Documento di posizione della Società Italiana
di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE):
Gestione del forame ovale pervio in presenza
di tromboembolia cerebrale o sistemica
criptogenetica – versione 2020

Giuseppe Tarantini1, Gianpiero D’Amico1, Claudio Baracchini2, Andrea Berni3, Sergio Berti4,
Giovanni Battista Calabri5, Massimo Chessa6, Giovanni Esposito7, Achille Gaspardone8, Alberto Menozzi9, Francesco Meucci10, Giuseppe Musumeci11, Eustaquio Onorato12, Stefano Rigattieri3, Francesco Saia13, Pino Santoro14, Paolo Scacciatella15, Daniela Trabattoni12, Chiara Fraccaro1, Cristian Pristipino16

1Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, Università degli Studi, Padova

2Stroke Unit e Laboratorio di Neurosonologia, Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi, Padova

3U.O.C. Cardiologia, A.O. Sant’Andrea, Roma

4Ospedale del Cuore, Fondazione CNR Toscana G. Monasterio, Pisa

5Cardiologia Pediatrica, AOU “A. Meyer”, Firenze

6U.O. Cardiologia Pediatrica e del Congenito Adulto, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI)

7Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli

8U.O.C. Cardiologia, Ospedale S. Eugenio, ASL Roma 2, Roma

9S.C. Cardiologia, Ospedale Sant’Andrea, La Spezia

10Interventistica Cardiologica Strutturale, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, AOU Careggi, Firenze

11S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano Umberto I, Torino

12Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano

13U.O. Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna

14Cardiologia Pediatrica e del Congenito Adulto, Fondazione Regione Toscana-CNR, Massa

15S.C. Cardiologia, Ospedale Regionale “U. Parini”, Aosta

16U.O.C. Emodinamica, P.O. San Filippo Neri, ASL Roma 1, Roma

Patent foramen ovale (PFO) is implicated in the pathogenesis of different clinical syndromes in which it plays variable roles. In 2017 and 2018, four randomized clinical trials were published, allowing for the clarification of certain issues pertaining to cryptogenic stroke. Recently, eight European scientific societies collaborated to the writing of an interdisciplinary international position paper on PFO and cryptogenic stroke, based upon best available evidence, with the aim of defining the principles needed to guide decision making. Nonetheless, a tailored approach is not suitably addressed by standard position documents, considering that decisions about optimal management of PFO patients with left circulation thromboembolism are often challenging, mostly due to comorbidities and complex clinical scenarios.

A panel of Italian cardiology experts gathered under the auspices of the Italian Society of Interventional Cardiology (SICI-GISE) for comprehensive discussion and consensus development, with the aim of providing practical recommendations, for both clinical and interventional cardiologists, regarding optimal management of PFO in patients with cerebral or systemic thromboembolism. In this position paper, various clinical scenarios in patients with and without high-risk PFO features are presented and discussed, including PFO patients with associated conditions (e.g. hypercoagulable states, deep vein thrombosis/pulmonary embolism, short runs of atrial fibrillation), and special subsets (e.g. patients with risk factors for atrial fibrillation, patients aged ≥65 years, patients who refused percutaneous PFO closure), with the Panel’s recommendations being provided for each scenario.

Key words. Cryptogenic stroke; Patent foramen ovale; Thromboembolism.

INTRODUZIONE

Il forame ovale pervio (PFO) può giocare un ruolo patogenetico in diverse sindromi cliniche. L’elevata prevalenza di PFO nella popolazione (20-30%) tuttavia aveva fin dal principio generato dati controversi e studi poco chiarificatori in merito. In assenza di specifiche linee guida, nel 2013 la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE), in collaborazione con alcune Società Scientifiche italiane, aveva redatto un documento di posizione multidisciplinare per orientare in maniera razionale il trattamento dell’ictus di origine indeterminata associato a PFO1. Basandosi sia sui registri indipendenti sia sui pochi studi randomizzati, in assenza di risposte definitive da parte della letteratura scientifica al tempo disponibile, il documento aveva lo scopo di fornire una guida razionale e pratica focalizzata sul giudizio clinico multidisciplinare di casi individuali.

Più recentemente sono stati pubblicati quasi in contemporanea tre studi clinici randomizzati (CLOSE, REDUCE e DEFENSE-PFO) e il follow-up a lungo termine dello studio RESPECT. Questi studi hanno aggiunto ulteriori evidenze nell’ambito del trattamento delle sindromi tromboemboliche associate a PFO. Sulla base di queste recenti evidenze, la European Association of Percutaneous Coronary Interventions (EAPCI) in associazione con altre 8 società scientifiche europee ha redatto un documento ufficiale di posizione sulla gestione dei pazienti con tromboembolia del circolo di sinistra associata a PFO2. Il documento europeo di posizione è il primo a livello internazionale e si prefigge di mettere ordine in una materia molto complessa, offrendo strategie razionali aggiornate e largamente condivise.

Per contribuire ad armonizzare le divergenze che inevitabilmente emergono nell’ambito di un argomento controverso, è parte della missione delle Società Scientifiche di esprimere posizioni ufficiali condivise che possano essere tradotte localmente in strategie razionali con un impianto comune. Tradizionalmente lo strumento principale per conseguire questo obiettivo è la formalizzazione di linee guida, tuttavia quando il livello delle evidenze scientifiche non è sufficiente o la natura della materia sfugge a una prescrizione stringente e generalizzata, lo scopo può essere raggiunto mediante documenti di posizione, nello specifico basati sull’analisi di scenari clinici. Seguendo lo schema dell’EAPCI, questo documento di posizione si articolerà in due parti: la prima parte verterà su scenari clinici di tromboembolia criptogenetica cerebrale o sistemica, la seconda inerente le sindromi non tromboemboliche, quali la malattia da decompressione, l’emicrania con aura, le sindrome da deossigenazione arteriosa (come la sindrome da platipnea-ortodeossia).

METODI E SCOPO DEL PROGETTO

Il presente documento di posizione è stato redatto per guidare il clinico nella gestione ottimale del paziente affetto da PFO in diversi scenari clinici. La volontà del Panel è di dare al cardiologo clinico e al cardiologo interventista indicazioni pratiche sulla gestione del paziente con PFO, integrando le evidenze disponibili e affrontando le problematiche legate alla complessità clinica, aspetti che spesso non sono stati affrontati negli studi randomizzati. Non trattandosi di una linea guida non saranno espresse classi di raccomandazioni o livelli di evidenza. Per la stesura del documento i membri del Panel si sono basati comunque su una revisione della letteratura disponibile sull’argomento e sul recente documento di posizione europeo, cercando di motivare il razionale che ha portato ad indicare una determinata scelta terapeutica.

Ogni raccomandazione finale ha raggiunto il consenso di almeno l’80% dei membri del Panel.

LE EVIDENZE

Le prove di efficacia della chiusura percutanea del PFO rispetto alla terapia farmacologica in prevenzione secondaria dopo ictus criptogenetico provengono da 6 trial clinici randomizzati (Tabella 1). I primi tre trial, (CLOSURE I, RESPECT e PC)3-5, pubblicati tra il 2012 e il 2013, sono risultati formalmente negativi non avendo raggiunto l’endpoint primario nell’analisi intention-to-treat. Il dispositivo utilizzato in due dei tre studi (RESPECT e PC) è stato l’Amplatzer (Abbott Vascular, Santa Clara, CA, USA), mentre nello studio CLOSURE I è stato utilizzato lo Starflex (NMT Medical, Boston, MA, USA). Quest’ultimo dispositivo è stato in seguito abbandonato, alla luce dell’alto tasso di complicanze intraprocedurali e del riscontro di casi di trombosi nel follow-up. I primi trial presentano diverse limitazioni, quali la mancanza di adeguata potenza statistica, follow-up di breve durata, inclusione di pazienti eterogenei (non solo ictus ma anche attacco ischemico transitorio [TIA], diagnosi, quest’ultima, difficilmente oggettivabile) e, nel caso del RESPECT, elevato tasso di abbandono osservato prevalentemente nel braccio randomizzato a terapia medica. In considerazione di tali risultati, la chiusura percutanea del PFO non era raccomandata dalle linee guida dell’American Academy of Neurology del 2016 se non nell’ambito di sperimentazioni cliniche o in casi selezionati, come in caso di ricorrenza di ictus nonostante adeguata terapia farmacologica6. Tra il 2017 e il 2018, sono stati pubblicati 4 nuovi studi che hanno riportato risultati a favore della chiusura percutanea del PFO: RESPECT-LT7, REDUCE8, CLOSE9 e DEFENSE-PFO10. Il RESPECT-LT non rappresenta in realtà un nuovo studio ma riporta semplicemente il follow-up esteso (media 5.9 anni), prespecificato nel protocollo; nel REDUCE 664 pazienti sono stati randomizzati a chiusura mediante due dispositivi (Helex e Cardioform Septal Occluder, Gore Medical, Flagstaff, AZ, USA) più terapia antiaggregante piastrinica o a sola terapia antiaggregante; nel CLOSE, 663 pazienti sono stati randomizzati a tre bracci di trattamento (chiusura di PFO più terapia antiaggregante, terapia antiaggregante, terapia anticoagulante); in questo studio, non sponsorizzato, sono stati impiegati 11 dispositivi diversi, con impianto dell’Amplatzer in circa la metà dei casi; il DEFENSE-PFO è uno studio spontaneo di piccole dimensioni in cui 120 pazienti sono stati randomizzati a chiusura del PFO con dispositivo Amplatzer o a terapia medica (antiaggregante o anticoagulante). Complessivamente, questi studi hanno dimostrato una significativa riduzione del rischio di recidiva di ictus nel braccio interventistico, con number needed to treat (NNT) a 5 anni rispettivamente pari a 42 in 5 anni (RESPECT-LT), 28 in 2 anni (REDUCE), 20 in 5 anni (CLOSE) e 10 in 2 anni (DEFENSE-PFO). Le ragioni di ciò non vanno ricercate nei dispositivi utilizzati, rappresentati, nella maggior parte dei casi, dall’Amplatzer, ma in altre caratteristiche quali: 1) esclusione di pazienti con TIA come evento indice (CLOSE, REDUCE, DEFENSE-PFO); 2) inclusione di pazienti con caratteristiche anatomiche ad alto rischio (aneurismi del setto interatriale [ASA] o ampi shunt nel CLOSE; ASA, ipermobilità del setto o difetti ≥2 mm nel DEFENSE-PFO; alta prevalenza di shunt moderati o ampi nel REDUCE; alta prevalenza di ASA o shunt ampi nel RESPECT); 3) follow-up di maggiore durata (in media tra 3.5 e 5.9 anni), necessario per osservare differenze statisticamente significative tra i bracci di trattamento, in considerazione del fatto che il tasso di recidiva di ictus nei pazienti trattati con terapia farmacologica è limitato a circa 1% l’anno. Complessivamente, nella metanalisi aggiornata presentata in seno al documento di posizione europeo, il NNT a 3.9 anni era di 37 ma, considerando solo i pazienti con PFO a rischio elevato (presenza di ASA o ipermobilità settale o shunt moderato o severo), il NNT era di 2111.




Per quanto riguarda la sicurezza, i trial randomizzati mostrano che la chiusura percutanea del PFO è una procedura efficace (98% circa dei casi) e sicura, in quanto il tasso di eventi avversi gravi periprocedurali, quali morte, ictus, tamponamento cardiaco, embolizzazione del dispositivo o trombosi, risulta essere basso o trascurabile (<1%). Più elevata rispetto alla terapia medica è risultata invece l’incidenza di fibrillazione atriale (FA) (circa 5%), benché gli episodi fossero in genere parossistici e limitati alle prime settimane post-impianto. Tale aritmia non sembra comunque impattare in maniera significativa sulla prognosi se si considera che gli ictus attribuibili a FA nei 1178 pazienti randomizzati alla chiusura percutanea nei trial RESPECT-LT, CLOSE e REDUCE sono stati solamente 2. Il number needed to harm per FA era nella metanalisi del documento europeo pari a 25 a 3.9 anni. Nel RESPECT-LT è stato osservato un incremento statisticamente significativo del rischio di tromboembolia polmonare (TEP) nei pazienti sottoposti a chiusura percutanea (hazard ratio 3.48; intervallo di confidenza [IC] 95% 0.98-12.34; p=0.04). Tale riscontro, tuttavia, trova spiegazione nel fatto che la prevalenza di pazienti con storia di tromboembolismo venoso era lievemente superiore nel braccio interventistico rispetto al braccio terapia medica nel quale, peraltro, circa il 20% dei pazienti era trattato con warfarin (mentre i pazienti nel braccio interventistico da protocollo ricevevano 1 mese di aspirina e clopidogrel e successivamente 5 mesi di sola aspirina).

In conclusione, i dati di letteratura supportano la chiusura percutanea del PFO per la prevenzione secondaria in pazienti con ictus criptogenetico, di età <60 anni (limite massimo per l’inclusione in tutti i trial ad eccezione del DEFENSE-PFO in cui il limite di età era 65 anni) e, preferibilmente, con criteri anatomici di alto rischio (ASA o shunt ampio). Al momento non disponiamo di dati a supporto della chiusura del PFO in soggetti di età >60 anni; tuttavia sappiamo dal RESPECT-LT che, in questa popolazione, gli ictus recidivanti presentano una causa riconoscibile e non sono, pertanto, attribuibili ad embolia paradossa in circa 9 casi su 10. Peraltro l’aumento, con l’età, della prevalenza dei fattori di rischio tradizionali per ictus, rende progressivamente più improbabile il nesso causale con il PFO e, di conseguenza, riduce il beneficio atteso dalla chiusura percutanea. Un’ulteriore area di incertezza è rappresentata dalla terapia antitrombotica ottimale da utilizzare in alternativa alla chiusura percutanea del PFO; al momento non disponiamo di dati sufficienti di confronto tra antiaggreganti e anticoagulanti (dicumarolici o diretti), anche se la recente metanalisi pubblicata nel documento di consenso europeo suggerisce una verosimile maggiore efficacia dell’anticoagulante al costo tuttavia di maggiori eventi emorragici11.




APPROCCIO METODOLOGICO AL PAZIENTE
CON FORAME OVALE PERVIO IN PRESENZA
DI ISCHEMIA CEREBRALE CRIPTOGENETICA

Premessa 1: Il consenso informato

Il consenso all’intervento di chiusura percutanea del PFO dovrebbe contenere le seguenti informazioni:

1. Prevalenza del PFO nella popolazione generale (circa 20% con riferimenti bibliografici); attuali indicazioni alla procedura (es. solo in pazienti sintomatici o in particolari popolazioni professionali, es. subacquei professionisti, paracadutisti, ecc.) citando le attuali raccomandazioni ed i trial più recenti.

2. Descrizione delle principali opzioni terapeutiche, chiarendo che attualmente l’intervento “gold standard” è quello transcatetere nei pazienti tra 18 e 60 anni con ischemia cerebrale con alta probabilità di tromboembolia paradossa e con PFO ad alto rischio (ASA o ipermobilità settale, shunt moderato o severo). Inserire i limiti della terapia medica.

3. Descrizione della procedura percutanea di PFO, citando sinteticamente le varie fasi, il tipo di accesso vascolare, ed esplicitando le differenze tra i vari dispositivi utilizzati (Figura 1).

4. Rischi e benefici dell’intervento. Con particolare attenzione riportare il successo procedurale e le complicanze (percentuale e tipologia), sia di quanto riportato in letteratura che di quanto osservato nel centro che esegue l’intervento.

5. Descrizione della fase post-intervento, sia perioperatoria che della convalescenza.

Premessa 2: La valutazione del rischio

Data la complessità ed il numero delle variabili che influenzano la relazione tra PFO e tromboembolia criptogenetica, non è possibile quantizzare con precisione l’importanza della malformazione nel determinismo della sintomatologia clinica né prevedere con certezza quale sia il rischio di recidiva clinica dopo l’episodio iniziale. Il ruolo del PFO deve essere, pertanto, interpretato in maniera qualitativa e statistica, soppesando le diverse caratteristiche clinico-anamnestiche ed anatomo-funzionali nel singolo paziente e considerando il PFO come un possibile attore in una complessa fisiopatologia più che come un determinante patogenetico (Figura 2).

I quesiti a cui rispondere sono sostanzialmente:

1. Qual è la probabilità che il PFO sia stato patogeneticamente rilevante nell’evento clinico del paziente?

2. Qual è il rischio di recidiva dell’evento clinico del paziente?

Non esiste una singola caratteristica clinica, anatomo-funzionale e di imaging cerebrale che da sola possa indicare una sicura relazione patogenetica tra PFO ed episodio clinico né predire la probabilità di recidiva della sintomatologia. Inoltre, la presenza di altri fattori di rischio non esclude la possibilità che il PFO sia patogeneticamente correlato all’episodio clinico e quindi costituisca un determinante di recidiva, sebbene tale probabilità sia intuitivamente maggiore in individui giovani ed in assenza di altri potenziali fattori causali.

Fattori anamnestico-clinici

Apnea ostruttiva notturna, un’anamnesi positiva per pregressi episodi di embolia polmonare o trombosi venosa profonda (TVP), immobilizzazione prolungata e/o TVP precedente l’episodio clinico, profilo trombofilico, chirurgia maggiore recente, età <55 anni ed assenza di altri fattori di rischio depongono per una relazione tra PFO ed evento tromboembolico criptogenetico ed in parte possono far intuire un elevato rischio di recidiva. Invece la simultaneità o stretta relazione temporale tra embolia sistemica ed embolia polmonare è fortemente suggestivo per un PFO con elevato ruolo causale. Tali fattori sono stati parzialmente raggruppati in un sistema a punteggio, il Recurrence of Paradoxical Embolization (RoPE) score, che fornisce un’indicazione sulla probabilità che un PFO sia correlato all’episodio clinico del singolo paziente12-14. Tuttavia essendo modesta la validità interna degli studi alla base dello score ed ancora mancante un’adeguata validazione esterna, oltre a non includere i criteri anatomici, il RoPE score dovrebbe al momento essere solo usato in associazione ad una valutazione estensiva sia clinica che anatomica.

Caratteristiche anatomo-funzionali

In un quadro di embolia cerebrale ad origine non chiarita, un’ipermobilità del setto interatriale, un ASA e/o uno shunt almeno moderato depongono fortemente per un ruolo patogenico del PFO. Altri fattori che possono essere suggestivi per una potenziale relazione tra PFO ed ictus criptogenetico ed un’elevata probabilità di recidiva clinica sono: la presenza di valvola di Eustachio e/o rete di Chiari ridondanti in atrio destro, lunghezza del tunnel del PFO >10 mm, separazione del septum primum e secundum >2 mm10,15-20.

SCENARI CLINICI

Scenari clinici più frequenti

Evento in quadro a basso rischio

Il recente documento europeo di consenso sul trattamento del PFO pone indicazione al trattamento percutaneo in prevenzione secondaria nei pazienti con PFO “ad alto rischio”2. Questa definizione viene mutuata dai 4 principali studi randomizzati risultati positivi per la chiusura percutanea che hanno stratificato i pazienti in base alle caratteristiche anatomo-funzionali del forame ovale, valorizzando: presenza di ASA o ipermobilità del setto interatriale, presenza di shunt almeno moderato al test alle microbolle. La metanalisi condotta dimostra come in pazienti senza le suddette caratteristiche, portatori quindi di un PFO “a basso rischio”, non ci sia evidenza che la chiusura percutanea sia vantaggiosa rispetto alla sola terapia medica11. È però vero che esiste una stratificazione dei pazienti con PFO e ictus criptogenetico sulla base di varie caratteristiche, non solo anatomiche, che rendono più alta la probabilità che il PFO sia stato patogenetico. Tali caratteristiche sono, oltre a quelle anatomiche già ricordate sopra, di tipo clinico: rilievo di TVP o embolia polmonare al momento dell’ictus, evento ischemico al risveglio in paziente con apnee notturne, ictus durante manovra di Valsalva o dopo prolungata immobilizzazione; probabilistiche: RoPe score >6 punti12,21; radiologiche: neuroimaging positivo a livello corticale; e infine altre caratteristiche anatomiche che non rientrano in quelle ad alto rischio quali: presenza di valvola di Eustachio, rete di Chiari, tunnel lungo. Pur in assenza di caratteristiche morfologiche di alto rischio, la presenza di uno o più degli elementi sopra elencati colloca i pazienti in una fascia di rischio non più “bassa” ma “intermedia”19, nella quale i dati di letteratura non sono ancora sufficienti per dare indicazioni definitive.




È opinione del Panel che i pazienti definiti a basso rischio sia in termini di patogenicità del PFO che di rischio di recidiva, abbiano indicazione al trattamento antiaggregante o, se anche a basso rischio di sanguinamento e con la possibilità di ricorrere facilmente al controllo dell’international normalized ratio (INR), con antagonisti orali della vitamina K. La presenza di uno o più elementi a favore della patogenicità del PFO fra quelli sopra elencati configura una situazione non definibile con certezza di “basso rischio” ed in questi casi il trattamento transcatetere può essere proposto, in base al giudizio clinico interdisciplinare (almeno tra neurologo e cardiologo interventista) da esercitare caso per caso. In queste situazioni viene incoraggiata una discussione in dettaglio con il paziente sui rischi e potenziali vantaggi dell’intervento percutaneo rispetto ad una terapia medica a tempo indefinito (patient empowerment), specificando con chiarezza l’incertezza dei dati scientifici in merito e tenendo in dovuto conto i valori e le aspettative del paziente.

Evento in quadro ad alto rischio

Come spiegato nel paragrafo precedente, il nesso causale tra PFO e ictus criptogenetico è di natura probabilistica. Non esiste una metodologia quantitativa certa per l’attribuzione di questa probabilità ma esistono dei criteri che, integrati in una valutazione multidisciplinare e multiparametrica, possono aiutare a selezionare pazienti a maggiore probabilità di associazione patogenetica tra PFO e ictus e con maggiore rischio di recidiva. Essi, di conseguenza, rappresentano candidati ideali per la chiusura percutanea del PFO stesso.

Sulla base delle evidenze disponibili, i fattori che caratterizzano un alto rischio di associazione tra ictus e PFO, in assenza di FA, sono i seguenti22:

– Clinici: concomitante embolia polmonare o TVP;

– Anatomici: aneurisma o ipermobilità del setto interatriale, shunt moderato-severo.

Fattori aggiuntivi da considerare sono età <55 anni, ictus corticale (vs profondo), presenza di rete di Chiari o valvola di Eustachio prominente, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, recente chirurgia maggiore, score RoPE.

La probabilità di recidiva dipende principalmente da:

– presenza di ASA;

– coagulopatie associate.

Altri fattori da tenere in considerazione per il rischio di recidiva sono: età avanzata, ictus come evento indice, alti livelli di D-dimero all’ingresso, impiego di acido acetilsalicilico rispetto a terapia anticoagulante orale (TAO).

Nella metanalisi pubblicata nel recente documento di posizione europeo sulla chiusura del PFO, il vantaggio della chiusura era evidente solo in pazienti con caratteristiche anatomiche di alto rischio (ASA, shunt moderato-severo, PFO >2 mm, ipermobilità del setto interatriale) (odds ratio 0.54, IC 95% 0.35-0.85) e principalmente quando confrontati ai pazienti in terapia antiaggregante (vs. TAO)11.

Sulla base delle evidenze disponibili, il Panel ritiene fortemente indicata la chiusura percutanea del PFO in pazienti con ictus ischemico associato al PFO e caratteristiche di elevato rischio clinico o anatomico definite da un team multidisciplinare.

Scenari clinici in presenza di malattie concomitanti

Evento ischemico in presenza di stato ipercoagulativo

Il trattamento ottimale di pazienti con ictus criptogenetico, PFO e stato ipercoagulativo non è ben definito. Le trombofilie ereditarie sono cause insolite di ictus nella popolazione adulta, mentre il fattore V di Leiden si associa a maggiore rischio di eventi ischemici cerebrali nella popolazione giovanile23,24. Alcuni stati ipercoagulativi (iperomocisteinemia, anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulant, fattore V di Leiden e mutazioni del gene della protrombina) sono correlati ad ictus criptogenetico in pazienti con PFO25. Una più elevata incidenza di ictus è stata osservata nei soggetti portatori della variante omozigote dell’enzima MTHFR C677T26. Lo screening trombofilico eseguito nei pazienti con PFO e/o ASA può evidenziare anomalie nel 20% dei casi27 e favorire pertanto un approccio terapeutico antitrombotico o endovascolare personalizzato.

Le linee guida dell’American Heart Association/American Stroke Association (AHA/ASA) del 2014 indicano la terapia antiaggregante per la prevenzione secondaria di ictus in pazienti con PFO (classe IIb; livello di evidenza B) e la raccomandano nei pazienti con ictus/TIA in presenza di PFO che non fossero già in trattamento anticoagulante (classe I; livello di evidenza B)28. Le linee guida canadesi del 2017 suggeriscono, per i pazienti che necessitino di TAO a lungo termine, una valutazione personalizzata che analizzi le caratteristiche di quel paziente e il rischio/beneficio della correzione percutanea del PFO vs terapia anticoagulante29.

Le evidenze a favore della terapia anticoagulante vs. correzione di PFO nei soggetti con stato ipercoagulativo sono limitate e non vi sono elementi convincenti in base ai quali una storia di trombofilia debba influenzare la decisione clinica a favore della correzione di PFO, così come non sono noti, ad oggi, chiari benefici a favore di un trattamento anticoagulante o antiaggregante piastrinico in questi soggetti.

Il Panel ritiene che, sebbene non vi sia una chiara indicazione a favore della correzione percutanea di PFO nei pazienti con evento ischemico criptogenetico e stato ipercoagulativo noto, alcuni soggetti possano beneficiarne. In accordo con i documenti scientifici già pubblicati sull’argomento, la ricerca di stati ipercoagulativi nei pazienti con ictus e PFO deve però essere riservata a casi selezionati (es. coloro con multiple recidive o eventi ischemici in terapia anticoagulante).

Evento ischemico in presenza di trombosi venosa profonda e/o embolia polmonare

Nei pazienti portatori di TEP e PFO esiste un rischio aumentato di ictus ischemico30,31. Gli eventi embolici cerebrali, silenti o sintomatici, infatti, sono molto frequenti in questi pazienti.

La presenza di un difetto intracardiaco (difetto del setto interatriale/PFO specie se associato ad aneurisma del septum primum) o extracardiaco (malformazione fistolosa artero-venosa polmonare) con uno shunt destro-sinistro è quindi un prerequisito per la diagnosi di embolia paradossa (EP), particolarmente nei casi in cui il paziente associ l’insorgenza dei sintomi in corrispondenza di una manovra di Valsalva. La TVP, con le complicanze tromboemboliche polmonari o sistemiche che ne possono derivare, costituisce una malattia seria e potenzialmente fatale, che spesso complica il decorso clinico di pazienti affetti da altra patologia, già ospedalizzati oppure no, ma che colpisce anche soggetti in apparenti condizioni di buona salute.

In accordo con i dati della letteratura, la TVP rappresenta la causa di oltre 200 000 ricoveri per anno negli Stati Uniti. Considerando che l’incidenza del PFO nella popolazione generale si attesta intorno al 30%, 70 000 pazienti all’anno sono a rischio di sviluppare una EP32-35. L’incidenza di TVP nei soggetti portatori di PFO e ictus risulta essere del 57%36. Solo la metà dei pazienti con sospetto di EP ha una TVP diagnosticata mediante angiografia venosa. Nel 30% dei pazienti con TEP non vi è evidenza strumentale di trombosi venosa all’indagine flebografica degli arti inferiori. La TVP dunque rimane molto spesso non diagnosticata37 e può decorrere silente (asintomatica) dal momento che i trombi possono andare incontro a lisi spontanea o ricanalizzazione nel circolo polmonare, particolarmente in caso di ritardo nell’accertamento diagnostico. La trombosi venosa inoltre può essere localizzata nelle vene della pelvi o in vene profonde (vena femorale e iliaca interna), difficilmente esplorabili. La presenza di una TVP va dunque accuratamente e specificamente ricercata, anche se la negatività degli accertamenti non la può escludere. Le tecniche ultrasonografiche (ecografia B-mode, duplex scanning, eco-color Doppler) sono le metodiche di prima scelta nella valutazione strumentale del sistema venoso profondo con un’accuratezza diagnostica >95% nel caso di TVP prossimale (per definizione, trombosi estesa dalla vena poplitea ai segmenti iliaco-femorali)38. Il dosaggio del D-dimero nell’iter diagnostico della TVP ha dimostrato la più alta resa diagnostica quando rivolto a soggetti sintomatici (quindi ad alta probabilità di TVP). In questo tipo di pazienti, l’elevato valore predittivo negativo del test fa sì che esso risulti utile nell’escludere una TVP (in caso di normalità), piuttosto che nel confermarla (in caso di risultato alterato).

La TEP, responsabile a sua volta di un incremento delle pressioni nelle cavità cardiache destre, è stata classicamente considerata una condizione che incrementa in modo significativo lo shunt destro-sinistro favorendo quindi la comparsa di una EP. Nei pazienti con EP la localizzazione embolica si verifica nell’albero arterioso polmonare nel 60% dei casi e tali embolie possono essere documentate mediante angiografia polmonare, angio-tomografia o scintigrafia polmonare. Tutti i segmenti dell’albero arterioso polmonare possono essere sede di tromboembolie. Nel caso di tromboembolie paradosse sistemiche, il circolo cerebrale è quello più frequentemente interessato (37-50% dei casi); altre localizzazioni sono il circolo arterioso periferico degli arti inferiori (30%), quello degli arti superiori (25%), il circolo arterioso viscerale (6-9%) e quello coronarico (7-9%). Tromboembolie sistemiche paradosse in multiple sedi sono possibili nel 32% dei pazienti. La recidiva di EP nei pazienti trattati con eparina e filtro cavale ha un’incidenza intorno al 30%: questa percentuale elevata sarebbe da attribuire all’impossibilità di filtrare emboli di diametro <3 mm39,40.

Considerando le recenti evidenze sull’utilità della chiusura del PFO come prevenzione di recidive cerebrovascolari, è opinione del Panel che:

– La chiusura percutanea del PFO risulta essere un’alternativa complementare alla terapia antitrombotica orale nei pazienti con EP, TVP e TEP. I benefici potenziali della chiusura transcatetere sono da soppesare con i rischi procedurali e le comorbilità del singolo paziente.

– Nel caso di pazienti portatori di PFO a rischio e pregresso ictus di causa non determinata in concomitanza con TVP e TEP si ribadisce: 1) la necessità di terapia anticoagulante a lungo termine e proporre la chiusura percutanea in caso di recidive in terapia medica ottimale; 2) la necessità di terapia anticoagulante a breve termine e proporre la chiusura percutanea del PFO dopo un’attenta valutazione multidisciplinare clinico-strumentale in considerazione anche dei fattori di rischio specifici di ciascun paziente.

Evento ischemico in presenza di fibrillazione atriale di breve durata al loop recorder

La FA ha una prevalenza dell’1-2% nella popolazione generale e conferisce un rischio 5 volte maggiore di eventi ischemici cerebrali. Episodi parossistici di FA sono identificati alla registrazione dinamica ECG ambulatoriale delle 24 h in una percentuale di casi compresa tra 2% e 6% in soggetti che abbiano avuto un ictus ischemico o un TIA41. Il monitoraggio di lunga durata mediante dispositivi loop recorder ha mostrato maggiore sensibilità per l’individuazione di FA in soggetti con ictus criptogenetico42 ed è indicato in pazienti ad alto rischio per FA (età >55 anni, storia di pregresso evento ischemico cerebrale, CHA2DS2-VASc score >1, ipertrofia ventricolare sinistra, malattia polmonare, disfunzione tiroidea, obesità). D’altra parte, non esistono dati conclusivi sulla durata media di episodi aritmici che aumenta il rischio di eventi embolici. In generale, episodi di FA della durata di almeno 5 min in pazienti con fattori di rischio aggiuntivi, si associano a rischio elevato di eventi tromboembolici43. In aggiunta, la prevalenza di PFO in pazienti con FA è largamente variabile: in generale, la probabilità di PFO si riduce all’aumentare dell’età. Sebbene la definizione del peso relativo di ciascuna condizione (laddove PFO e FA coesistano) sul rischio tromboembolico risulti complessa, i pazienti con ictus criptogenetico e PFO e un CHA2DS2-VASc score >1 sono ad alto rischio di ricorrenza di FA19.

Sulla base delle evidenze disponibili, è opinione del Panel che in pazienti con episodi di FA parossistica della durata >5 min durante monitoraggio continuo sia indicata la prescrizione della TAO secondo le linee guida sulla gestione della FA. Tuttavia, i risultati del monitoraggio con loop recorder dovrebbero sempre essere interpretati alla luce di altre specifiche caratteristiche cliniche e anatomiche per stimare il contributo relativo al rischio embolico della FA e del PFO.

Scenari clinici in popolazioni specifiche

Evento in paziente con fattori di rischio
per fibrillazione atriale

In un paziente con tromboembolia cerebrale o sistemica e PFO, la preesistenza di una vulnerabilità elettrica atriale o di una FA parossistica silente possono portare a scelte terapeutiche di prevenzione secondaria inefficaci (chiusura percutanea). In presenza di ictus ischemico o TIA, i mezzi diagnostici usati per diagnosticare una FA silente sono l’ECG basale, il monitoraggio telemetrico intraospedaliero e l’ECG dinamico ambulatoriale. Dal momento che la FA parossistica ha una distribuzione tipicamente irregolare, tali test portano inevitabilmente ad una sottodiagnosi44. I fattori di rischio per FA dimostrati sono la disfunzione/insufficienza ventricolare sinistra, l’ipertensione arteriosa, l’età avanzata (>65 anni), il diabete mellito, la presenza di “run” atriali al monitoraggio ECG dinamico, la dilatazione atriale sinistra (>29 ml/m2), l’ipertrofia ventricolare sinistra, il distiroidismo, le broncopneumopatie. Le indicazioni dello studio CRYSTAL AF dimostrano che, nei pazienti con PFO ed uno o più fattori di rischio per FA, il monitoraggio continuo con dispositivo impiantabile (monitor cardiaco impiantabile o loop recorder) prolungato per almeno 6 mesi può consentire un miglioramento significativo degli algoritmi diagnostici43. Gli studi clinici osservazionali sul monitoraggio continuo dimostrano che episodi di FA più lunghi di 5 min predicono in modo significativo un aumentato rischio di ictus ischemico45,46.

Sulla base delle evidenze disponibili, è opinione del Panel che:

– Per orientare i provvedimenti di prevenzione secondaria (chiusura percutanea vs terapia farmacologica), in pazienti con tromboembolia cerebrale o sistemica, PFO e fattori di rischio per FA è indicato un monitoraggio continuo con dispositivo impiantabile per un periodo di almeno 6 mesi.

– Durante il periodo di monitoraggio, dovrà essere utilizzata la terapia farmacologica più appropriata (antiaggreganti o anticoagulanti), sulla base del profilo di rischio trombotico ed emorragico del paziente.

– Un episodio di FA rilevata dal loop recorder è da considerare clinicamente significativo e indicare una terapia anticoagulante prolungata se dura almeno 5 min.

Evento in paziente di età >65 anni

Il management della tromboembolia cerebrale o sistemica criptogenetica nei pazienti di età >65 anni risulta essere complessa data la mancanza di evidenze scientifiche in questa categoria di pazienti. I maggiori trial clinici (CLOSURE I3, RESPECT4, REDUCE8 e DEFENSE-PFO10) escludevano infatti dalla loro analisi i pazienti con età >66 anni. L’avanzare dell’età, però, se da un lato riduce la probabilità che un evento ischemico cerebrale possa essere criptogenetico (a causa dell’aumentata incidenza di patologie potenzialmente responsabili di ictus come FA o ateromasia carotidea e cerebrale), dall’altro incrementa la probabilità che un evento ischemico categorizzato come criptogenetico possa essere correlato alla pervietà del forame ovale (a causa dell’incremento di fattori che possono predisporre all’EP come immobilità, trombosi venosa ed ipercoagulabilità)47. Mazzucco et al.48 hanno dimostrato un’aumentata incidenza al Doppler transcranico di un significativo shunt destro-sinistro nei pazienti >60 anni con eventi ischemici cerebrali non disabilitanti sottolineando il potenziale ruolo del PFO.

Per tale motivo il Panel è concorde nel ritenere che il primo step gestionale di una sospetta tromboembolia cerebrale criptogenetica nei pazienti di età >65 anni debba essere l’impianto di un loop recorder per almeno 6 mesi con l’obiettivo di escludere ragionevolmente eventuali altre cause di eventi ischemici cerebrali. La chiusura percutanea può essere considerata in caso di negatività del suddetto esame, in particolar modo in caso di concomitante presenza di elementi che aumentano la probabilità che l’evento ischemico sia connesso alla presenza di un PFO (come un ASA e/o con uno sbandieramento massimo ≥10 mm, uno shunt basale moderato-severo, episodi di EP e/o TVP in concomitanza dell’evento ischemico cerebrale) o in caso di elevato rischio di recidiva (come un ASA o una condizione di ipercoagulabilità).

Paziente che rifiuta la chiusura percutanea

Ad oggi la terapia farmacologica ottimale nel paziente con PFO ed elevato rischio di recidiva embolica deriva dagli studi sull’ictus criptogenetico e dall’analisi dei sottogruppi. Le terapie sono molto eterogenee e gli anticoagulanti orali utilizzati sono prevalentemente antagonisti della vitamina K, mentre mancano valutazioni sull’efficacia degli anticoagulanti orali diretti. Vi è soltanto uno studio randomizzato, il CLOSE9, che confronta l’uso di TAO vs terapia antiaggregante. A 5 anni di follow-up si evidenzia un’incidenza numericamente maggiore di eventi ischemici nei pazienti trattati con antiaggreganti rispetto a quelli in terapia anticoagulante (4.0% vs 1.6%), senza che tuttavia la differenza sia statisticamente significativa (anche in relazione al basso numero degli eventi stessi).

Quattro precedenti metanalisi hanno evidenziato un vantaggio statisticamente significativo della TAO rispetto alla terapia antiaggregante49-52, mentre una quinta metanalisi su 2385 pazienti, più recente ma che non include lo studio CLOSE, dimostra con la TAO una riduzione di eventi del 25%, tuttavia non statisticamente significativa11.

Nonostante una certa eterogeneità, questi studi suggeriscono la superiorità della TAO sulla terapia antiaggregante nella prevenzione degli eventi ischemici in pazienti potenziali candidati alla chiusura del PFO; tale beneficio potrebbe essere però almeno parzialmente vanificato dall’aumentato rischio di sanguinamento11.

Sulla base delle evidenze disponibili, è opinione del Panel che nel paziente con basso rischio di sanguinamento che rifiuta la chiusura percutanea di un PFO, la TAO sia da preferire alla terapia antiaggregante. Non vi sono al momento dati che supportino l’impiego degli anticoagulanti orali diretti. Nei pazienti a più basso rischio di recidiva ischemica e con elevato rischio emorragico la terapia antiaggregante può rappresentare un’accettabile alternativa.

Si consiglia di rivalutare periodicamente il rapporto rischio/beneficio della terapia in funzione dell’età e delle caratteristiche del paziente.

RIASSUNTO

Il forame ovale pervio (PFO) è implicato nella patogenesi di alcune sindromi cliniche in cui gioca ruoli variabili. Nel 2017 e 2018 quattro studi clinici randomizzati sono stati pubblicati, permettendo il chiarimento di alcune questioni in merito all’ictus criptogenetico e al ruolo della chiusura percutanea del PFO. Recentemente, otto società scientifiche Europee hanno collaborato alla pubblicazione di un documento di posizione interdisciplinare e internazionale sulla gestione dei pazienti portatori di PFO e affetti da tromboembolismo cerebrale o sistemico, basandosi sulle migliori evidenze disponibili, con lo scopo di definire i principi necessari al processo decisionale. Ciononostante, un approccio personalizzato trova difficilmente spazio nei documenti di posizione, considerando che le decisioni riguardo la gestione ottimale del paziente con PFO e tromboembolismo cerebrale o sistemico sono spesso impegnative per la presenza di condizioni cliniche associate o scenari clinici complessi.

Un Panel di esperti cardiologi si è radunato sotto l’egida della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE) per discutere l’argomento e sviluppare un documento di consenso, al fine di fornire raccomandazioni pratiche al cardiologo clinico ed interventista sulla gestione ottimale della terapia antitrombotica nei pazienti con PFO in presenza di tromboembolia cerebrale o sistemica criptogenetica. In questo documento di posizione vengono presentati e discussi vari scenari clinici di pazienti, inclusi pazienti con condizioni cliniche associate (es. stati ipercoagulativi, trombosi venosa profonda/tromboembolia polmonare, fibrillazione atriale di breve durata) e casi particolari (es. pazienti con fattori di rischio per fibrillazione atriale, pazienti di età ≥65 anni, pazienti che rifiutano la chiusura percutanea), fornendo le raccomandazioni del Panel per ogni singolo scenario.

Parole chiave. Forame ovale pervio; Ictus criptogenetico; Tromboembolismo.

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