Gestione dello shock cardiogeno: una proposta di percorso integrato

Stefano Benenati1, Matteo Vercellino2, Davide Avenoso1, Gabriele Crimi2, Andrea Macchione2, Corinna Giachero2, Manrico Balbi1,2, Roberta Della Bona2, Giovanni Gnecco2, Andrea Baronetto3, Davide Ricci3, Giuseppe Buscaglia4, Domenico Palombo5, Angelo Gratarola6, Francesco Santini3, Italo Porto1,2

1Cattedra di Malattie Cardiovascolari, Dipartimento di Medicina Interna (DIMI), Università degli Studi, Genova

2U.O. Cardiologia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare (DICATOV), Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

3U.O.C. Cardiochirurgia, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare (DICATOV), Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

4Dipartimento di Cardioanestesia e Terapia Intensiva, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

5Unità di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare (DICATOV), Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

6Dipartimento di Emergenza e Urgenza, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS – IRCCS Cardiovascular Network, Genova

Cardiogenic shock (CS) is a complex and relatively rare disease. Whilst its mortality remains unacceptably high, a multidisciplinary approach based on pre-established and shared protocols may improve prognosis and ensure appropriate resource allocation. Comprehensive hemodynamic assessment and monitoring as well as tailored, goal-directed medical therapy are part of an optimal management. Moreover, mechanical support devices may be helpful as they sustain hemodynamics to a greater extent as compared to inotropes and vasopressors, while lacking their cardiotoxic effects. Therefore, they are increasingly used in CS patients. In 2019, a new protocol for the management of patients with CS was adopted at the Ospedale Policlinico San Martino (HSM) in Genoa, Italy. Following in the footsteps of similar international experiences, the HSM protocol aims at streamlining the management of these high-risk patients improving the cooperation among healthcare specialists, and also addressing the key issues of mechanical support device implantation and appropriate referral for palliative care.

Key words. Cardiogenic shock; Extracorporeal membrane oxygenation; Impella; Intra-aortic balloon pump; Mechanical circulatory support; Shock team.

INTRODUZIONE

Lo shock cardiogeno (SC) è una sindrome clinica emodinamico-metabolica caratterizzata da ipoperfusione d’organo secondaria a ridotta portata cardiaca, che può conseguire ad una disfunzione sistolica o/e diastolica uni- (sinistra o destra) o biventricolare1. Nelle ultime decadi l’incidenza dello SC è progressivamente aumentata2, mantenendo livelli di mortalità ancora molto elevati nonostante i significativi miglioramenti prognostici garantiti dalle nuove strategie di cura, in particolare nell’ambito delle sindromi coronariche acute (SCA)3. Queste ultime rimangono tutt’oggi il principale determinante eziologico1. Il trattamento dello SC presuppone la cooperazione tra numerose figure professionali (cliniche ed interventistiche) e l’impiego di terapie ad elevati costi e complessità gestionale. Stilare e rispettare protocolli condivisi ha dimostrato di migliorare sensibilmente la prognosi dei pazienti con SC4, grazie anche ad un più appropriato utilizzo dei trattamenti avanzati, in particolare se si fa riferimento ai supporti meccanici al circolo. Oggi, infatti, le assistenze meccaniche arrivano ad essere impiantate in più di un caso di SC su quattro, con un trend incrementale specie per supporti percutanei di nuova generazione e di ossigenazione extracorporea a membrana (extracorporeal membrane oxygenation, ECMO)2. Tuttavia, il loro utilizzo rimane estremamente variabile tra i vari centri, dipendendo largamente dalla curva di apprendimento degli operatori e dalla loro preferenza, nonché dalla disponibilità e dai costi dei supporti. Insieme alle problematiche legate alla corretta selezione del paziente, questo contribuisce a giustificare, in effetti, come mai molti studi multicentrici non abbiano evidenziato un chiaro beneficio di questi dispositivi5.

Nel 2019, è stato sviluppato, presso l’Ospedale San Martino (HSM) di Genova, un protocollo condiviso per la gestione dei pazienti con SC. Il documento si ripropone di armonizzare i ruoli delle molteplici figure professionali coinvolte, non solo all’interno del centro ospedaliero ma anche nel contesto territoriale, fornendo al contempo uno schema basato su evidenze aggiornate per il corretto impiego dei farmaci e dei vari presidi terapeutici, supporti meccanici in primis. Scopo di questa rassegna è illustrare il modello gestionale HSM e le basi scientifiche che lo ispirano.

DIAGNOSI DI SHOCK CARDIOGENO

Molte sono le definizioni cliniche di SC proposte in letteratura6. Tutte rispecchiano in effetti il medesimo processo fisiopatologico, cioè la discrepanza tra necessità metabolica tissutale e perfusione d’organo, impiegando parametri clinici3,5,7,8, laboratoristici5,7,8 e/o emodinamici3.

Nella pratica e ai fini di questo documento, può definirsi in SC un paziente che presenti: a) pressione arteriosa sistolica (PAS) <90 mmHg o pressione arteriosa media (PAM) <65 mmHg per ≥30 min, ovvero necessità di vasopressori per mantenere una PAS >90 mmHg, nonostante adeguato riempimento volemico; b) segni clinici e/o laboratoristici di ipoperfusione d’organo, inclusi estremità fredde e pallide, oligo-anuria (diuresi oraria <0.5 ml/kg per almeno 6 h), confusione/agitazione e rialzo dei lattati; o c) segni di congestione polmonare5,7-11. Elemento caratterizzante dello SC è la riduzione della gittata cardiaca (GC), che permette di differenziare questa condizione dalle altre forme di shock10.

I SISTEMI DI MONITORAGGIO

Il paziente in SC viene monitorato attraverso sistemi invasivi e non. Questi includono:

1) ECG in continuo;

2) cateterismo vescicale per la quantificazione della diuresi;

3) cateterismo arterioso radiale, finalizzato al monitoraggio continuo della pressione arteriosa e all’esecuzione di prelievi arteriosi seriati per il monitoraggio emogasanalitico (es. saturazione di ossigeno e lattati);

4) cateterismo venoso centrale (CVC) per la stima della pressione venosa centrale (PVC) e della saturazione venosa centrale di ossigeno;

5) monitoraggio arterioso polmonare mediante catetere di Swan-Ganz, da cui si ottiene la pressione di incuneamento capillare polmonare, che rappresenta una stima indiretta delle pressioni di riempimento sinistre. Con la stessa procedura è possibile stimare la GC mediante il metodo di Fick e/o della termodiluizione, derivandone poi l’indice cardiaco (IC = GC/area di superficie corporea) e il cosiddetto cardiac power output [CPO = (PAM x GC)/451]. Sia la GC che il CPO hanno dimostrato di predire efficacemente la prognosi in pazienti con SC12,13. Un ulteriore parametro derivato dalla stima invasiva delle pressioni polmonari è il pulmonary artery pulsatility index [PAPi = (pressione arteriosa polmonare sistolica – pressione arteriosa polmonare diastolica)/PVC], che ha dimostrato di essere correlato in modo significativo con altri parametri di disfunzione ventricolare destra, oltre che di predire con elevata accuratezza l’insorgenza di mortalità intraospedaliera in pazienti con infarto inferiore14. Una casistica retrospettiva recente ha mostrato come, se realizzata prima dell’impianto del supporto meccanico, una valutazione emodinamica coadiuvata da Swan-Ganz sia in grado di ridurre la mortalità in una coorte di pazienti con SC15.

Integrando le informazioni cliniche con i parametri derivati dai sistemi di monitoraggio emodinamico, diverse classificazioni si sono preposte di stratificare i pazienti con SC10,16. Tra queste, la stadiazione proposta da Marini et al.10 suddivide i pazienti in tre diversi stadi: pre-shock, shock e shock severo (Figura 1), fornendo uno strumento pratico ed efficace. Questa classificazione verrà pertanto presa a riferimento nel presente documento.




PRINCIPI GENERALI DI TRATTAMENTO DELLO SHOCK CARDIOGENO

Terapia farmacologica

I presidi farmacologici non sono oggetto di questa revisione e vanno pertanto approfonditi altrove1,17,18. È bene ricordare che i farmaci inotropi, vasopressori o inodilatatori, benché usualmente necessari a sostenere l’emodinamica, causano contemporaneamente effetti cellulari deleteri (es. aumentato consumo energetico cellulare e citotossicità calcio-mediata) e hanno dimostrato, specie in caso di impiego di combinazioni, di essere associati ad una prognosi infausta19.

Rivascolarizzazione coronarica

La rivascolarizzazione coronarica è uno dei presidi terapeutici più efficaci nel paziente con SC post-infartuale6. Lo studio SHould we emergently revascularize Occluded Coronaries for cardiogenic shocK (SHOCK) ha infatti dimostrato che, se eseguita tempestivamente, la rivascolarizzazione coronarica riduce la mortalità di quasi il 30%3. L’impiego di angioplastica coronarica, o in casi selezionati di bypass aortocoronarico, è supportato dalle linee guida internazionali con raccomandazione di classe I, livello di evidenza B20,21.

Fino all’80% dei pazienti con SC presentano coronaropatia multivasale6. Questa è un importante indicatore prognostico sfavorevole, in particolare quando la lesione “colpevole” interessa tronco comune o interventricolare anteriore (IVA) prossimale22. In passato le linee guida hanno supportato, a questo riguardo, l’impiego della rivascolarizzazione multivasale durante la procedura indice. Più recentemente, tuttavia, lo studio Culprit Lesion Only PCI vs. Multivessel PCI in Cardiogenic Shock (CULPRIT-SHOCK) ha dimostrato che la riperfusione del solo vaso colpevole riduce la mortalità e il ricorso a terapia sostitutiva renale a breve termine, e non è inferiore alla rivascolarizzazione completa dal punto di vista della mortalità ad 1 anno dall’evento8. Analisi post-hoc dello stesso studio hanno dimostrato, inoltre, che il beneficio di questo approccio è ancora più evidente nelle sottopopolazioni a maggiore rischio anatomico (es. lesione colpevole localizzata su IVA prossimale o tronco comune)22 e sussiste indipendentemente dalla presenza o meno di occlusione cronica totale su altro vaso23. Sulla base di questi dati, le linee guida raccomandano attualmente la ricanalizzazione della sola lesione colpevole seguita da eventuale completamento differito20,21. Al contrario, la rivascolarizzazione multivasale routinaria viene controindicata20.

Gestione delle complicanze meccaniche nel paziente con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST

Sebbene rare, le complicanze meccaniche rimangono tutt’oggi possibili in una quota di pazienti con SCA (in particolare infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST [STEMI]), in cui si associano a un marcato incremento del rischio di SC e mortalità intraospedaliera24. La rottura del setto interventricolare e dei muscoli papillari hanno la maggiore incidenza, seguite dalla rottura di parete libera24. La gestione di questi scenari a rischio estremamente elevato è in prima istanza chirurgica21, includendo il posizionamento di patch in caso di rottura di parete, la riparazione del difetto interventricolare e la sostituzione (o, più raramente, la riparazione25) valvolare in caso di rottura di papillare. Sporadiche esperienze sono anche riportate con approcci percutanei, che rimangono tuttavia di seconda scelta26.

Supporti meccanici: caratteristiche principali, criteri di impianto e selezione del dispositivo

Contrariamente ai farmaci inotropi, i supporti meccanici contribuiscono alla stabilità emodinamica senza promuovere o aggravare il danno miocardico. Sono inoltre utili quando il supporto farmacologico non è sufficiente. Le alternative disponibili per il supporto meccanico sono molteplici; tuttavia, tra queste, alcune vengono impiegate su scala molto più ampia, sia per la maggior quota di evidenze scientifiche in loro sostegno che per ragioni di costo-efficacia e disponibilità sul territorio, e saranno oggetto di questo paragrafo.

Il contropulsatore aortico (intra-aortic balloon pump, IABP) consiste in un catetere flessibile impiantato per via percutanea (in genere femorale), alla cui sommità è posizionato un palloncino che viene avanzato in aorta toracica discendente. L’alternanza di gonfiaggio e sgonfiaggio del pallone nelle fasi, rispettivamente, diastolica e sistolica, esita in: un modesto incremento della GC (circa 1 l/min); un blando aumento del flusso coronarico, specie in circostanze di esaurimento della riserva coronarica quali no-reflow o severa ipotensione27; una riduzione del postcarico ventricolare sinistro. Lo studio IABP-SHOCK II ha dimostrato l’assenza di beneficio dello IABP sulla mortalità in pazienti con SC post-infarto5,28, causando il declassamento delle raccomandazioni sull’impiego dello IABP da parte delle linee guida internazionali21. Attualmente, questo dispositivo è controindicato di routine, ma rimane da considerare nei casi di SC da complicanza meccanica dell’infarto in attesa del timing ottimale di correzione chirurgica o interventistica della complicanza stessa21. Va comunque precisato che diversi sono i limiti dello studio IABP-SHOCK II, tra cui il significativo cross-over asimmetrico tra i due bracci e il fatto che lo IABP sia stato posizionato dopo l’angioplastica (piuttosto che prima) nella maggior parte dei pazienti. Da notare, inoltre, come molti dei pazienti arruolati presentassero livelli di lattato elevati e segni di ipoperfusione periferica5, aspetti che deporrebbero per una popolazione a rischio piuttosto elevato e che avrebbe forse beneficiato di assistenze più potenti. Recenti dati osservazionali suggeriscono, peraltro, che l’uso di IABP migliori la prognosi dei pazienti con SC post-infarto sottoposti a rivascolarizzazione coronarica inefficace29. Stando ai dati del Gruppo Italiano di Studi Emodinamici (GISE), lo IABP è rimasto l’assistenza più impiegata sul territorio italiano nel triennio 2017-2019 (https://gise.it), sia come supporto elettivo che (soprattutto) nelle procedure d’urgenza.

Impella (Abiomed, Denver, CO, USA) è una famiglia di pompe microassiali, tutte, ad eccezione della 5.0, impiantabili per via percutanea. Il funzionamento del dispositivo è indipendente dal ciclo cardiaco e dal tracciato ECG e prevede un flusso continuo con portata da circa 2.5 a circa 5 l/min secondo il tipo di dispositivo30. Comparata allo IABP, Impella 2.5 ha dimostrato di migliorare il profilo emodinamico in pazienti con SC post-infartuale, incrementando significativamente l’IC e riducendo i livelli di lattato31. Gli studi randomizzati che hanno confrontato Impella e IABP non hanno tuttavia evidenziato alcun beneficio della pompa microassiale sulla mortalità a breve termine, a fronte di un incremento dei sanguinamenti correlati al dispositivo e dei casi di emolisi31,32. Questi risultati sono coerenti con altre casistiche retrospettive33,34 e metanalisi35. Tuttavia, va sottolineato come i trial controllati finora disponibili, peraltro ampiamente sottopotenziati per valutare differenze di efficacia in termini di eventi clinici, facciano riferimento in effetti al modello 2.5, ovvero la meno performante tra le pompe microassiali. L’implementazione di protocolli basati su un uso estensivo di Impella CP, al contrario, ha dimostrato di associarsi ad un significativo miglioramento prognostico, specie nello SC ad origine ischemica36, riflettendo probabilmente la maggiore efficienza dell’assistenza fornita da questo modello. Sebbene non siano ancora disponibili studi randomizzati che impieghino Impella CP, diversi sono in fase di realizzazione e chiariranno l’efficacia di questo dispositivo6.

Aneddotici sono i risultati riportati su pazienti con SC a genesi non ischemica. Una recente analisi del registro internazionale cVAD ha dimostrato, a questo proposito, la fattibilità e sicurezza dell’impiego di Impella in 34 pazienti con SC secondario a miocardite fulminante37.

Secondo le attuali linee guida, l’uso di Impella può essere considerato in pazienti con SC refrattario post-STEMI21. È controindicato invece in caso di trombosi murale del ventricolo sinistro, protesi aortica meccanica, severa arteriopatia periferica, difetto interatriale o interventricolare e tamponamento cardiaco. Il modello RP è stato progettato per offrire supporto al ventricolo destro38 e va pertanto scelto in caso di interessamento esclusivamente destro o biventricolare (in quest’ultimo caso in associazione a Impella CP, sebbene i dati disponibili in letteratura a riguardo siano estremamente scarsi). Oltre all’ischemia d’arto, va segnalato che una delle più frequenti complicanze dell’Impella è l’emolisi. La penetranza dell’Impella sul territorio italiano rimane ancora modesta (meno di 500 procedure totali nel 2019), con ampia variabilità interregionale nell’impiego di questo supporto (dati GISE 2018-2019, https://gise.it).

L’ECMO veno-arterioso (veno-arterial ECMO, VA-ECMO) è un sistema di supporto extracorporeo in grado di vicariare sia la funzione di pompa cardiaca (sinistra e destra), sia quella di scambio gassoso polmonare. Il meccanismo di funzionamento prevede che il sangue venga aspirato da una vena di grosso calibro (femorale e/o giugulare interna) attraverso una cannula da 18-21 F e re-immesso in circolo per via arteriosa (femorale o ascellare) con una cannula da 15-22 F, dopo essere transitato attraverso un ossigenatore30,39. Il flusso prodotto può sostituire pressoché interamente quello fisiologico, arrivando fino a 4.5 l/min circa. In caso di cannulazione arteriosa femorale, tuttavia, il flusso viene diretto in direzione opposta rispetto alla normale gittata (cioè contro la valvola aortica), incrementando sensibilmente il postcarico ventricolare sinistro. Alcuni studi osservazionali40,41 e metanalisi42 suggeriscono che l’impiego di VA-ECMO possa aumentare la sopravvivenza dei pazienti con SC post-ischemico rispetto a IABP, ma nessuno studio randomizzato controllato è stato condotto finora in merito. Similmente, piccoli studi osservazionali hanno dimostrato che il trattamento con VA-ECMO è fattibile e sicuro negli adulti con SC da miocardite43. Le attuali linee guida supportano, seppur con bassa classe di raccomandazione, l’impiego di VA-ECMO nel paziente in SC post-infartuale refrattario21 o nell’insufficienza cardiaca acuta (stadi INTERMACS 1-2) come strategia “ponte” verso successivi snodi terapeutici (impianto di assistenze ventricolari permanenti o trapianto cardiaco)7. L’impiego di ECMO incrementa il rischio di ischemia d’arto, ictus, sanguinamenti maggiori, insufficienza renale acuta e infezioni44. L’incremento del postcarico generato dall’iniezione retrograda del flusso determina inoltre sovraccarico ventricolare sinistro con il rischio di edema polmonare acuto. Questo viene prevenuto tramite venting ventricolare o atriale sinistro, che può anche essere effettuato associando VA-ECMO ad Impella o IABP45-47.

TandemLife Protek Duo (TPD; TandemLife, Pittsburgh, PA, USA) e TandemHeart (Cardiac Assist, Inc., Pittsburgh, PA, USA), infine, sono assistenze meccaniche finalizzate al supporto destro. Il primo è posizionato per via venosa bifemorale o femoro-giugulare, il secondo per via giugulare interna. Entrambi consentono il ricircolo di sangue venoso dall’atrio destro all’arteria polmonare passando attraverso una pompa paracorporea. Le esperienze con questi dispositivi rimangono ad oggi molto limitate e con tassi di mortalità ancora molto elevati48,49.

L’impianto di un supporto meccanico comporta il rischio di complicanze indesiderate e futilità, e deve pertanto essere guidato e giustificato da elementi obiettivi. Nello SC di origine ischemica, l’anatomia coronarica e la frazione di eiezione sono fattori determinanti. L’uso dei supporti meccanici è maggiormente consigliabile in caso di malattia coronarica trivasale, del tronco comune o di ultimo vaso residuo. Indipendentemente dall’eziologia, inoltre, utile è la misurazione della pressione telediastolica ventricolare sinistra (left ventricular end-diastolic pressure, LVEDP) mediante cateterismo cardiaco sinistro come indicatore della performance ventricolare sinistra. Uno studio di Planer et al.50 ha dimostrato che una LVEDP >18 mmHg predice indipendentemente la mortalità a 2 anni nei pazienti con STEMI. Più recentemente, valori incrementali di LVEDP sono stati correlati positivamente con l’estensione dell’ischemia miocardica, mentre l’indice di salvataggio cardiaco (cioè il rapporto tra l’area a rischio di necrosi e quella recuperata dopo rivascolarizzazione) è risultato inversamente correlato alla stessa. Nello stesso studio, il rischio di morte cardiovascolare a 8 anni aumentava di circa il 20% per ogni 5 mmHg di incremento di LVEDP51. L’algoritmo stilato nell’ambito della Detroit Cardiogenic Shock Initiative prevede in effetti l’impiego di assistenza meccanica nei casi in cui la LVEDP superi 15 mmHg ovvero l’IC sia <2.2 l/min/m2 52.

La scelta del dispositivo dipende da diversi fattori, inclusi la severità dello SC, l’esperienza dell’operatore e la presenza di condizioni sfavorevoli quali la vasculopatia periferica. Seguendo la stratificazione di severità proposta da Marini et al.10 è coerente collocare l’utilizzo dello IABP nelle circostanze di pre-shock, mentre pazienti in shock franco e shock severo beneficiano maggiormente di assistenze più efficienti in termini di portata cardiaca assistita (Figura 1). In caso di shock/shock severo con disfunzione ventricolare destra o biventricolare e/o ipossiemia, l’ECMO andrebbe preferito agli altri dispositivi; in assenza di queste condizioni può invece essere considerato l’uso di Impella CP. Strategie meno frequentemente impiegate attualmente sono rappresentate dal TandemHeart1 o dalla combinazione di Impella CP ed RP nella disfunzione biventricolare, nonché dall’utilizzo del solo Impella RP nel caso di disfunzione destra isolata. La funzione ventricolare destra va quindi esaminata con attenzione e se possibile in modo multiparametrico prima di selezionare il tipo di supporto: i principali indici e valori di riferimento sono riassunti nella Figura 1. Considerazioni simili a quelle riportate sopra andrebbero applicate alla scelta di un supporto meccanico rescue nel corso di procedure complesse. In questi scenari l’impiego di IABP o Impella è più frequente, mentre la scelta dell’ECMO viene riservata a casi estremamente selezionati.

OBIETTIVI TERAPEUTICI E STRATEGIE DI GESTIONE

La bassa incidenza nella popolazione generale accomuna lo SC alle malattie rare53. Insieme alla complessità di questa patologia, ciò rende ragione della maggiore sopravvivenza intraospedaliera registrata in centri ad elevato volume54. È ormai consolidato che un’efficace gestione dello SC debba prevedere un’organizzazione territoriale a rete tempo-dipendente18, dove ospedali a minor volume hanno il compito di riconoscere la patologia ed indirizzare tempestivamente il malato verso centri di riferimento (sistema “Hub & Spoke”)1,7,53. All’interno dei centri Hub, la gestione del paziente in SC è multidisciplinare e finalizzata ad offrire al paziente tutte le possibili opzioni terapeutiche18, incluso l’uso di assistenze meccaniche ed eventuali strategie “di salvataggio” quali il trapianto cardiaco, quest’ultimo da considerare soprattutto dopo stabilizzazione del paziente dal momento che l’impiego in fase acuta è gravato da elevatissima mortalità.

Per questo, i singoli professionisti vengono integrati in gruppi di lavoro che comprendono cardiologo interventista, cardiochirurgo, cardiologo intensivista, cardiologo esperto nello scompenso cardiaco, cardiorianimatore/intensivista, tecnico della perfusione cardiovascolare e infermiere dedicato (cosiddetto “Shock Team”) (Figura 2).




Non meno importante, inoltre, è la funzione dei centri Spoke, dove i pazienti vengono sottoposti all’inquadramento clinico propedeutico al successivo percorso. A questo riguardo va sottolineata l’importanza di perseguire un’adeguata formazione del personale dei centri referenti, come discusso in un recente editoriale di Casella et al.55. L’elevata mortalità dello SC impone di agire in modo tempestivo ed aggressivo, con l’obiettivo di ridurre l’incidenza di mortalità, morbilità e multi-organ dysfunction (le tre “M”).

LA PROPOSTA DELL’OSPEDALE SAN MARTINO

Ruolo del Pronto Soccorso/Dipartimento di Emergenza e Accettazione (PS/DEA)

In PS/DEA il primo approccio al malato è appannaggio dei medici d’urgenza e/o dei rianimatori. Qui si effettuano le prime manovre di inquadramento del paziente, inclusi: 1) esecuzione di ECG a 12 derivazioni e avvio del monitoraggio ECG continuo; 2) posizionamento di accesso venoso periferico e catetere vescicale; 3) Rx torace; 4) emogasanalisi arteriosa. Se sussiste sospetto di shock viene intrapreso il monitoraggio emodinamico invasivo (CVC e accesso arterioso radiale) ed effettuata l’ecocardioscopia (preferibilmente dal cardiologo). Quest’ultima è cruciale per ottenere una serie di informazioni diagnostiche e prognostiche: volumi delle camere cardiache, funzione ventricolare sinistra, presenza di alterazioni della cinetica segmentaria, complicanze meccaniche dell’infarto (es. insufficienza mitralica da rottura di muscolo papillare e rottura di cuore) o versamento pericardico tamponante; consente inoltre di fornire un inquadramento della funzione ventricolare destra (es. escursione sistolica del piano dell’anello tricuspidale) ed evidenziare eventuali controindicazioni assolute o relative ai supporti (es. protesi meccanica aortica, trombosi intraventricolare, insufficienza valvolare aortica più che moderata, grave vasculopatia periferica o aneurisma dell’aorta addominale). È anche opportuno condurre una valutazione neurologica rapida ed iniziare, se indicato, i protocolli di ipotermia terapeutica. Recentemente, Valente et al.18 hanno enfatizzato l’importanza di check-lists di minimum data set, raccolte di item standardizzate che agevolano l’inquadramento diagnostico e prognostico. Confermata la diagnosi, occorre avviare la terapia di supporto farmacologico, inclusi fluid challenge (in assenza di congestione), vasopressori e/o inotropi, perseguendo gli obiettivi precedentemente descritti17 e riportati in Figura 1. Va contestualmente valutata la necessità di intubazione orotracheale e, con l’ausilio dello Shock Team, l’indicazione ad una specifica terapia eziologica (es. angioplastica primaria, correzione della valvulopatia, drenaggio pericardico), all’impianto di assistenze meccaniche e alla correzione chirurgica di eventuali complicanze meccaniche dell’infarto (Figura 1). Infine, viene predisposto il trasferimento presso il reparto di competenza: Rianimazione se il paziente è stato intubato o è ad elevata probabilità di intubazione/ventilazione meccanica oppure terapia intensiva cardiologica (UTIC) se è cosciente e la probabilità che richieda supporto ventilatorio è bassa. La Figura 2 riassume i passaggi descritti in questo paragrafo.

Il giusto percorso per il giusto paziente: scenari clinici e decision-making

Dopo l’iniziale inquadramento, il successivo percorso del paziente viene concordato con le figure cliniche deputate alla gestione intensiva: cardiologo intensivista e cardiorianimatore, che devono essere contattati telefonicamente (Figura 2).

Nel caso di SC a verosimile genesi ischemica, il cardiologo intensivista ha il compito di coordinare l’attivazione del personale di Emodinamica e il trasferimento del paziente in sala con l’ausilio dei medici cardiorianimatori. Andranno inoltre allertati i cardiochirurghi, per eventuale impianto di sistemi di assistenza meccanica e/o provvedimenti terapeutici di competenza (es. bypass aortocoronarico, trattamento delle complicanze meccaniche dell’infarto), e, se non ancora fatto, la Rianimazione, in previsione di un eventuale trasferimento per necessità cliniche o logistiche, come disponibilità di posti letto o necessità di supporto ventilatorio invasivo.

Nello SC a genesi presumibilmente non ischemica, cardiorianimatore e cardiologo intensivista coordinano il trasferimento del paziente in Rianimazione o UTIC in base ai criteri citati nel paragrafo precedente, premurandosi altresì di attivare l’Emodinamica e il cardiochirurgo reperibile, per una co-gestione clinica e in caso di necessità di impianto di sistemi di assistenza meccanica e/o eventuali terapie chirurgiche (es. in caso di valvulopatia o endocardite infettiva).

In sala di Emodinamica

Il ruolo del cardiologo interventista è essenziale per la definizione eziologica, l’inquadramento prognostico supportato da misurazioni emodinamiche invasive e il trattamento dei pazienti con SC. I passaggi essenziali svolti in questo contesto sono riassunti nella Figura 3.




Occorre anzitutto reperire degli accessi vascolari, preferibilmente sotto guida fluoroscopica o ecografica. Qualora si decida di impiantare un sistema di assistenza meccanica, è utile disporre di un doppio accesso arterioso, sia esso radiale/femorale o femorale bilaterale. Il primo accesso si utilizza per l’introduttore di minor calibro con il quale si eseguirà la rivascolarizzazione. Questo accesso consente anche di effettuare un’angiografia dell’asse iliaco-femorale per valutare la fattibilità dell’inserzione del supporto meccanico; inoltre, permette di posizionare gli introduttori di maggior calibro delle assistenze meccaniche per via angio-guidata, facilitando così la puntura della parete anteriore dell’arteria femorale comune ed evitando placche calcifiche che potrebbero rendere meno efficaci i sistemi di emostasi percutanea. Questi ultimi possono, in alcuni casi, essere pre-posizionati per agevolare la gestione dell’accesso nelle fasi successive. Come proposto da alcuni autori, esiste la possibilità di impiegare un singolo accesso vascolare nell’effettuare supporto e angioplastica56. Sebbene questo approccio, descritto in pazienti sottoposti a procedure coronariche complesse supportate da Impella, non rappresenti una pratica clinica di routine nei soggetti con SC, esso è una valida opzione in caso di impossibilità a reperire un doppio accesso arterioso. È inoltre necessario monitorare l’emogasanalisi al fine di diagnosticare e correggere l’acidosi. In tutti i pazienti va misurata la LVEDP ed effettuata la coronarografia.

Se confermata la genesi ischemica, il trattamento tempestivo della lesione coronarica “colpevole” risulta essere cruciale. Se non sussistono controindicazioni assolute e l’anatomia vascolare periferica è favorevole, l’angioplastica dovrebbe essere preceduta dall’impianto di un’assistenza meccanica soprattutto in caso di malattia trivasale o di malattia del tronco comune o equivalente, ovvero se LVEDP >18 mmHg. Il cardiologo interventista procede con l’angioplastica del solo vaso “colpevole”. Al termine della procedura, è utile effettuare il cateterismo destro.

In caso di SC non SCA-relato, l’interventista procederà al cateterismo destro qualora LVEDP >18 mmHg. L’impianto di un’assistenza meccanica sarà da considerare se dal cateterismo si ottiene un IC <2.2 l/min/m2. Se confermata la genesi non ischemica, il cardiologo interventista deve inoltre confrontarsi con il cardiochirurgo relativamente al trattamento di eventuali cause non ischemiche (es. valvulopatie). La selezione dell’assistenza meccanica soggiace a quanto esposto nel paragrafo dedicato e va discussa collegialmente.

Al cardiologo interventista compete l’impostazione della terapia antiaggregante e/o anticoagulante. Questa va stabilita e, se necessario, somministrata quando il paziente è ancora in sala di Emodinamica. Il posizionamento di sondino naso-gastrico può garantire una via di somministrazione efficace se il paziente non è in grado di deglutire autonomamente. Un recente studio di Droppa et al.57 ha dimostrato un’incidenza di sanguinamenti simile tra pazienti trattati con cangrelor e anti-P2Y12 orali, a fronte di un migliore flusso TIMI al termine della rivascolarizzazione nei primi. Sebbene le evidenze citate siano soltanto esplorative, questo inibitore parenterale del P2Y12 potrebbe rappresentare una valida alternativa nei pazienti con SC, vista peraltro la sua efficacia nel ridurre la trombosi di stent intra-procedurale58.

Al termine della procedura, vanno inoltre rivalutati gli accessi arteriosi, in particolare per quelli di grosso calibro come per ECMO/Impella, assicurandosi che non abbiano generato complicanze e che siano ben medicati (e i cateteri adeguatamente fissati), in modo da rimanere in posizione anche durante il successivo trasporto verso la terapia intensiva.

In terapia intensiva

In ambiente intensivo (sia esso UTIC o Cardiorianimazione) il paziente deve essere monitorato in modo sistematico e ciclico. Se il catetere Swan-Ganz è stato mantenuto in situ, CPO e PAPi andrebbero monitorati anche ogni 4 h. In caso contrario, il monitoraggio verrà effettuato sfruttando l’accesso radiale, il CVC e l’ecocardiografia al letto del paziente. I parametri emodinamici e gli indici di perfusione (diuresi oraria, pH, lattati) devono guidare lo svezzamento dai supporti al circolo, siano essi farmacologici o meccanici. In caso di impiego di catetere Swan-Ganz, in particolare, si profilano i tre scenari seguenti: 1) se CPO >0.6 W e PAPi >0.9 si può scalare il supporto, inizialmente farmacologico e poi meccanico; 2) se CPO <0.6 W e PAPi >0.9 va proseguito il trattamento senza svezzamento; 3) qualora CPO <0.6 W e PAPi <0.9 occorre considerare l’upgrade ad ECMO (se il paziente è trattato con Impella) o l’impianto di un supporto ventricolare destro.

La rivalutazione del paziente deve inoltre includere il controllo clinico ed ecografico degli accessi vascolari, con attenzione alla perfusione d’arto (es. polso, temperatura) e alla comparsa di ematoma o sanguinamenti, e delle complicanze del supporto meccanico (es. trombosi, emolisi e/o complicanze emorragiche sistemiche). Sarà cruciale perseguire ulteriormente una gestione collegiale, discutendo le problematiche attive con le figure di competenza e attuando accertamenti e provvedimenti mirati. Ne sono esempio l’ablazione transcatetere dei foci aritmici in caso di storm aritmico (da co-gestire con il cardiologo elettrofisiologo) e l’effettuazione di indagini di secondo livello (es. risonanza magnetica cardiaca e biopsia endomiocardica nel sospetto di miocardite, eco-transesofageo per approfondire genesi, severità e candidabilità ad intervento delle valvulopatie). In caso di sospetta endocardite infettiva, andranno coinvolti infettivologo e cardiochirurgo. Se lo SC evolve da un’insufficienza cardiaca avanzata, i cardiologi, incluso il cardiologo specializzato nella gestione dello scompenso cardiaco avanzato, e il cardiochirurgo devono confrontarsi in merito all’impianto di dispositivo di assistenza ventricolare e/o a trapianto cardiaco.

Il concetto di futilità e le cure palliative

L’efficacia dei presidi terapeutici impiegati nello SC dipende largamente dalla corretta selezione del paziente. Si stima che più della metà dei pazienti sopravvivrebbe indipendentemente dal posizionamento di un’assistenza meccanica6. In altri casi, al contrario, l’impianto del supporto non determina alcun miglioramento prognostico6.

Il rischio di futilità dei trattamenti intensivi/invasivi va sempre considerato nel caso in cui le condizioni cliniche siano tali da far presagire una prognosi sfavorevole indipendentemente dalla condizione acuta di SC. In questo scenario rimane valida l’opzione dei soli trattamenti palliativi. Esempi di pazienti per i quali questa strategia va considerata sono quelli molto anziani con multiple comorbilità e capacità funzionale già ridotta, quelli con demenza avanzata, gli affetti da patologie terminali con aspettativa di vita inferiore all’anno, coloro nei quali non c’è evidenza di recupero della funzione contrattile ma non esiste indicazione a trapianto o dispositivo di assistenza ventricolare. Ancora, le cure palliative vanno considerate nei sopravvissuti da arresto cardiocircolatorio (ACC) prolungato in cui è documentato un danno neurologico irreversibile. In particolare sono utili i seguenti riferimenti temporali:

1) tempo di no-flow: intervallo temporale tra l’ACC e l’inizio delle manovre rianimatorie. Questo intervallo è stato dimostrato essere correlato con la sopravvivenza a breve termine dopo ACC extraospedaliero59. Il limite principale consiste nel fatto che è difficilmente stimabile se l’ACC è avvenuto senza un testimone in grado di riconoscere immediatamente l’evento. Tempi maggiori di 5 min controindicano l’impiego di supporti avanzati salvo nel caso di ACC avvenuto in corso di ipotermia;

2) tempo di low-flow: la durata del massaggio cardiaco esterno, nel corso del quale il flusso ematico viene restaurato ma attestandosi su valori pari a circa un quinto rispetto al pre-ACC60. Un low-flow >60 min rende improbabile il recupero, ed è pertanto un limite oltre il quale assistenze avanzate non dovrebbero essere considerate.

CONCLUSIONI

Lo SC è una patologia rara, complessa e ad elevata mortalità. L’implementazione di protocolli che armonizzino la gestione del paziente sia a livello extra- che intra-ospedaliero è di primaria importanza per migliorarne la prognosi. Il protocollo HSM si ripropone di fungere da linea guida per agevolarne la gestione, anche incrementando la frequenza e l’appropriatezza di utilizzo delle assistenze meccaniche al circolo, sul territorio regionale ligure.

RIASSUNTO

Lo shock cardiogeno (SC) è una malattia complessa e relativamente rara. Sebbene la sua mortalità rimanga ancora inaccettabilmente alta, un approccio multidisciplinare basato su protocolli prestabiliti e condivisi può migliorare la prognosi e garantire un’appropriata allocazione delle risorse. Una valutazione ed un monitoraggio emodinamico completo e una gestione medica personalizzata orientate al raggiungimento di obiettivi emodinamici sono parte integrante di una gestione ottimale dello SC. I dispositivi di supporto meccanico contribuiscono a sostenere l’emodinamica in misura maggiore rispetto ai farmaci, evitandone al contempo gli effetti cardiotossici. L’impiego di tali presidi è pertanto sempre più diffuso nei pazienti con SC.

Nel 2019, presso l’Ospedale San Martino (HSM) di Genova è stato adottato un nuovo protocollo per la gestione dei pazienti con SC. Sulla scia di analoghe esperienze internazionali, il protocollo HSM mira ad affinare la gestione di questi pazienti ad altissimo rischio in tutto il territorio regionale ligure, migliorando la collaborazione tra specialisti sanitari e fornendo una chiave di lettura per problematiche di primaria importanza quali l’impianto di supporti meccanici al circolo e il ricorso alle cure palliative.

Parole chiave. Assistenza meccanica al circolo; Contropulsatore aortico; Impella; Ossigenazione extracorporea a membrana; Shock cardiogeno; Shock team.

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