In questo numero

covid-19 e cardiologia





“What do we know so far about”… COVID-19 e danno miocardico

Molti sono ancora gli aspetti da chiarire per quanto riguarda l’eziopatogenesi del danno d’organo provocato dal virus SARS-CoV-2. In tema cardiovascolare, gli aspetti infiammatori e tromboembolici stanno emergendo con evidenza sempre maggiore, mentre minori certezze ci sono in tema di relazione causa-effetto tra virus e danno miocardico. Diversi meccanismi possono essere alla base di una disfunzione miocardica nell’ambito della malattia da COVID-19: disfunzione ventricolare da stress o direttamente da citochine, oppure danno miocardico diretto intracellulare come una vera e propria miocardite? Donato Mele e il gruppo dell’Area Cardioimaging dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) affrontano questa tematica offrendo un aggiornamento della letteratura esistente e le relative implicazioni per le tecniche di imaging cardiaco. •





Una telefonata può allungare la vita … anche durante il lockdown

Durante la fase acuta del COVID-19 le attività ambulatoriali sono state temporaneamente sospese, dilazionando forzatamente anche il follow-up dei pazienti con scompenso cardiaco. Nonostante l’Ospedale di Cremona abbia subito in pieno l’impatto nefasto della pandemia, Giuseppe Di Tano et al. ci informano che l’interruzione delle visite programmate per un periodo di 3 mesi nel loro Ambulatorio Scompenso non ha provocato ricadute cliniche significative in una popolazione di pazienti anziana, in terapia ottimizzata, in pratica molto simile a quella oggi seguita nei nostri Ambulatori dedicati allo Scompenso. Un controllo telefonico si è rivelato efficace nel mantenere un collegamento “attivo” con i pazienti durante il periodo di quarantena, permettendo un’appropriata gestione e anche un’implementazione della terapia farmacologica. In previsione di una probabile rimodulazione delle attività ambulatoriali ospedaliere, queste osservazioni ci rassicurano sulla possibilità di una gestione differenziata del paziente con scompenso cronico sfruttando alcune tra le potenzialità della telemedicina, non necessariamente tecnologicamente sofisticate e costose, in modo da dedicare più spazio nei nostri Ambulatori ai pazienti più complessi, ad esempio quelli appena dimessi da un ricovero per scompenso acuto, con recidive frequenti o con scompenso cardiaco avanzato. •

editoriale





È possibile paragonare mele e pere!

La stragrande maggioranza degli studi che vengono pubblicati sono di natura osservazionale e spesso anche a carattere retrospettivo. I trial randomizzati, difatti, mostrano alcuni limiti etici e soprattutto economici, che li rendono difficilmente realizzabili in ogni ambito. Purtroppo però la natura osservazionale degli studi fa sì che aumenti il numero di bias di selezione e quindi la possibilità di rendere comparabile due o più gruppi di trattamento per tutte le caratteristiche (almeno quelle note), tranne che per il trattamento stesso, così da poter imputare l’eventuale differenza di outcome proprio al diverso approccio terapeutico. Insomma spesso ci si trova a paragonare mele e pere. Al fine di ovviare a questo limite sono nati negli anni diversi approcci statistici che permettono di rendere più paragonabile le mele e le pere. Questi ovviamente non sono tali da rendere uno studio osservazionale paragonabile ad un trial randomizzato che resta il “gold standard” della ricerca. In questo editoriale Arnaldo Dimagli et al. presentano i punti di forza e i limiti del “propensity score”. •

questioni aperte





Un salvagente quando il rischio
è transitorio o incerto

L’identificazione dei soggetti a rischio di morte cardiaca improvvisa è una sfida nella quale l’errore è sempre dietro l’angolo e può comportare conseguenze drammatiche per il paziente e per il medico in considerazione dell’aspetto morale e medico-legale. La prevenzione della morte cardiaca improvvisa comporta una serie di problematiche pratiche non completamente risolte dalle attuali conoscenze, quali la stratificazione del rischio, l’esistenza di pazienti in cui il rischio è limitato ad una breve finestra temporale o che, essendo stati sottoposti all’estrazione di un defibrillatore impiantabile per infezione, risultano vulnerabili in attesa del successivo reimpianto. La revisione di Federico Guerra et al. evidenzia le aree grigie della stratificazione del rischio di morte cardiaca improvvisa e analizza criticamente il ruolo del defibrillatore indossabile nella prevenzione. L’unico studio randomizzato sull’uso del defibrillatore indossabile (lo studio VEST) ha avuto risultati deludenti in quanto non ha evidenziato una riduzione significativa della mortalità improvvisa né della mortalità totale dopo correzione per la molteplicità dei test. Le cause sono riconducibili alle difficoltà nell’aggiudicare gli eventi, alla limitata potenza dello studio e alla ridotta compliance dei pazienti ad indossare il defibrillatore. Al contrario, anche se meno solidi scientificamente, i risultati degli studi osservazionali e delle analisi “on-treatment” e “per-protocol” dello studio VEST, in pazienti selezionati per l’elevata compliance ad indossare il defibrillatore, mostrano un beneficio in termini di outcome. Pertanto, l’indicazione ad utilizzarlo in pazienti selezionati resta in classe IIb secondo le linee guida europee ed americane. Tuttavia, il defibrillatore indossabile appare una soluzione promettente per tutti i pazienti in attesa di una definizione del rischio di morte improvvisa e per quelli in cui il rischio è transitorio. Sono però necessarie evidenze solide da studi randomizzati mirati ad efficacia, sicurezza e costo-efficacia in contesti specifici prima di giustificarne un uso allargato. •

pdta in cardiologia





Come affrontare le tempeste aritmiche. Istruzioni e percorsi organizzativi a cura dell’ANMCO Toscana

Trovarsi di fronte una tempesta non è mai una situazione tranquilla. Non solo dal punto di vista meteorologico. Di fronte ad un paziente con tachiaritmie ventricolari recidivanti o con interventi del defibrillatore ravvicinati (il cosiddetto “storm” aritmico), al cardiologo clinico servono in prima istanza soprattutto calma, conoscenza dei meccanismi scatenanti le aritmie e saper gestire i presidi farmacologici (non solo antiaritmici) necessari a stabilizzare il paziente e controllare il suo burden aritmico. La lettura della rassegna di Giulio Zucchelli et al. per conto dell’ANMCO Toscana fornisce un utile e completo supporto culturale a queste necessità, tramite anche l’utilizzo di semplici schemi e indicazioni soprattutto pratiche che sicuramente troveranno apprezzamento nel lettore. In più, cosa non secondaria, viene proposto anche un modello di percorso gestionale territoriale per il paziente con “storm” aritmico, che potrà essere preso ad esempio anche in altre realtà nazionali. Dal 118 al trasferimento ad un Centro Aritmologico specialistico di differente livello (Centri STAR di base o avanzato) inserito nell’area territoriale di riferimento, in base a criteri oggettivi legati al profilo di rischio e all’instabilità clinica del paziente. Trovarsi di fronte una tempesta non è mai bello…, intravedere però delle STELLE è utile e di buon auspicio. •

rassegne





È più importante sapere che tipo di paziente abbia una malattia che sapere che tipo di malattia abbia un paziente

Francesco Vetta et al. affrontano il delicato dilemma dell’impianto del defibrillatore in prevenzione primaria nel paziente anziano. Come per altre procedure interventistiche o interventi veri e propri, la solidità scientifica dei trial viene a mancare per la scarsa rappresentatività della popolazione anziana e il comportamento decisionale è scarsamente uniforme. Il semplice parametro dell’età, su cui basare la scelta terapeutica, è a tutti noto non essere rappresentativo delle condizioni generali del paziente che sono molto più complesse e oggi espresse più che altro in termini di “fragilità”. La presente rassegna affronta il problema sotto diversi punti di vista: quello delle evidenze scientifiche attuali, i dati di sicurezza, le comorbilità e i dati epidemiologici sui mutamenti degli scenari negli anni in termini di aritmie ventricolari e morte improvvisa. •





Quando prescrivere meno può
essere meglio

L’eccessiva prescrizione di procedure diagnostiche e di farmaci è un problema crescente dibattuto in letteratura. La polifarmacoterapia, soprattutto nel paziente anziano, si associa ad un rischio significativo di interazioni negative e di ridotta aderenza terapeutica. In questa rassegna Marco Bobbio analizza le molteplici cause dell’iperprescrizione terapeutica in cardiologia ed i potenziali danni ad essa correlati, proponendo un utile decalogo per una prescrizione sobria e ragionata. L’invecchiamento della popolazione ed il conseguente aumento di patologie croniche concomitanti rende spesso un male necessario prescrivere molti farmaci. È tuttavia preciso compito del medico valutare nel singolo paziente la possibilità di una deprescrizione di farmaci non strettamente necessari. Si tratta di un processo delicato da attuare con la stessa attenzione con la quale viene prescritta una terapia, avendo in mente l’obiettivo primario della salute e della sicurezza del paziente con il quale vanno condivise le decisioni. •





Chiarimenti sugli AHRE

Da anni sentiamo parlare di AHRE, ossia di episodi aritmici ad elevata frequenza atriale (atrial high-rate episodes), che vengono rilevati al monitoraggio dei dispositivi cardiaci impiantabili. Sono per lo più asintomatici, ma sono importanti perché correlano con un aumentato rischio di insorgenza di fibrillazione atriale clinica e di eventi tromboembolici. Nella presente rassegna Giuseppe Boriani et al. fanno il punto sulla gestione degli AHRE: la domanda cruciale è se trattare i pazienti con AHRE con farmaci anticoagulanti, in quanto disponiamo di poche evidenze scientifiche in merito. Il rischio tromboembolico aumenta all’aumentare della durata degli AHRE, per cui ad oggi potrebbe essere ragionevole considerare la terapia anticoagulante nei soggetti ad alto rischio tromboembolico (CHA2DS2-VASc score ≥2 per gli uomini e ≥3 per le donne) e basso rischio emorragico, con AHRE di lunga durata o burden aritmico complessivo elevato (>24 h). Nei pazienti con AHRE di durata compresa tra 5 min e 24 h, occorre individualizzare la scelta del trattamento in base al rapporto rischio/beneficio tra rischio trombotico e rischio emorragico e comunque viene consigliato un monitoraggio prolungato per valutare l’evolutività nel tempo del burden aritmico e il passaggio ad AHRE di lunga durata o a fibrillazione atriale clinica. Sono in corso due studi randomizzati controllati, rispettivamente ARTESiA con apixaban e NOAH-AFNET 6 con edoxaban, il cui endpoint clinico primario è l’associazione composita di ictus, embolia sistemica o morte cardiovascolare, che permetteranno di definire il ruolo della terapia anticoagulante nei pazienti con AHRE. •

studio osservazionale





Strategia “service” nelle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST

È l’organizzazione in rete la risposta per la corretta applicazione delle linee guida riguardo l’accesso alla sala di Emodinamica per i pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE)? A questa domanda cercano di rispondere Francesca Mantovani et al. mediante l’analisi di applicazione di un protocollo di strategia in service per l’invio dei pazienti con SCA-NSTE a studio coronarografico ed eventuale angioplastica nel network cardiologico della provincia di Reggio Emilia. Gli autori analizzano l’attività di 5 anni di applicazione del protocollo di strategia in service per i pazienti ricoverati negli ospedali non dotati di Emodinamica (oltre 1000 pazienti). Quello che emerge è che la strategia è sicura e permette di avviare i pazienti a coronarografia ed eventuale rivascolarizzazione con un tempo mediano di 47 h rispetto all’ingresso in ospedale periferico. I dati riportati non solo rassicurano sulla fattibilità, ma ci indicano che è necessaria una costante manutenzione ed implementazione della rete cardiologica istituita per il trattamento dell’infarto miocardico per poterla adattare alle molteplici necessità dei pazienti e per poter assicurare l’equità di accesso alle cure anche oltre le sindromi coronariche acute. •

caso clinico





Sicuri che sia a destra?

Di rado, per fortuna, si può assistere ad un malposizionamento accidentale di elettrocatetere di un dispositivo cardiaco in ventricolo sinistro. Più frequentemente l’elettrocatetere migra dalle sezioni destre al ventricolo sinistro attraverso un forame ovale pervio, un difetto del setto interatriale oppure tramite perforazione del setto interventricolare. Per evitare tale complicanza sono determinanti i controlli radiologici ed ecocardiografici post-procedurali, in quanto generalmente non si associa ad insorgenza di sintomi. La comparsa di un blocco di branca destra all’ECG post-impianto deve fare sempre sospettare un malposizionamento di elettrocatetere. In letteratura sono stati identificati quali fattori predisponenti la scoliosi, le cardiopatie congenite anche corrette e l’esperienza limitata dell’operatore. Stefania Lalloni et al. illustrano il caso clinico di una donna di 70 anni sottoposta ad impianto di pacemaker per episodi sincopali ricorrenti da blocchi seno-atriali. Al controllo post-impianto il pacemaker risulta funzionare perfettamente con normali parametri di sensing, soglie e impedenze. Il malposizionamento dell’elettrocatetere in ventricolo sinistro viene scoperto casualmente a distanza di circa 12 mesi dall’impianto ad un controllo programmato dell’ecocardiogramma. Gli autori rammentano che bastano piccoli accorgimenti radiologici o ecocardiografici per controllare il corretto posizionamento degli elettrocateteri dei dispositivi cardiaci, prima di dimettere i pazienti. •

position paper





Idoneità alla guida degli autoveicoli per i pazienti portatori di dispositivi elettronici impiantabili: facciamo un
po’ di chiarezza

La concessione o il rinnovo dell’idoneità alla guida degli autoveicoli per i pazienti portatori di dispositivi cardiaci elettronici impiantabili (CIED) (pacemaker o defibrillatori) è motivo di grande confusione in quanto le regole sono diverse da regione a regione. Ciò sembra incomprensibile in quanto l’Italia non è uno stato federale e la patente di guida è valida su tutto il territorio nazionale. Ora, dopo quanto si sta verificando per le regole di ripresa dell’attività post-COVID-19, non dovremmo meravigliarci più di tanto. Lo scopo di questo documento redatto dall’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) è di fornire alle commissioni mediche deputate alla concessione o al rinnovo dell’idoneità alla guida degli autoveicoli, elementi obiettivi di valutazione, condivisi a livello internazionale. La speranza è che questi elementi siano tenuti nella considerazione che meritano al momento di emettere il giudizio di idoneità o meno del paziente portatore di CIED, affinché tale giudizio sia motivato, vantaggioso per il paziente, sicuro per la società e, soprattutto, univoco su scala nazionale. È indubbio che il paziente portatore di un CIED abbia un rischio di improvvisa “inabilità temporanea alla guida”, che può determinare incidenti stradali anche gravi, teoricamente più alto di quello della popolazione generale. Questo rischio è legato ad episodi di transitoria perdita di coscienza parziale o totale conseguenti ad eventi aritmici che possono potenzialmente verificarsi durante la guida. Tuttavia, deve essere considerato che il rischio nei pazienti portatori di pacemaker è estremamente basso ed è legato all’eventualità di un grave malfunzionamento del dispositivo che si verifichi in presenza di un ritmo cardiaco totalmente dipendente dal pacemaker. Nei portatori di defibrillatori il rischio è più elevato ed è legato alla possibilità che un evento aritmico con conseguente perdita di coscienza accada durante la guida. Va sottolineato che in entrambi i casi il rischio di eventi è principalmente una conseguenza della patologia cardiaca sottostante, che ha richiesto l’impianto, e non della presenza del dispositivo cardiaco. Speriamo che questo documento sia letto con attenzione da tutte le commissioni sanitarie coinvolte nella concessione o rinnovo dell’idoneità alla guida degli autoveicoli e possa contribuire a mettere ordine in un campo che ha implicazioni importanti per i medici, per i pazienti e per la società. •