Trombosi secondaria a vaccinazione anti-COVID-19: un reale rischio clinico o tanto rumore per nulla?

Vincenzo Toschi

Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale e Centro Emostasi e Trombosi, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano

Several cases of thrombosis in unusual sites associated with thrombocytopenia have been described after vaccination with the recombinant adenoviral vector encoding the spike protein antigen of the severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2), ChAdOx1 nCov-19 (AstraZeneca) and Ad26.COV.2 (Johnson & Johnson/Janssen). This new clinical entity has many analogies with heparin-induced thrombocytopenia, and recent studies suggest that an immunologic mechanism may be implicated in the pathogenesis of this unusual thrombotic disorder. However, more data are needed to identify subjects at risk for this rare clotting disease.

Key words. COVID-19 vaccine; Heparin-induced thrombocytopenia; Thrombosis; Vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia.

INTRODUZIONE

La pandemia causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, attualmente ancora in corso, rappresenta un problema clinico, sociale ed economico dalle conseguenze al momento non ancora completamente quantificabili. Dal punto di vista clinico l’infezione da SARS-CoV-2, nota anche come COVID-19, è una malattia trasmissibile, altamente contagiosa, responsabile di una sindrome clinica che può andare da casi di lieve interessamento a carico delle prime vie aeree a condizioni caratterizzate da una grave polmonite con insufficienza respiratoria, possibile interessamento multiorgano e complicanze di natura trombotica a carico del distretto venoso e arterioso1,2. Una rassegna della letteratura pubblicata su JAMA nell’agosto del 2020 riportava un numero complessivo di pazienti contagiati dal virus di oltre 10 milioni di soggetti in più di 200 paesi nel mondo, ed un totale di 508 000 morti da COVID-19 accertati3. La mortalità stimata era di 0.3/1000 casi nei soggetti di età compresa tra 5 e 17 anni e di 304.9/1000 casi nei soggetti di età >85 anni, con un tasso di mortalità del 40% circa nei pazienti ricoverati in terapia intensiva3. Al momento un trattamento sicuramente efficace dell’infezione da SARS-CoV-2 non è ancora stato identificato. Recenti studi che hanno impiegato il plasma di soggetti convalescenti si sono dimostrati efficaci solo nelle fasi iniziali della malattia ma non nei soggetti con polmonite già in atto4,5. La terapia con corticosteroidi, ed in particolare il desametasone, sembra ridurre la mortalità a 28 giorni nei pazienti che necessitano di ossigenoterapia mentre il farmaco antivirale remdesivir avrebbe un effetto favorevole nell’abbreviare il decorso clinico della malattia3. Incerto è ancora il ruolo degli anticorpi monoclonali, specie nelle fasi avanzate della malattia6. Il ruolo del trattamento anticoagulante nei pazienti con COVID-19 nella prevenzione delle complicanze tromboemboliche osservate nei soggetti ospedalizzati, infine, è ancora oggetto di studio. In particolare, non è stato ancora chiarito il dosaggio ottimale del trattamento con eparine a basso peso molecolare da impiegare in questi pazienti e studi clinici randomizzati sono tuttora in corso. Una recente metanalisi, che ha analizzato un totale di 19 510 pazienti inclusi in 37 studi clinici, avrebbe tuttavia dimostrato la superiorità di una dose profilattica rispetto ad un dosaggio intermedio o ad uno terapeutico in termini di riduzione della mortalità nei soggetti con infezione da SARS-CoV-27.

IL PIANO VACCINALE

La pandemia COVID-19 ha stimolato lo sviluppo, in tempi estremamente brevi, di efficaci vaccini diretti contro il virus SARS-CoV-2, basati su differenti tecnologie8. Da dicembre 2020 a marzo 2021 sono stati sviluppati ed approvati dalla European Medicines Agency (EMA) quattro vaccini anti-COVID-19: due sono vaccini basati su mRNA incapsulato in nanoparticelle lipidiche – BNT162B2 (Pfizer/BioNTech) e mRNA-1273 (Moderna) – che codificano per la proteina spike (S) virale; gli altri due – ChAdOx1 nCov-19 (AstraZeneca) e Ad26.COV.2 (Johnson & Johnson/Janssen) sono costituiti da un vettore adenovirale ricombinante e codificano per la glicoproteina S di SARS-CoV-2. La campagna vaccinale attualmente è in corso e si stima che ad oggi oltre 595 milioni di soggetti nel mondo, pari al 7.6% dell’intera popolazione, abbiano ricevuto almeno una dose di vaccino e più di 268 milioni di soggetti, pari al 3.4% della popolazione mondiale, abbiano ricevuto entrambe le dosi previste. Nell’Unione Europea si calcola che ad oggi siano state somministrate oltre 82 milioni di dosi di vaccino9.

VACCINO ED EVENTI TROMBOTICI

In modo del tutto inatteso, nel mese di marzo scorso, sia il vaccino anti-COVID-19 prodotto da AstraZeneca (ChAdOx1 nCoV-19) che quello prodotto da Johnson & Johnson/Janssen (Ad26.COV2.S) sono stati associati ad eventi trombotici in alcuni dei soggetti vaccinati. Per questo motivo l’utilizzo del vaccino prodotto da AstraZeneca (ChAdOx1 nCoV-19) è stato immediatamente bloccato dalle autorità sanitarie di diversi paesi europei e il suo utilizzo è stato solo successivamente nuovamente approvato dall’EMA previa valutazione del rapporto rischio/beneficio connesso con l’uso del vaccino stesso9. I dati relativi agli eventi avversi di natura trombotica associati al vaccino prodotto da Johnson & Johnson/Janssen sono stati oggetto di attenta valutazione da parte della U.S. Food and Drug Administration (FDA) e l’utilizzo del vaccino è stato approvato il 23 aprile scorso con la clausola dell’autorizzazione all’uso in emergenza in considerazione della gravità della pandemia in atto10. Nel foglietto illustrativo contenuto nella confezione del prodotto doveva inoltre essere riportata una nota sulla possibile insorgenza di eventi avversi di natura trombotica e dettagli sui sintomi che ne consentissero il loro rapido riconoscimento. Le trombosi associate all’uso del vaccino ChAdOx1 nCoV-19 hanno caratteristiche clinico-laboratoristiche peculiari. Nel mese di aprile 2021 il New England Journal of Medicine riporta un totale di 39 casi di trombosi, osservati dopo la somministrazione del vaccino prodotto da AstraZeneca, in tre differenti studi descrittivi11-13. Le trombosi descritte insorgevano da 5 a 24 giorni dalla somministrazione del vaccino ChAdOx1 nCoV-19, erano prevalentemente localizzate in sedi atipiche ed in particolare a livello dei seni venosi endocranici o a carico del territorio splancnico, e si verificavano in soggetti senza precedenti clinici di rilievo e, in particolare, senza precedenti di natura tromboembolica. I soggetti che presentavano questa complicanza erano soprattutto di sesso femminile, di età <50 anni, ed alcuni di essi erano in terapia sostitutiva con estrogeni o in trattamento estroprogestinico. Un’altra caratteristica comune ai casi riportati era la presenza di una trombocitopenia con una conta piastrinica media pari a 20 000-30 000 piastrine/μL (range 10 000-110 000)11-13. Gli autori riportavano, anche se molto più raramente, trombosi venose degli arti, casi di embolia polmonare e trombosi arteriose. Un’altra caratteristica di tali quadri trombotici era la presenza di un incremento dei livelli di D-dimero associato ad una riduzione di quelli di fibrinogeno, suggerendo la possibilità della contemporanea presenza di una coagulopatia da consumo. La mortalità dei casi descritti, infine, era assai elevata (pari al 40% circa dei casi) ed era causata da un danno cerebrale di natura ischemica o dalla trasformazione emorragica di un iniziale danno cerebrale ischemico che insorgeva, in genere, dopo l’inizio della terapia anticoagulante. Sempre nell’aprile 2021, un gruppo di lavoro coordinato da Andreas Greinacher14, autore di uno di uno dei tre lavori in precedenza citati11, pubblicava sotto l’egida della Società di Emostasi e Trombosi Tedesca (GTH), una rassegna nella quale gli autori, oltre a descrivere le caratteristiche clinico-laboratoristiche dei casi da loro osservati a seguito della somministrazione del vaccino di AstraZeneca, riportavano un’incidenza di questo grave evento avverso, stimata dall’Istituto Paul Ehrlich, in 13 casi su 1.6 milioni di dosi di vaccino sino ad allora somministrate in Germania. Nella citata rassegna, la GTH sottolineava anche le analogie di questo grave effetto indesiderato, osservato in associazione al vaccino di AstraZeneca, con la trombocitopenia da eparina (heparin-induced thrombocytopenia, HIT) e dava infine indicazioni sul suo trattamento14.

La trombocitopenia da eparina

La HIT è una malattia immunomediata, che si può instaurare a seguito del trattamento con eparina, ed è legata alla formazione di autoanticorpi diretti contro un epitopo complesso formato da un antigene di derivazione piastrinica, il fattore piastrinico 4 (PF4), e la molecola eparinica o altra molecola polianionica. Gli autoanticorpi prodotti in corso di HIT sono di solito di classe IgG e sono in grado di legare il recettore FcγIIa (FcRγIIa) presente a livello della superficie piastrinica causando una intensa attivazione ed aggregazione piastrinica intravascolare, con formazione di trombi e riduzione della conta delle piastrine circolanti secondaria a consumo15. I fenomeni trombotici possono verificarsi sia a livello venoso che arterioso, sono spesso clinicamente assai gravi ed in relazione alla patogenesi della piastrinopenia, i pazienti con HIT non presentano una diatesi emorragica, ma, al contrario, una intensa tendenza protrombotica16. I fenomeni tromboembolici più frequenti in corso di HIT sono la trombosi dei grossi vasi venosi degli arti inferiori e l’embolia polmonare seguiti dalla trombosi arteriosa periferica e dall’ictus17. Altre sedi che possono essere interessate dai fenomeni di natura trombotica sono i seni venosi endocranici ed il distretto venoso splancnico. L’incidenza di HIT è particolarmente elevata nei pazienti in terapia con eparina non frazionata e sottoposti a chirurgia maggiore18. Nei pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca l’incidenza riportata è dell’1-3%19. L’incidenza di HIT è, al contrario, decisamente inferiore nei pazienti in terapia con eparine a basso peso molecolare e/o sottoposti a chirurgia minore o nei soggetti ospedalizzati per patologie di interesse internistico20. La HIT è, infine, relativamente rara nelle pazienti ostetriche21. La HIT va tipicamente sospettata nei pazienti che presentano una riduzione della conta piastrinica di più del 50% rispetto al valore basale, precedente al trattamento con eparina, che insorge dopo circa 5-10 giorni dall’inizio del trattamento eparinico stesso, che presentano una diatesi trombofilica e nei quali infine viene dimostrata la presenza di anticorpi di classe IgG capaci di dar luogo ad una attivazione piastrinica in presenza di eparina22.

Il timing di insorgenza del calo piastrinico ha comunque alcune importanti eccezioni. Nei pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore l’insorgenza della riduzione della conta piastrinica in genere avviene a distanza di 5-10 giorni dall’intervento stesso e non dall’inizio del trattamento eparinico.

Un’altra possibile eccezione è rappresentata dalla cosiddetta HIT a rapida insorgenza. Questa si verifica immediatamente dopo l’inizio della somministrazione di eparina in pazienti trattati con eparina nei precedenti 90 giorni e che presentano anticorpi anti-PF4-eparina circolanti. Questi casi sono spesso complicati da una reazione anafilattoide che insorge entro 30 min dalla somministrazione dell’eparina stessa. In altri casi ancora si può verificare una risposta anamnestica, in pazienti che in passato avevano sviluppato una HIT. La trombocitopenia in questi casi è più precoce e si osserva a distanza di circa 5 giorni dalla ri-somministrazione di eparina23. Esiste, infine, una forma nota come HIT ad insorgenza tardiva che si manifesta con fenomeni di natura tromboembolica che insorgono fino a 3 settimane dopo l’esposizione all’eparina23.

Una rara forma di HIT è nota come HIT spontanea o autoimmune. Questa rara condizione, ad andamento spesso catastrofico, si sviluppa senza una precedente esposizione all’eparina24 e la trombocitopenia si protrae a lungo senza la tipica risalita della conta piastrinica che si osserva dopo 2-5 giorni dalla sostituzione dell’eparina con un altro anticoagulante non eparinico. La diagnosi di certezza di HIT richiede la dimostrazione della presenza degli anticorpi anti-PF4-eparina. La dimostrazione degli anticorpi diagnostici per HIT può essere effettuata attraverso due classi di metodiche: metodiche funzionali e metodiche immunometriche: i metodi immunometrici valutano la capacità di legame degli anticorpi anti-PF4-eparina, mentre i metodi funzionali verificano la capacità degli anticorpi stessi, presenti nel plasma o nel siero del paziente, di indurre un’attivazione piastrinica in presenza di eparina25. I metodi funzionali, sono considerati quelli di riferimento. Essi sono il test di rilascio della serotonina26 ed il test di attivazione piastrinica indotta da eparina. Questi test sono disponibili solo in laboratori specialistici e non sono di utilizzo clinico corrente. I metodi immunologici, al contrario, sono di più facile esecuzione, sono disponibili in commercio e facilmente eseguibili in quasi tutti i laboratori di emostasi. Esistono diversi tipi di test immunologici. Quelli in ELISA e quelli che impiegano l’utilizzo di microparticelle sono quelli più utilizzati per scopi clinico-diagnostici27.

ANALOGIE TRA TROMBOSI DA TROMBOCITOPENIA DA EPARINA E
TROMBOSI DA VACCINO ANTI-COVID-19

La principale analogia osservata tra trombosi da vaccino di AstraZeneca, in particolare, e HIT è rappresentata dalla coesistenza di un quadro trombotico e di una trombocitopenia associata. Tuttavia, i pazienti che presentavano questa particolare complicanza da vaccino, contrariamente alla HIT classica, non avevano avuto una precedente esposizione all’eparina. Un’altra analogia di questa particolare complicanza da vaccino con la HIT è rappresentata dall’identificazione, effettuata mediante un test in ELISA, di un elevato titolo di anticorpi diretti contro un complesso formato dalla proteina piastrinica PF4 con una sostanza polianionica. Tale tipo di anticorpo è stato identificato in tutti i casi descritti di trombosi secondaria a vaccino anti-COVID-19 ed avrebbe un significato patogenetico. Il legame dell’anticorpo con il complesso PF4-molecola polianionica sarebbe infatti in grado di determinare una intensa attivazione piastrinica che, a sua volta, sarebbe la causa degli eventi trombotici tipici di questa sindrome clinica. L’attivazione piastrinica conseguente al legame tra anticorpo e PF4 è stata dimostrata in eleganti esperimenti in vitro particolarmente nel lavoro del gruppo di Greinacher11, ed avviene, contrariamente alla HIT classica, in assenza di eparina. Il complesso dei dati sopra riportati consente pertanto di identificare una nuova entità nosologica definibile come trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino (vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia, VITT). Tale sindrome clinica presenta, a sua volta, evidenti analogie con un’altra condizione clinica, già in precedenza citata, sempre descritta dal gruppo di Greinacher, e denominata trombocitopenia autoimmune indotta da eparina15,24; anche in questa malattia autoimmunitaria, del tutto identica alla HIT, la trombosi si verifica, contrariamente a quanto il nome suggerirebbe, senza una precedente esposizione all’eparina. Ciò che non è al momento chiaro è il motivo per cui nella VITT, contrariamente alla HIT, gli eventi trombotici si verificano soprattutto a livello di sedi vascolari inconsuete e specificamente a livello dei seni venosi endocranici e a livello del sistema venoso splancnico. La presenza di specifici antigeni polianionici nelle sedi vascolari citate potrebbe essere una possibile spiegazione della diversa localizzazione delle trombosi e conseguentemente della diversa presentazione clinica della VITT rispetto alla HIT. La diagnosi di VITT dovrebbe necessariamente basarsi su di un test ELISA, identico a quello impiegato per la diagnosi di HIT e validato internazionalmente.

Per quanto riguarda la terapia, questa è del tutto empirica in ragione del basso numero dei casi finora descritti. È assolutamente indispensabile che il trattamento anticoagulante, che deve essere iniziato a causa del quadro trombotico spesso assai grave, non determini la trasformazione emorragica dell’iniziale evento ischemico, sia a livello gastrointestinale che, soprattutto, cerebrale. La trasformazione emorragica è legata alla bassa conta piastrinica di solito presente al momento della diagnosi. Il primo step dell’approccio terapeutico dovrebbe pertanto basarsi sul tentativo di indurre una risalita della conta piastrina mediante l’uso di immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa e/o di corticosteroidi. Le immunoglobuline ad alte dosi impedirebbero la formazione dell’immunocomplesso anticorpo-PF4 sulla superficie piastrinica, riducendone il consumo immunomediato e quello intra-trombotico. Per quanto attiene all’anticoagulante, dovrebbe essere preferita una sostanza di tipo non eparinico anche se preliminari osservazioni avrebbero dimostrato un effetto favorevole delle eparine a basso peso molecolare. Ancora sconosciuta è, infine, la componente del vaccino capace di indurre la risposta anticorpale.

La proteina S virale (spike), la cui sintesi è indotta dal vaccino, o componenti molecolari del vettore adenovirale potrebbero essere possibili fattori causali. Analogamente, fattori predisponenti l’insorgenza di questa grave complicanza da vaccino anti-COVID-19, oltre all’età <50 anni e al sesso femminile, sono sconosciuti e sono al momento oggetto di studio al fine di poter identificare le categorie dei soggetti potenzialmente a maggior rischio.

CONCLUSIONI

La trombosi associata a vaccino anti-COVID-19 (VITT) è stata ampiamente divulgata dagli organi di stampa ed ha rappresentato un forte deterrente all’esecuzione del vaccino in ampie fasce della popolazione per il forte impatto emotivo che ha causato. Va tuttavia ricordato che si tratta di una complicanza assai rara e sicuramente non tale da indurre i cittadini appartenenti alle fasce non considerate ad alto rischio di tale complicanza a rifiutare l’opportunità di sottoporsi alla profilassi di una infezione spesso assai grave, in molti casi mortale, e dall’andamento epidemiologico ancora incerto nel futuro prossimo.

RIASSUNTO

Diversi casi di trombosi in sedi inconsuete associate a trombocitopenia sono stati descritti a seguito della somministrazione di vaccini ricombinanti, che impiegavano vettori di adenovirus, in grado di codificare la proteina spike del nuovo coronavirus SARS-CoV-2, ChAdOx1 nCov-19 (AstraZeneca) e Ad26.COV.2 (Johnson & Johnson/Janssen). Questo nuovo quadro clinico possiede molte analogie con la trombocitopenia da eparina e recenti studi suggeriscono che la patogenesi di questi eventi trombotici in sedi inconsuete dipenda da un meccanismo di tipo immunologico. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di identificare i soggetti a rischio di sviluppare questa coagulopatia.

Parole chiave. Trombocitopenia da eparina; Trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino; Trombosi; Vaccino anti-COVID-19.

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