locale Romagna che include i dati di pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, di cui 595 hanno iniziato un trattamento con farmaci antagonisti della vitamina K e 375 nuovi anticoagulanti orali nel periodo tra gennaio 2014 e giugno 2015. L’incidenza delle complicanze tromboemboliche e di quelle emorragiche è apparsa lievemente più alta nei pazienti assegnati al trattamento con con farmaci antagonisti della vitamina K rispetto ai pazienti assegnati al trattamento con nuovi anticoagulanti orali. Tuttavia, queste differenze non hanno raggiunto la significatività statistica dopo aggiustamento per propensity score matching. È evidente che questi dati vanno integrati con dati provenienti da altre regioni italiane, allo scopo di rendere il campione più numeroso ed idoneo a rivelare l’esistenza di eventuali differenze tra diversi trattamenti, qualora realmente esistenti. Si tratta del primo tentativo, nel nostro Paese, di valutare l’impatto della terapia anticoagulante in pazienti con fibrillazione atriale facendo ricorso ai “big data” di vita reale. •

documento di consenso




All you need is… imaging!

Siamo costantemente circondati e sollecitati ad utilizzare sempre più frequentemente sofisticate e accurate tecniche di cardio-imaging nella nostra pratica clinica. Riuscire a definire una priorità di utilizzo, basata sulla reale appropriatezza del singolo test, sui suoi reali vantaggi rispetto ad una altro per il nostro paziente, non è per niente semplice. Il documento di consenso ANMCO/SICI-GISE/SIC/SIECVI/SIRM sull’appropriatezza dell’imaging multimodale nelle patologie cardiovascolari, coordinato da Federico Nardi et al., traduce lo sforzo delle principali Società Scientifiche di sistematizzare, in modo critico ed organico, le procedure diagnostiche di imaging, correlandole in maniera originale e pratica al singoli scenari clinici in cui vengono proposte ed utilizzate e rappresenta quindi, nella scia di altri documenti di consenso, un aggiornato e documentato strumento, utile a fornire al cardiologo clinico un sistema razionale di orientamento nel complesso e articolato panorama dell’imaging multimodale cardiovascolare. •