Presentazione

Cari Lettori,

questo Supplemento al Giornale Italiano di Cardiologia è dedicato a un argomento di grande attualità in Cardiologia Interventistica: la gestione del rischio emorragico dei pazienti sottoposti a procedure di angioplastica coronarica (PCI). Ci pregiamo del fatto di aver messo insieme un gruppo di persone di straordinaria esperienza nel campo, come avrete modo di apprezzare dalla lettura degli articoli contenuti in questo numero.

Francesco Costa ha coordinato la stesura del primo articolo, incentrato sulla definizione del paziente ad elevato rischio emorragico (high bleeding risk, HBR). Per anni l’impegno dei cardiologi è stato focalizzato sulla riduzione del rischio ischemico e trombotico, in qualche modo sottovalutando il peso degli eventi avversi emorragici sulla prognosi a breve e lungo termine. Nell’ultimo decennio la situazione si è riequilibrata, con un crescente interesse di clinici e ricercatori nei confronti del rischio emorragico. Abbiamo oggi un’ampia letteratura sulla definizione del rischio emorragico, sulle sue conseguenze cliniche e sui potenziali risvolti terapeutici dei pazienti con cardiopatia ischemica. L’articolo di Costa e colleghi riassume con grande chiarezza questi concetti.

La seconda rassegna è stata curata da Sergio Leonardi e tratta della vexata quaestio della durata della duplice antiaggregazione piastrinica (DAPT) dopo PCI. Lo fa però dalla prospettiva del paziente HBR con l’obiettivo di guidare il clinico all’utilizzo di moderne strategie di riduzione del rischio emorragico, tra cui la riduzione della durata della DAPT indipendentemente dal rischio trombotico e la “de-escalation” degli inibitori del recettore P2Y12. Senza trascurare la combinazione con anticoagulanti orali e le nuove strategie di DAPT di breve durata, tra cui la sospensione precoce dell’aspirina.

Il terzo articolo coordinato da Davide Capodanno ha come oggetto i pazienti con indicazione a terapia anticoagulante orale (TAO) cronica sottoposti a PCI. La necessità di associare DAPT e TAO in quella che viene chiamata triplice terapia antitrombotica espone i pazienti a un rischio emorragico molto aumentato a prescindere dalle altre caratteristiche cliniche. La recente pubblicazione di trial dedicati mette a nostra disposizione una mole di dati solidi, che vengono qui riassunti con grande chiarezza dagli autori. Approfittando della circostanza, il Comitato Editoriale SICI-GISE esprime sincere congratulazioni a Davide per la recente, prestigiosa nomina a Editor-in-Chief del nostro giornale di settore di riferimento a livello europeo: EuroIntervention. Buon lavoro!

L’articolo successivo è ancora del gruppo di Catania, questa volta coordinato da Piera Capranzano, e affronta la spinosa problematica della gestione della terapia antitrombotica nei pazienti già sottoposti a PCI che abbiano un evento emorragico. Non essendoci dati derivati da studi dedicati, vi è il rischio che nella pratica clinica siano adottati atteggiamenti arbitrari e disomogenei. Gli autori, richiamandosi a recenti documenti di consenso, forniscono suggerimenti pratici da seguire per la gestione degli antitrombotici in relazione alla gravità dell’emorragia.

Il quinto contributo è di un altro super-esperto di terapia antitrombotica, Leonardo De Luca. Qui la prospettiva è completamente differente: due importanti trial randomizzati hanno testato sicurezza ed efficacia di strategie farmacologiche che, in modo differente, aumentano l’intensità del trattamento antitrombotico in pazienti ad elevato rischio ischemico: PEGASUS-TIMI 54 (DAPT prolungata con ticagrelor in pazienti con pregresso infarto miocardico) e COMPASS (rivaroxaban in associazione ad aspirina in pazienti con coronaropatia stabile o vasculopatia periferica). Pur se differenti, i due studi presentano diversi punti di contatto e un non trascurabile numero di pazienti potrebbe essere candidabile ad entrambe le strategie proposte sulla base dei risultati degli studi. Sul piatto della bilancia, in entrambi i casi, l’aumento del rischio emorragico e la necessità di un’accurata selezione dei pazienti.

Il caso clinico, presentato da Miriam Compagnone e colleghi, insiste sulla difficile gestione del rischio emorragico nella pratica clinica aprendo una finestra sulle nuove opportunità terapeutiche offerte dalla Cardiologia Interventistica grazie allo sviluppo di efficaci tecniche transcatetere.

L’ultimo contributo a questo Supplemento è il documento di posizione SICI-GISE sull’uso dello scaffold riassorbibile Magmaris nella pratica clinica. Lo sviluppo degli scaffold riassorbibili (BRS), pur con ottime premesse fisiopatologiche ed interessanti osservazioni cliniche, ha subito una pesante battuta d’arresto in seguito ai risultati ottenuti nei trial randomizzati dal dispositivo polimerico Absorb BVS, che hanno documentato un aumento delle trombosi di scaffold a lungo termine nei confronti degli stent metallici di uso comune. Non tutti i BRS però sono uguali. Il Magmaris in particolare ha delle caratteristiche specifiche che lo rendono molto differente dagli altri BRS. È infatti costituito da una lega metallica biodegradabile in magnesio, che presenta interessanti proprietà antitrombotiche, una forza radiale superiore e una cinetica di riassorbimento più breve rispetto al BVS. Questo documento passa in rassegna le proprietà del dispositivo, riassume i principali risultati clinici disponibili e offre suggerimenti per la selezione dei pazienti e l’impianto ottimale.

Buona lettura,

Francesco Saia

Guest Editor